TERZA FILIPPICA 1 Quasi in ogni assemblea si fa un
gran parlare, o Ateniesi, dei torti che Filippo arreca non solo a voi,
ma anche agli altri Greci, da quando ha stipulato la pace. So bene che
tutti sarebbero pronti a dire, anche se poi non lo mettono in pratica,
che bisogna parlare e agire in modo da farlo desistere dalle sue
violenze e da infliggergli la giusta punizione. Tuttavia osservo che
la situazione nel suo complesso è giunta a un punto tale di gravità
e di abbandono che, dicendo la verità, temo di finire per risultare
offensivo: anche se tutti quanti i politici volessero proporre, e voi
votare, provvedimenti destinati ad arrecare il maggior danno
possibile, ritengo che la situazione non potrebbe essere peggiore di
quella che è. 2 È probabile che le cause di tutto questo siano
molte, e che non per un solo motivo o due si sia giunti a questo
punto; tuttavia, se fate un esame accurato, troverete che la colpa è
da attribuirsi soprattutto a coloro che preferiscono compiacere la
gente piuttosto che fare le proposte migliori. Di questi, alcuni, o
Ateniesi, sono impegnati solo a salvaguardare quello stato di cose che
garantisce loro prestigio e potere e non si curano affatto delle
conseguenze future, e dunque neppure voi pensano che dobbiate
curarvene; altri, accusando e calunniando quelli che hanno
responsabilità di comando, null'altro fanno che agire in modo che la
città prenda misure punitive contro se stessa ed esaurisca in questo
tutto il suo impegno, e intanto Filippo possa parlare e agire come
vuole. 3 Una politica di questo genere è ormai la consuetudine per
voi, ma è la causa delle vostre sciagure. Io vi chiedo, o Ateniesi,
di non reagire adirandovi con me se vi dico liberamente qualche verità.
Osservate: voi ritenete che negli altri campi la libertà di parola
debba essere un diritto comune a tutti quanti vivono nella nostra città
a tal punto che l'avete concessa anche agli stranieri e agli schiavi,
e si potrebbe osservare che molti schiavi qui presso di noi hanno più
possibilità di dire quello che vogliono che dei cittadini in altre
città; eppure l'avete completamente bandita dalle assemblee in cui si
esercita l'attività deliberativa. 4 Il risultato è che nelle
assemblee andate in visibilio davanti alle adulazioni ascoltando solo
dei discorsi che mirano a compiacervi, mentre nella realtà dei fatti
correte ormai i rischi più gravi. Se dunque anche ora è questo il
vostro atteggiamento, non ho nulla da dire; se invece vorrete
ascoltare quello che è nei vostri interessi al di fuori di ogni
adulazione, sono pronto a parlare. Anche se, infatti, i nostri affari
vanno molto male e molto è stato perduto, tuttavia è possibile
ancora porre un rimedio a tutta questa situazione, se vorrete adottare
i provvedimenti necessari. 5 E forse ciò che sto per dire è
paradossale, ma è la verità: proprio quello che in passato è stato
l'aspetto più negativo della situazione, è quello che risulta il più
positivo per l'avvenire. Di che si tratta? Del fatto che le cose vanno
male perché voi non fate nulla di ciò che è necessario, né poco né
molto; perché, se tale fosse la situazione pur compiendo voi tutto il
vostro dovere, non si potrebbe nemmeno sperare in un miglioramento.
Ora Filippo ha avuto il sopravvento sulla vostra inerzia e sulla
vostra indifferenza, ma non l'ha avuto sulla città; voi non siete
stati vinti: non vi siete neanche mossi. 6 Se dunque tutti quanti
riconoscessimo che Filippo muove guerra alla città e viola la pace,
l'oratore che si presenta alla tribuna non dovrebbe fare altro che
dire e consigliare come difenderci da lui nel modo più sicuro e più
facile. Poiché però alcuni hanno un atteggiamento così strano che,
sebbene egli conquisti città, detenga molti dei vostri possessi e
commetta ingiustizie nei confronti di tutti i popoli, tuttavia
sopportano che alcuni oratori dicano spesso nelle assemblee che sono
alcuni di noi a fare la guerra, è necessario stare in guardia e
rimettere le cose a posto riguardo a questo punto; 7 perché c'è il
timore che un giorno un oratore che abbia proposto e consigliato di
difenderci, incorra nell'accusa di aver provocato la guerra [...]. 8
Se dunque è possibile per la città restare in pace, e questo dipende
da noi, per iniziare di qui, io dico che dobbiamo rispettare la pace,
e ritengo giusto che un oratore che sostiene questa opportunità
avanzi una proposta ufficiale, lo faccia e non ricorra agli inganni.
