Cicerone:
Sulla natura degli dei II |
LIBRO II°
1. A queste parole di Cotta: " sono stato proprio uno sventato -
interloquì Velleio - a tentare di cimentarmi con un uomo che, oltre
ad appartenere alla scuola accademica e anche un valente oratore! Non
mi avrebbe certo, fatto paura un accademico a corto di doti oratorie né
tanto meno un oratore, anche vuote di effettivo contenuto né da
argomentazioni sottili cui manchi l'appoggio di un eloquio sostenuto.
Ma tu, caro Cotta, hai mostrato di avere l'una e l'altra dote: ti
mancava solo un vero uditorio ed una regolare giuria. Ma a questo
risponderò in altra occasione. Ora stiamo a sentire quello che ha da
direi il nostro Lucilio, sempre che non abbia nulla in
contrario".
2. A questo punto intervenne Balbo: "Per conto mio - disse -
preferirei ascoltare ancora Cotta per dargli' il tempo di
rappresentarci le vere divinità con la stessa foga oratoria con la
quale ha demolito quelle false: si addice alla personalità di un
filosofo, di un Pontefice, di un Cotta, insomma, non avere degli dèi
immortali un concetto vago e ondeggiante come gli Accademici, bensì
una convinzione precisa e sicura come l'hanno quelli della nostra
scuola.
Contro Epicuro si è già parlato più che a sufficienza. Prima pero
vorrei sentire che ne pensa l'interessato". Al che Cotta:
"Hai dunque dimenticato quanto ti dissi all'inizio, che cioè,
specie in questioni dei genere, mi riesce più facile esprimere ciò
che non penso di ciò che effettivamente penso?
3. D'altronde, anche se avessi idee chiare al riguardo, pure
preferirei sentire te parlare a tua volta, visto che io ho già
parlato tanto".
"Farò dunque a tuo modo - concluse Balbo - e cercherò di essere
il più breve possibile dato che la già avvenuta confutazione degli
errori di Epicuro è valsa ad eliminare una parte considerevole della
mia esposizione. I seguaci della nostra scuola propongono una prima
quadruplice ripartizione generale dell'argomento che ci interessa. In
primo luogo affermano l'esistenza degli dèì, passano quindi a
determinarne la natura; segue la dimostrazione che sono essi a
governare il mondo e, infine, che provvedono agli interessi dell'uomo.
Nella nostra esposizione ci limiteremo a trattare il primo ed il
secondo punto: il terzo ed il quarto penso di rimandarli ad altra
occasione, dato il loro maggiore peso".
"Neanche per sogno! - intervenne Cotta - oltre a non aver nulla
da fare, ci stiamo occupando di problemi di fronte ai quali anche gli
affari pubblici debbono cedere il passo".
4. " La prima questione - soggiunse allora Lucilio - non ha
neppure bisogno di essere trattata. Basta contemplare il firmamento ed
i corpi che vi si trovano perché nulla risulti più chiaro ed
evidente dell'esistenza di una volontà governata da una suprema
intelligenza che regola tutti questi fenomeni. Se non fosse così come
avrebbero potuto incontrate il generale consenso le parole di Ennio:
"contempla quest'essere che al di sopra di ogni altro rifulge,
che tutti invocano col nome di Giove", quel Giove che domina il
mondo e che tutto regge col suo cenno, "il padre degli dèi e
degli uomini" per usare ancora le parole di Ennio, onnipresente
ed onnipotente? Chi dubita di questa verità non vedo perché non
dovrebbe porre in dubbio l'esistenza stessa del sole
5. che sotto nessun aspetto risulta più evidente della precedente
affermazione. Se di tutto ciò non avessimo avuto conoscenza e non
fossimo fermamente convinti nel nostro intimo, una tradizione come
questa non si conserverebbe immutata per lungo tempo, non si
rafforzerebbe coi passare degli anni, non avrebbe potuto sopravvivere
all'alternarsi delle età e delle generazioni umane. Possiamo
constatare che tutte le altre opinioni false e senza rispondenza nella
realtà si sono dissolte col tempo. Chi crede più che un tempo
esistessero l'ippocentauro e la Chimera? Si trova forse ancora una
vecchina tanto sciocca da temere quei mostri che una volta si credeva
popolassero gli Inferi? li tempo distrugge i meri frutti
dell'immaginazione e rinforza i giudizi dettati dalla natura.