Ma se qualcun altro, con le armi in pugno e circondato da un potente
esercito, vi mette innanzi il nome della pace, ma poi è il primo a
compiere azioni di guerra, che cos'altro resta se non difendersi? Se
poi volete dire di rispettare la pace come fa lui, non mi oppongo. 9
Ma se qualcuno ritiene che sia pace quella che gli consentirà di
attaccare noi dopo essersi impossessato di tutto il resto, in primo
luogo è un pazzo, poi chiama pace quella che è tale per lui da parte
vostra, non per voi da parte sua. Ecco quello che Filippo compra con
tutto il denaro che spende: di poter combattere contro di voi senza
essere combattuto da voi. 10 In verità, se aspetteremo finché egli
ammetta di essere in guerra con noi, siamo i più stupidi di tutti;
perché, se bisogna giudicare dal comportamento che ha tenuto nei
confronti degli altri, neppure se marcerà contro l'Attica e il Pireo,
lo dichiarerà apertamente. 11 Così, quando si trovava a quaranta
stadi dalla città, disse agli abitanti di Olinto che le possibilità
erano due: o loro dovevano rinunciare a vivere ad Olinto o lui in
Macedonia, mentre sempre in precedenza, se lo si accusava di qualche
cosa del genere, si sdegnava e mandava ambasciatori a proclamare le
sue buone intenzioni. E ancora, con i Focesi, si dirigeva verso di
loro come alla volta di alleati, e c'erano dei legati dei Focesi che
lo accompagnavano nel suo cammino, e qui da noi i più sostenevano che
la sua marcia non avrebbe giovato ai Tebani. 12 E anche recentemente
ha preso e tiene in suo possesso Fere, dopo essere giunto in Tessaglia
come amico e alleato, e da ultimo, a questi sventurati abitanti di
Oreo disse di aver mandato i soldati con intenzioni benevole, a far
loro visita, perché apprendeva che essi erano afflitti da lotte
intestine, ed è compito degli alleati e degli amici sinceri essere
presenti in tali circostanze. 13 Ebbene, se Filippo preferì ricorrere
all'inganno con questi popoli, i quali non gli avrebbero arrecato
alcun danno, ma al massimo avrebbero cercato di non subirne, piuttosto
che sopraffarli annunciando il suo intervento, credete che a voi farà
invece una dichiarazione formale di guerra, quando, per giunta, siete
ben disposti a farvi ingannare? 14 Non è possibile. Infatti sarebbe
il più sciocco fra tutti gli uomini se, mentre voi non gli muovete
alcun rimprovero per i torti che subite ma accusate alcuni di voi,
fosse il primo a dirvi, ponendo fine alle contese e alle rivalità che
vi dividono, di volgervi contro di lui e togliesse agli oratori da lui
stipendiati gli argomenti di cui si servono per farvi temporeggiare
col dire che egli non muove guerra contro la città. 15 Ma esiste, per
Zeus, un uomo sensato che si basi sulle parole più che sui fatti per
distinguere chi sta in pace con lui da chi gli fa la guerra?
Certamente no. Ebbene Filippo, fin dall'inizio, appena stipulata la
pace, prima ancora che Diopite fosse stratego e che fossero inviate le
truppe che tuttora si trovano nel Chersoneso, prendeva Serrio e
Dorisco e scacciava dal forte di Serrio e dal Monte Sacro la
guarnigione postavi dal vostro stratego. 16 E che cosa faceva
comportandosi in questo modo? Aveva già giurato sulla pace. E nessuno
dica: "Ma che posti sono questi?", oppure "Che cosa
importa di essi alla città?". Se queste località sono di scarsa
importanza o non ve ne importava affatto, è un altro discorso; ma la
violazione del rispetto per gli dèi e della giustizia, piccola o
grande che sia, ha lo stesso valore. E ora, ditemi un po', quando
manda mercenari nel Chersoneso, il cui possesso vi è stato
riconosciuto dal Re e da tutti i Greci, ammette di inviare aiuti
militari e ve lo comunica con una lettera, che cosa fa? 17 Lui dice
che non fa la guerra, ma io proprio non me la sento di riconoscere che
egli, agendo in questo modo, faccia la pace con voi; anzi, assalendo
Megara, instaurando un regime tirannico in Eubea, avanzando come fa
ora contro la Tracia, tessendo intrighi nel Peloponneso e facendo
tutto quello che fa con la forza delle armi, io affermo che viola la
pace ed è in guerra con voi. A meno che voi non diciate che
rispettano la pace persino quelli che sistemano le macchine da guerra
nei pressi di una città, fino al momento in cui non le spingano
proprio contro le mura. Ma non lo direte, perché colui che mette in
atto e prepara i mezzi per assalirmi, costui è in guerra con me,
anche se non scaglia ancora i suoi proiettili e le sue frecce. 18
Quali sono i pericoli che correreste, se succedesse qualcosa?
Perdereste l'Ellesponto, il vostro nemico diventerebbe padrone di
Megara e dell'Eubea, i Peloponnesiaci starebbero dalla sua parte. E
allora, posso forse dire che rispetta la pace con voi chi mette in
piedi una macchina da guerra come questa contro la città? 19
Tutt'altro; al contrario, è dal giorno in cui ha annientato i Focesi
che io ritengo che egli sia in guerra. E voi, se finalmente vi
deciderete a difendervi, io dico che agirete con saggezza, mentre se
lascerete perdere, non potrete farlo neppure quando lo vorrete. E tale
è il mio dissenso dagli altri oratori impegnati a darvi dei consigli,
o Ateniesi, che non mi sembra neppure opportuno in questo momento
deliberare sul Chersoneso o su Bisanzio; 20 piuttosto ritengo che si
debba portare soccorso a queste popolazioni e badare a che non abbiano
a subire alcun danno, inviare ai soldati che sono presenti sul posto
tutti i mezzi di cui hanno bisogno e soprattutto prendere decisioni
sulla Grecia intera, perché si trova in un grave stato di pericolo. E
voglio dirvi per quali motivi nutro tanti timori per la situazione
presente, affinché, se i miei ragionamenti sono corretti, li
condividiate e vi prendiate cura almeno di voi stessi, se non volete
preoccuparvi degli altri, e se invece io vi darò l'impressione di
vaneggiare parlando da dissennato, non mi diate più ascolto come a
una persona sana di mente, né ora né in avvenire. 21 Non starò qui
a ricordare che Filippo è diventato grande, mentre all'inizio la sua
potenza era esigua e insignificante, e i Greci diffidano gli uni degli
altri e sono divisi da contrasti, che era molto più difficile
immaginare che egli potesse diventare così potente da quello che era
prima di quanto non lo sia ora pensare che dopo tante conquiste egli
possa impossessarsi anche di tutto il resto. Non voglio soffermarmi
neppure su tutti gli altri fatti di questo genere che potrei passare
in rassegna. 22 Osservo però che tutti i popoli, a cominciare da voi,
gli hanno concesso quel privilegio che è stato sempre, in passato,
all'origine delle guerre che si sono combattute in Grecia. Di che si
tratta? Del fatto che uno possa agire a suo piacimento, mutilare e
depredare in questo modo le popolazioni della Grecia una ad una,
assalire e ridurre in schiavitù le città. 23 Eppure voi avete avuto
l'egemonia sulla Grecia per settantatré anni, e per ventinove l'hanno
avuta gli Spartani; e una certa potenza l'hanno avuta anche i Tebani
in questi ultimi tempi, dopo la battaglia di Leuttra. Tuttavia mai, né
a voi, né ai Tebani, né agli Spartani, o Ateniesi, è stato concesso
questo dagli altri Greci, di agire a proprio piacimento; tutt'altro.
24 Anzi, contro di voi, o meglio contro gli Ateniesi di quel tempo,
quando si pensava che non si comportassero con moderazione nei
confronti di qualcuno, tutti ritenevano di dover combattere, anche
quelli che non avevano nulla di che lagnarsi, al fianco di chi aveva
subito un torto. E poi ancora, in seguito, contro gli Spartani che
avevano assunto il potere ed erano giunti a occupare la stessa
posizione egemone che era stata vostra, quando incominciarono a
commettere soprusi e a sconvolgere senza moderazione l'ordine
costituito, tutti entrarono in guerra, anche quelli che non potevano
lamentarsi di nulla. 25 Ma perché parlare degli altri? Noi stessi e
gli Spartani, che pure all'inizio non potevamo menzionare alcun torto
che ci fossimo fatti a vicenda, tuttavia abbiamo ritenuto di dover
entrare in conflitto per riparare i torti che vedevamo subire dagli
altri. Eppure tutte le colpe commesse dagli Spartani in quei
trent'anni e dai nostri antenati in quei settanta sono inferiori, o
Ateniesi, ai misfatti di cui si è macchiato Filippo nei confronti dei
Greci nei tredici anni nemmeno interi che l'hanno visto imporsi; anzi,
non sono neppure una frazione di quelli. 26 Ed è facile spiegarlo in
poche parole. Tralascio Olinto, Metone, Apollonia e le trentadue città
della Tracia, tutte quante distrutte con tale crudeltà che per i
visitatori non è neppure facile dire se un tempo furono abitate; e
non voglio parlare anche di come furono annientati i Focesi, un popolo
così grande. Ma la Tessaglia, in quali condizioni versa? Non ha forse
cancellato le sue istituzioni cittadine per instaurarvi tetrarchie, in
modo che fossero ridotte in schiavitù non solo le città, ma anche le
regioni? 27 E le città dell'Eubea, non sono forse ormai rette da
regimi tirannici, e per giunta in un'isola vicina a Tebe e ad Atene?