Per questo sia presso il nostro popolo sia presso gli altri il culto
degli dèi e il rispetto delle pratiche religiose si sono sempre più
accresciuti e perfezionati;
6. E ciò non avvenne né senza ragione né per puro caso, ma spesso
furono proprio gli dèi a manifestare la propria potenza offrendosi
alla vista degli uomini. Così presso il Lago Regillo, durante la
guerra contro i Latini che mise a confronto il dittatore Aulo Postumio
e Ottavio Mamilio di Tuscolo, si videro Castore e Polluce combattere a
cavallo dalla nostra parte e in epoca più recente furono ancora i
figli di Tindaro ad annunziare la sconfitta di Perseo.
Publio Vatinio, il nonno dei giovane Vatinio che tutti conosciamo,
stava tornando di notte a Roma da Rieti dove esercitava l'ufficio di
governatore quando gli si presentarono dinnanzi due giovani in sella a
bianchi destrieri e gli annunziarono che in quello stesso giorno il re
Perseo era caduto prigioniero. Come egli ebbe riferito la cosa al
Senato dapprima fu gettato in carcere sotto l'accusa di falso in
questioni di pubblico interesse, ma quando dal dispaccio di Paolo
risultò che il giorno coincideva il Senato gli donò un podere e gli
concesse l'esonero.
Si ricorda anche che quando in una grandiosa battaglia presso il fiume
Sagra i Locresi sconfissero i Crotoniati, in quello stesso giorno la
notizia di quel combattimento si riseppe ad Olimpia dove erano in atto
le gare. Sovente il suono delle voci dei Fauni, sovente l'apparizione
di figure divine indussero chiunque non fosse demente od empio a
riconoscere la presenza della divinità.
7. Quanto poi alle profezie e alle premonizioni dei futuro che cosa
provano se non che gli avvenimenti futuri vengono rivelati, mostrati,
pronosticati, predetti agli uomini (donde i termini di rivelazione,
mostro, pronostico, prodigio)? Ché, se anche consideriamo come frutti
di fantasia personaggi come Mopsolo, Tiresia, Amfiarao, Calcante,
Eleno, data l'estrema arbitrarietà dei racconti mitici (eppure anche
i miti non avrebbero annoverato quei personaggi fra gli auguri, se non
ammettessero la validità dei fatti) non riconosceremo ugualmente la
potenza divina una volta resi edotti dalle esperienze di casa nostra?
Non ci farà dunque riflettere la temerità dimostrata da Gaio Clodio
durante la prima guerra punica? Costui, poiché i polli sacri,
liberati dalla gabbia, non toccarono cibo ordinò che fossero immersi
nell'acqua "perché bevessero, visto che non volevano
mangiare" e si macchiò cosi della colpa di dileggio nei riguardi
della divinità, anche se aveva voluto solo dire una spiritosaggine.
Ma questa spiritosaggine, dopo la disfatta della flotta, fruttò a lui
molte lagrime ed al popolo romano una grave sconfitta. E che dire del
suo collega Lucio Giunio? Non fu forse lui a perdere la flotta durante
quella medesima guerra per non aver obbedito agii auspici? La
conseguenza fu che Ciodio fu condannato dal popolo e Giunio si diede
da se stesso la morte.
8. Celio riferisce che Gaio Flaminio per aver trascurato le sacre
cerimonie cadde al Trasimeno con grave iattura per la patria. Dalla
rovina di questi uomini si può ricavare che lo stato prosperò quando
il potere fu in mano a persone ligie ai doveri religiosi. E se vorremo
paragonare la storia di casa nostra con quella dei popoli stranieri
troveremo che in tutto il resto fummo pari ad essi o anche inferiori,
ma in fatto di religiosità, cioè di culto divino, fummo loro di gran
lunga superiori.