Non scrive forse esplicitamente nelle sue lettere: "Io sono in
pace con chi è disposto a darmi ascolto"? E non si limita a
scrivere queste parole senza poi passare ai fatti, ma muove contro
l'Ellesponto, in precedenza aveva attaccato Ambracia, nel Peloponneso
occupa una città dell'importanza di Elide, ultimamente ha teso
insidie a Megara; non basta la Grecia, non bastano le terre straniere
a contenere l'avidità di questo individuo! 28 E tutti quanti noi
Greci, pur vedendo e udendo tutto questo, non inviamo ambascerie gli
uni agli altri riguardo a questi fatti e non proviamo sdegno, ma siamo
così mal disposti, così divisi come da fossati città per città,
che fino ad oggi non siamo stati in grado di realizzare nulla, né di
ciò che è utile né di ciò che è necessario, né di coalizzarci, né
di trovare alcuna forma di associazione di mutuo soccorso e di
amicizia. 29 Al contrario, non ci curiamo del fatto che egli diventi
più potente, ciascuno pensando, a quanto mi sembra, che sia tempo
guadagnato quello in cui un altro soccombe, senza preoccuparci e senza
agire per la salvezza della Grecia; giacché nessuno ignora che, come
il ricorrere periodico o l'attacco ciclico di una febbre o di qualche
altro male, egli piomba addosso anche a chi crede di essere al momento
ben al di fuori della sua portata. 30 E sapete anche questo, che tutte
le ingiustizie che i Greci dovettero subire dagli Spartani o da noi,
erano pur sempre commesse da Greci autentici. È come se un figlio
legittimo in possesso di un cospicuo patrimonio non lo amministrasse
bene e saggiamente: si potrebbe dire che egli per questo sia degno di
biasimo e di condanna, ma non certo che egli lo abbia fatto senza aver
diritto a quei beni o senza esserne l'erede. 31 Ma se fosse un servo o
un figlio bastardo a sperperare e a dilapidare le sostanze che non gli
spettano, quanto più grave e irritante, per Eracle, potrebbe essere
definito da tutti il suo comportamento! Ma su Filippo e su quello che
egli fa attualmente, non si esprime un giudizio di questo genere:
eppure non solo egli non è un Greco e non ha nessuna affinità con i
Greci, ma non è neppure un barbaro originario di una regione che è
onorevole menzionare, ma è una peste di Macedone, di un paese dal
quale prima non era nemmeno possibile acquistare uno schiavo di
valore. 32 Eppure, che cosa non ha ancora fatto per giungere al grado
estremo della violenza? Oltre ad aver distrutto città, non indice
forse i giochi Pitici, l'agone comune dei Greci, e se non può essere
presente di persona, manda i suoi servi a organizzarli? Non domina
forse le Termopili e i passi che danno accesso alla Grecia, e non
occupa questi luoghi con guarnigioni e mercenari? Non detiene anche il
privilegio di consultare per primo l'oracolo del dio, avendone privato
noi, i Tessali, i Dori e gli altri Anfizioni, un privilegio del quale
non hanno parte neppure tutti quanti i Greci? 33 Non scrive forse ai
Tessali come devono governare? Non manda i mercenari, in parte a
Portmo per abbattere la democrazia ad Eretria, in parte a Oreo, per
imporre la tirannide di Filistide? Tuttavia i Greci, pur vedendo
questi fatti, sopportano, e mi sembra che stiano a guardarli come si
fa con la grandine, dalla quale ciascuno si augura di non essere
personalmente colpito, ma che nessuno cerca di impedire. 34 Nessuno
reagisce, e non solo alle aggressioni che egli compie contro la
Grecia, ma neppure alle ingiustizie che subisce direttamente; e questo
è davvero il colmo. Non ha forse aggredito Ambracia e Leucade,
possessi dei Corinzi? Non ha giurato di consegnare agli Etoli Naupatto,
possesso degli Achei? Non ha strappato Echino ai Tebani? Non muove ora
contro Bisanzio, che è sua alleata? 35 Dei nostri possessi non occupa
forse, e lascio stare il resto, Cardia, la più importante città del
Chersoneso? E noi tutti, pur subendo questi soprusi, indugiamo in
preda al torpore volgendo lo sguardo ai popoli vicini, e intanto
diffidiamo gli uni degli altri, ma non di chi commette torti nei
confronti di tutti noi. Eppure, chi si comporta in modo così brutale
con tutti, che cosa credete che farà una volta che vi abbia ridotti
in suo potere uno per uno? 36 Ma qual è la causa di tutto questo?