9. Dobbiamo dunque tenere in non cale la famosa verga augurale di
Attio Navio con la quale egli delimitava le varie zone dei vigneto
nella ricerca del porco sacro? Sarei anch'io di questo parere se il re
Ostilio le sue imponenti campagne di guerra non le avesse condotte
proprio in ottemperanza agli auspici tratti da quella verga. Purtroppo
per trascuratezza da parte della classe aristocratica la scienza
augurale è stata abbandonata, il valore degli auspici è decaduto e
delle cerimonie augurali sussistono solo le forme esteriori; pertanto
le azioni piú importanti per la vita dello stato e fra esse le guerre
da cui dipende la sua salvezza vengono condotte senza trarre gli
auspici. Non si rispettano i presagi prima di attraversare un fiume,
non si osservano le fiammelle in cima alle lance, non è più in uso
la rituale convocazione dei soldati prima delle battaglie ed è perciò
scomparso l'uso di far testamento ad esercito schierato. I nostri
comandanti infatti incominciano a condurre le guerre dopo aver deposto
la facoltà io augurale.
10. Ma al tempo dei nostri progenitori fu tanto il peso dei fattore
religioso che alcuni comandanti di eserciti, a capo coperto e con
formule determinate offrirono se stessi in olocausto agli dèi
immortali per il bene della patria. Dai vaticini delle sibille e dai
responsi degli aruspici si possono trarre molte veritiere
testimonianze che nessuno ha il diritto
di porre in dubbio.
Ma è l'evidenza dei fatti che ha comprovato la validità della
scienza dei nostri auguri e degli aruspici etruschi quando erano
consoli Publio Scipione e Gaio Figulo. Tiberio Gracco, che rivestiva
per la seconda volta l'ufficio di console, stava presiedendo
l'elezione dei suoi successori; ed ecco che l'ufficiale incaricato di
raccogliere i voti della prima centuria non appena ebbe riferito i
nomi degli eletti morì sul luogo stesso. Gracco condusse ugualmente a
termine i comizi, ma avendo notato che l'evento aveva turbato il
sentimento religioso dell'assemblea, ne riferì al Senato. Il Senato
allora decretò che il caso venisse deferito a chi di consueto e gli
aruspici introdotti per l'occasione dichiararono che il presidente dei
comizi non esercitava la carica di pieno diritto.
11. A questo punto Gracco, come ho sentito raccontate da mio padre,
preso dall'ira, sbottò: "Ma davvero? Dunque non era secondo le
regole che io, console ed augure, presiedessi i comizi dopo aver preso
gli auspici rituali! Voi invece, razza di barbari venuti dall'Etruria,
avete diritto di sentenziare in materia di auspici riguardanti il
Popolo Romano e di farvi arbitri della regolarità dei nostri
comizi".
E con queste parole ordinò che uscissero. In seguito però inviò
dalla provincia una lettera al collegio degli auguri nella quale
confessava di essersi ricordato, leggendo i libri augurali, di una
irregolarità commessa nel recarsi alla tenda rituale posta negli orti
di Scipione: dopo aver varcato una prima volta il pomerio per
provvedere alla convocazione del Senato, al ritorno, nel varcarlo di
nuovo, aveva dimenticato di prendere gli auspici; l'elezione dei
consoli non era stata quindi regolamentare.
Gli auguri riferirono al Senato e il Senato invitò i consoli a
dimettersi, il che essi fecero. Può darsi un esempio più convincente
di questo? Un uomo di estrema saggezza e, oserei dire, a tutti
superiore, preferì far pubblica confessione di un suo errore, che
avrebbe potuto rimanere celato, piuttosto che permettere che venisse
meno nello Stato il rispetto delle consuetudini religiose ed i consoli
preferirono deporre la suprema carica piuttosto che conservarla anche
un solo istante contro la religione.
12. Grande è l'autorità degli auguri. Ma che dire allora dell'arte
degli aruspici? Non deriva forse dagli dèi? Basta considerare gli
episodi riferiti e i numerosissimi altri dello stesso genere per
essere costretti ad ammettere l'esistenza degli dèi. Debbono infatti
esistere gli esseri di cui gli auguri sono interpreti : ma poiché
essi sono interpreti proprio degli
dèi non ci resta che riconoscere che gli dèi esistono.
Si potrà forse obiettare che non tutte le predizioni si realizzano.