Perché non è senza una ragione e un giusto motivo che i Greci allora
erano così pronti a difendere la loro libertà e adesso lo sono a
farsi schiavi. Allora c'era, o Ateniesi, c'era qualcosa nel modo di
pensare della maggior parte della gente che adesso non esiste più,
che ha vinto la ricchezza dei Persiani, che manteneva libera la
Grecia, senza subire sconfitte, né per terra né per mare, la cui
scomparsa ora ha provocato la rovina generale e ha sconvolto tutto in
Grecia. 37 Che cos'era dunque? Niente di particolare o di sofisticato,
ma il fatto che tutti quanti avevano in odio quelli che prendevano
denaro da chi voleva dominare o mandare in rovina la Grecia, ed era
pericolosissimo essere riconosciuti colpevoli di corruzione e
severissime erano le pene con le quali si puniva questa colpa, senza
indulgenza alcuna e senza remissione. 38 L'occasione favorevole che
presenta ogni circostanza, che la sorte offre spesso anche a chi non
si cura delle cose a danno di chi si dimostra solerte non era
possibile comperarla dagli oratori o dagli strateghi, e neppure la
concordia civile o la diffidenza verso i tiranni e i barbari, e, in
breve, niente di tutto questo. 39 Ma ora tutto ciò è stato venduto
come al mercato, e in cambio sono state introdotte quelle che sono le
cause della rovina e del malessere della Grecia. Quali sono? L'invidia
se qualcuno si lascia corrompere; il riso, se lo confessa; il perdono
per chi è dimostrato colpevole; l'odio per chi lo rimprovera; e tutto
il resto che ha a che fare con la corruzione. 40 Giacché di triremi,
quantità di uomini, abbondanza di ricchezze e degli altri mezzi, e di
tutte le risorse in base alle quali si può giudicare la potenza delle
città, tutti quanti i Greci sono di gran lunga più dotati ora
rispetto al passato; ma queste risorse sono rese inutili, inefficaci e
vane da coloro che le mettono in vendita. 41 Che questa sia la
situazione attuale, lo vedete certamente, e non avete bisogno della
mia testimonianza; ma che in passato la situazione era del tutto
diversa, ve lo dimostrerò io, non con parole mie, ma citando un testo
che i vostri antenati fecero incidere su una stele di bronzo e
collocare sull'Acropoli, non perché fosse utile a loro (e infatti
avevano in mente ciò che bisognava fare anche senza l'ausilio di
questi scritti), ma perché voi aveste un ricordo e un esempio dello
zelo che bisogna dimostrare in queste cose. Che cosa dice dunque
l'iscrizione? 42 "Artmio figlio di Pitonatte, di Zelea",
dice, "sia privato di ogni diritto e considerato nemico del
popolo ateniese e dei suoi alleati, lui e la sua stirpe"; poi è
scritta la motivazione di questa condanna: "Perché ha portato
nel Peloponneso l'oro consegnatogli dai Persiani". Questa è
l'iscrizione. 43 Riflettete, per gli dèi, quale fosse il pensiero
degli Ateniesi di allora, che si comportavano in questo modo, e quale
il loro giudizio. Un certo Artmio di Zelea, servo del Re (Zelea è una
città dell'Asia), per il fatto che per rendere un servizio al suo
signore aveva portato dell'oro nel Peloponneso, non ad Atene, essi lo
dichiararono nemico loro e dei loro alleati in un'iscrizione, e lo
stesso trattamento riservarono a quelli della sua stirpe, e tutti li
punirono con l'atimia. 44 E questo è un caso di atimia che
propriamente non potrebbe essere definito così: che cosa poteva
importare infatti a uno di Zelea se non avesse potuto godere dei
diritti comuni degli Ateniesi? Piuttosto è scritto nelle leggi sui
reati di sangue, a proposito di quelli che il legislatore non consente
di punire per omicidio ma il cui delitto è senza macchia, "muoia
la vittima colpita da atimia". Questo intende dire, che chi
uccide uno di costoro è puro. 45 Dunque essi ritenevano di doversi
occupare della salvezza di tutti i Greci: infatti non si sarebbero
interessati del fatto che nel Peloponneso si comprassero e si
corrompessero alcune persone, se questo non fosse stato il loro
pensiero. Tali erano le punizioni e le pene che infliggevano a coloro
che scoprivano corrotti, che ne iscrivevano persino il nome su una
stele. E in base a questo comportamento è naturale che i Greci
fossero temibili per il barbaro, non il barbaro per i Greci. Non così
ora, perché voi non vi comportate in questo modo né riguardo a tali
questioni né riguardo al resto. Qual è dunque il vostro
comportamento? 46 Lo sapete voi stessi. Che bisogno c'è, infatti, di
accusare voi di tutto? In modo simile a voi e per nulla meglio di voi
si comportano tutti quanti gli altri Greci. Perciò io dico che la
situazione presente richiede molto impegno e un buon consiglio. Quale?
Devo dirlo? Volete che io parli? E non vi adirerete? [LEGGE DAL
DOCUMENTO] 47 È un discorso sciocco quello che fanno coloro che
vogliono recare conforto alla città: Filippo non ha ancora raggiunto
la potenza che possedevano un tempo gli Spartani, i quali avevano il
dominio totale del mare e della terra, avevano il Re come alleato e
non incontravano resistenza; eppure la città seppe difendersi anche
da loro e non fu annientata. Se è vero che ogni settore, se così si
può dire, ha registrato grandi progressi e la situazione attuale non
è per nulla simile a quella del passato, io ritengo che nessun
cambiamento e nessuno sviluppo maggiore si sia registrato che in campo
militare. 48 In primo luogo sento dire che allora gli Spartani e tutti
gli altri facevano incursioni e devastavano il territorio con gli
opliti e con gli eserciti cittadini per quattro o cinque mesi, solo
nella bella stagione, per poi ritornarsene in patria. Si comportavano
così all'antica, o piuttosto in modo civile, che non facevano mai
ricorso alla corruzione, ma la guerra era in un certo qual modo
conforme alle regole e trasparente. 49 Ora certamente vedete che sono
i traditori i responsabili della maggior parte delle sconfitte, e che
nulla si risolve schierando gli eserciti in una battaglia campale.
Sentite dire che Filippo arriva dove vuole non conducendo una falange
di opliti, ma tenendo con sé un esercito di questo genere: soldati
armati alla leggera, cavalieri, arcieri, mercenari. 50 E quando, oltre
a ciò, piomba su popolazioni indebolite dalle lotte civili e nessuno,
per diffidenza, esce a difendere il territorio, appresta le sue
macchine e pone l'assedio. E taccio sul fatto che l'estate e l'inverno
per lui non fanno alcuna differenza, e non c'è una stagione riservata
alla sospensione delle operazioni. 51 Se tutti siete a conoscenza di
questi fatti e riflettete su di essi, bisogna impedire che la guerra
raggiunga il nostro paese, ed evitare di precipitarsi pensando alla
semplicità della guerra che allora si combatté contro gli Spartani,
bisogna cautelarsi anticipando i tempi il più possibile, badando, con
l'attività e con i preparativi, che non si muova dalla sua patria,
non combattere corpo a corpo. 52 Per quanto riguarda la guerra, noi
abbiamo molti vantaggi naturali, se, o Ateniesi, vogliamo fare quello
che è necessario: la conformazione naturale del suo paese, che per
larga parte può essere saccheggiato e devastato, e infiniti altri; ma
per uno scontro campale lui è meglio preparato di noi. 53 Non bisogna
però essere solo convinti di ciò e difendersi da lui sul piano
militare, ma anche nutrire per gli oratori che parlano in sua difesa
un odio che nasca dal ragionamento e dalla riflessione, considerando
che non è possibile avere ragione dei nemici della città prima di
punire quelli che sono al loro servizio all'interno della città
stessa. 54 Ed è proprio questo che voi, per Zeus e per gli altri dèi,
non sarete in grado di fare, ma siete giunti a tal punto di follia, di
insania o di non so neanch'io cosa (spesso infatti mi è capitato di
temere anche questo, che sia una qualche forza soprannaturale a
muovere gli eventi), che invitate a parlare uomini prezzolati, tra i
quali alcuni non potrebbero neppure negare di esserlo, o per le
villanie di cui sono capaci, o per le loro parole di astio o di
scherno, o per qualsiasi altro motivo, e vi mettete a ridere se
diffamano qualcuno. 55 E non è neppure questa la cosa più
intollerabile, anche se è effettivamente intollerabile, ma il fatto
che consentite a costoro di fare politica con maggior sicurezza di
coloro che parlano nel vostro interesse. Eppure guardate quante
disgrazie provoca il fatto che siete disposti a dare ascolto a gente
di questo genere. Vi esporrò dei fatti di cui tutti sarete a
conoscenza. 56 C'erano ad Olinto alcuni uomini politici legati a
Filippo che erano completamente al suo servizio, altri che avevano
scelto il partito migliore e agivano per impedire che i loro
concittadini cadessero in schiavitù. Chi di loro è responsabile
della rovina della patria? Chi ha tradito i cavalieri, e con questo
tradimento ha causato la rovina di Olinto? Quelli che parteggiavano
per Filippo e, quando la città esisteva ancora, calunniavano e
accusavano chi parlava dando i consigli migliori a tal punto che il
popolo di Olinto si lasciò convincere addirittura a esiliare
Apollonide. 57 E questo modo di comportarsi non ha provocato ogni male
solo ad Olinto e in nessun luogo altrove. Al contrario, ad Eretria,
allorché, dopo l'allontanamento di Plutarco e dei suoi mercenari il
popolo occupava la città e Portmo, alcuni parteggiavano per voi,
altri per Filippo. Dando ascolto a questi ultimi per lo più, o meglio
sempre, i miseri e sventurati Eretriesi, alla fine si lasciarono
persuadere a mandare in esilio coloro che parlavano in favore dei loro
interessi. 58 E infatti Filippo, il loro alleato, inviò Ipponico con
mille mercenari, abbatté le mura di Portmo e insediò tre tiranni:
Ipparco, Automedonte e Clitarco. E in seguito ha scacciato dal paese
due volte gli abitanti di Eretria, che ormai volevano salvarsi, la
prima volta inviando Euriloco con i suoi mercenari, e poi Parmenione
con le sue truppe. 59 Ma perché dilungarsi tanto? A Oreo Filistide
faceva gli interessi di Filippo, come pure Menippo, Socrate, Toante e
Agapeo, che ora hanno in mano la città (e lo sapevano tutti), mentre
un certo Eufreo, che un tempo abitò anche qui da noi, operava perché
i suoi concittadini fossero liberi e non cadessero schiavi di nessuno.
60 Sarebbe lungo raccontare le angherie e gli oltraggi che costui subì
dal popolo; ma un anno prima della presa della città denunziò come
traditori Filistide e i suoi, perché aveva scoperto le loro trame.
Contro Eufreo si coalizzarono in molti, finanziati e diretti da
Filippo, e lo trascinarono in carcere con l'accusa di essere un
sobillatore nella città. 61 Di fronte a questi fatti il popolo di
Oreo, invece di aiutare lui e di ammazzare a bastonate quegli altri,
non se la prendeva con loro, ma diceva che era lui a meritare questo
trattamento, e se ne compiaceva. In seguito, gli uomini di Filippo si
davano da fare in tutta libertà perché la città fosse presa e
organizzavano il complotto; e se qualcuno del popolo se ne accorgeva,
taceva per la paura, memore di quello che era successo a Eufreo. Il
popolo si trovava in una condizione così misera che nessuno osò
fiatare, mentre si avvicinava una tale sventura, prima che i nemici si
presentassero disposti in ordine di battaglia di fronte alle mura.
Allora alcuni si difesero, altri tradirono. 62 Caduta la città in
modo così vergognoso e miserabile, questi ultimi esercitano il potere
come dei tiranni, dopo avere in parte cacciato e in parte ucciso
quelli che allora volevano salvarli ed erano pronti a infliggere
qualsiasi pena a Eufreo; e quanto a quell'Eufreo, si è ucciso,
testimoniando con il suo gesto che era giusta e disinteressata la sua
lotta contro Filippo in favore dei suoi concittadini. 63 Ma qual è il
motivo per cui, forse vi chiedete, gli abitanti di Olinto, di Eretria
e di Oreo ascoltavano più volentieri quelli che parlavano
nell'interesse di Filippo di quelli che parlavano nel loro interesse?
È lo stesso motivo per cui questo si verifica anche qui da noi: a
quelli che parlano in difesa di ciò che è meglio, neanche se lo
vogliono è consentito di dire qualche volta qualcosa per compiacervi,
perché sono costretti a provvedere alla salvezza dello Stato, mentre
gli altri collaborano con Filippo nel momento stesso in cui parlano
per compiacere voi. 64 Quelli esortavano a versare contributi, gli
altri dicevano che non ce n'era affatto bisogno; quelli esortavano a
combattere e a non fidarsi, ed essi a restare in pace, finché non
caddero in preda al nemico; e questo si è verificato anche per tutto
il resto, credo, per non stare ad esporre ogni cosa caso per caso. Gli
uni facevano i discorsi destinati a renderli graditi, gli altri i
discorsi che avrebbero salvato la città. E spesso anche, alla fine, i
più davano il loro consenso, non per compiacenza o per ignoranza, ma
perché si arrendevano, pensando che ormai tutto fosse perduto. 65 È
questo, per Zeus e per Apollo, che io temo che un giorno possa toccare
a voi, quando, riflettendo, comprenderete di non avere più alcuna
possibilità. Ma voglia il cielo, o Ateniesi, che la situazione non
giunga a questo punto: sarebbe meglio morire diecimila volte che fare
qualcosa per compiacere Filippo, e consegnargli qualcuno degli oratori
che parlano per difendere i vostri interessi. 66 Bella ricompensa ora
ha avuto la gran parte del popolo di Oreo per essersi messa nelle mani
degli amici di Filippo e aver cacciato Eufreo; bella ricompensa il
popolo di Eretria per aver allontanato i vostri ambasciatori ed
essersi consegnato a Clitarco: il loro ruolo è quello degli schiavi,
frustati e sgozzati. E una bella indulgenza ha usato nei confronti
degli abitanti di Olinto, che avevano eletto Lastene alla carica di
ipparco e avevano scacciato Apollonide. 67 È follia e viltà
coltivare speranze di questo genere, deliberando male e non essendo
disposti a fare nulla di ciò che conviene fare, e pensare invece che
la città che abitiamo sia così potente da non dover sopportare alcun
male, qualunque cosa accada, dando ascolto a quelli che parlano
nell'interesse dei nemici. 68 E sarebbe vergognoso anche questo, dire
poi, a cose fatte: "E chi avrebbe pensato che succedesse questo?
Per Zeus, sarebbe stato necessario fare questo e non fare
quest'altro". Molte cose avrebbero da dire ora gli abitanti di
Olinto, se avessero potuto prevedere le quali allora non sarebbero
andati in rovina; molte cose gli abitanti di Oreo, molte i Focesi,
molte ciascuno dei popoli che sono stati sopraffatti. 69 Ma che
vantaggio potrebbero trarne? Finché la nave è salva, grande o
piccola che sia, allora bisogna che marinai, nocchieri e tutti gli
altri uomini, ognuno in base alla sua posizione, si diano da fare e
badino che nessuno, deliberatamente o involontariamente, la faccia
capovolgere; ma quando il mare l'ha sommersa, lo zelo è inutile. 70 E
dunque anche noi, o Ateniesi, finché siamo sani e salvi, finché
abbiamo una città grandissima, risorse di ogni genere, una splendida
reputazione, che cosa dobbiamo fare? Probabilmente v'è qualcuno qui
seduto che già da tempo me lo avrebbe chiesto volentieri. Io, per
Zeus, lo dirò, e ne farò una proposta scritta, in modo che, se
vorrete, potrete approvarla con il vostro voto. In primo luogo
dobbiamo difenderci e prepararci noi, con triremi, denaro e soldati,
intendo dire, perché, anche se tutti gli altri si adatteranno a
servire, noi dobbiamo lottare per la libertà. 71 Solo dopo aver fatto
noi questi preparativi, e averli resi manifesti, allora esortiamo gli
altri a farlo, e mandiamo ambasciatori a illustrare questi argomenti,
dovunque, nel Peloponneso, a Rodi, a Chio, dal Re, intendo dire (perché
non è neppure lontano dai suoi interessi impedire che Filippo riduca
tutto in suo potere), affinché, se riuscirete a convincere gli altri,
li abbiate partecipi dei vostri rischi e delle vostre spese, in caso
di necessità, e altrimenti possiate guadagnare tempo per l'azione. 72
Poiché la guerra che si deve combattere è contro un uomo, non contro
la potenza di uno Stato ben consolidato, neppure questo risparmio di
tempo è inutile, né lo sono state quelle ambascerie che l'anno
scorso sono andate in giro per il Peloponneso e le accuse che io,
l'ottimo Polieucto qui presente, Egesippo e gli altri ambasciatori
abbiamo diffuso, ottenendo il risultato di fermare Filippo e di
impedirgli di marciare contro Ambracia e di muovere contro il
Peloponneso. 73 Io non dico tuttavia di esortare gli altri popoli
senza essere disposti a fare voi stessi quello che è necessario per
voi, perché sarebbe sciocco trascurare le proprie faccende e dire di
avere a cuore quelle degli altri, e non prendersi cura della
situazione presente per poi incutere agli altri timore su quella
futura. Non dico questo, ma affermo che bisogna inviare denaro alle
nostre truppe nel Chersoneso, e soddisfare tutte le loro altre
richieste, e prepararci noi stessi, ed esortare gli altri Greci,
riunirli, informarli e consigliarli: questo è il modo di agire degno
di una città che ha una reputazione pari alla vostra. 74 Se invece
pensate che saranno gli abitanti di Calcide a salvare la Grecia, o
quelli di Megara, mentre voi riuscirete a sottrarvi alle difficoltà,
vi sbagliate: c'è da essere contenti se quelli si salveranno ciascuno
da sé. Ma siete voi che dovete assumervi questo compito: è a voi che
gli antenati procurarono questo privilegio, e lo lasciarono in eredità
con molti e gravi rischi. 75 Se invece ciascuno se ne starà inerte a
perseguire quello che desidera e a cercare il modo di non fare nulla
personalmente, in primo luogo non è immaginabile che possa trovare
mai chi lo farà, e poi temo che saremo costretti a compiere tutte
insieme le cose che non vogliamo fare. 76 Questo è quanto affermo, e
questa è la proposta che avanzo; se questi provvedimenti saranno
adottati, credo che si potrà ancora porre rimedio alla situazione
presente. Se qualcuno ha una proposta migliore di questa, la esponga e
renda manifesti i suoi suggerimenti. E quello che deciderete, per gli
dèi tutti, possa tornare a vostro vantaggio.
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