Ma... non perché tutti i malati guariscono, non per questo non esiste
la medicina. Gli dèi ci forniscono dei segni degli eventi futuri: se
poi nell'interpretarli alcuni hanno sbagliato l'errore non sta certo
nella divinità, bensì nell'interpretazione degli uomini.
C'è pertanto un sostanziale accordo fra gli uomini di tutte le
nazioni, ché in tutti è innato e quasi scolpito nell'intimo il
concetto che esistono gli dèi.
Sulla loro natura c'è varietà di opinioni, ma nessuno ne nega
l'esistenza.
13. Secondo il nostro Cleante quattro satebbero le ragioni per le
quali avrebbe preso forma nell'animo umano l'idea della divinità. La
prima sarebbe quella di cui s'è detto or ora, quella, cioè, che
scaturisce dalla precognizione degli eventi futuri. La seconda la
ricaveremmo dall'intensità dei benefici che ci vengono forniti dalla
mitezza dei clima, dalla fecondità dei terreni e da tutta una serie
innumerevole di altre circostanze vantaggiose
14. La terza sarebbe determinata dal terrore che incutono nell'animo
umano i fulmini, le tempeste, le bufere, la neve, la grandine, le
devastazioni, la peste, i terremoti e, non di rado, i boati, la caduta
di pietre, le piogge di color rossiccio simili a sangue e,
occasionalmente, i franamenti, l'improvviso aprirsi di voragini nel
terreno, la nascita di mostri umani e animaleschi in contrasto con
l'ordine naturale, l'apparizione nel cielo di fuochi e di quelle
stelle che i Greci dicono chiomate e noi caudate e che tante sventure
preconizzarono nella recente guerra di Ottavio e, ancora, la comparsa
di due soli, un fenomeno che, come udii da mio padre, avvenne sotto il
consolato di Tuditano ed Aquilio, l'anno in cui morì Publio Africano,
il secondo sole di Roma, onde gli uomini atterriti avvertirono la
presenza di una forza divina operante nel cielo.
15. La quarta ragione, la più importante di tutte, ce la fornirebbe
la costante regolarità con cui il cielo, il sole, la luna compiono
ciascuno il proprio moto di rivoluzione, la distribuzione degli astri
tutti, nonché i benefici effetti che ne derivano, la bellezza dello
spettacolo, l'ordine che vi regna: una visione che al solo
contemplarla ci convince che non può trattarsi di fenomeni casuali.
Prendiamo il caso di un uomo che entri in una casa, o in una scuola, o
in un luogo di pubblica assemblea.
Osservando l'ordine, la regolarità, la disciplina che vi regnano sarà
impossibile per lui pensare che tutto ciò sia senza una ragione ma ne
dedurrà subito che c'è qualcuno che dà ordini e cui si ubbidisce. A
maggior ragione di fronte a movimenti così vasti e a vicende tanto
imponenti che, per quanto ci si riporti nel remoto passato, non
subirono mai la minima deroga, non potrà fare a meno dal riconoscere
che c'è un principio intelligente che regola la grandiosa dinamica
della natura.
16. Crisippo poi, nonostante il suo acutissimo ingegno, parla come se
quei principi gli fossero stati suggeriti dalla natura e non fosse
stato lui stesso ad acquisirli. " Se esiste nel mondo qualcosa -
sono sue parole - che né l'intelligenza dell'uomo, né la sua capacità
razionale, né la sua forza, né la sua potenza sono in grado di
realizzare, l'artefice di tale realizzazione è certamente un essere
superiore all'uomo. Ma i fenomeni celesti e tutti quelli inseriti in
un ordinamento valido per tutta l'eternità non possono essere opera
dell'uomo. Il loro autore è dunque migliore dell'uomo.
E come chiamare codesto essere se non dio? Infatti, ammesso che non
esistano gli dèi, che v'è nel mondo di superiore all'uomo? Ché solo
in lui v'è la ragione di cui nulla è più apprezzabile. D'altra
parte il ritenere che nulla vi sia al mondo di superiore a se stessi
è segno di stoltezza e di presunzione. Deve quindi esistere nel mondo
un essere superiore all'uomo e quest'essere non può che identificarsi
con la divinità.
17. Sta di fatto che se tu entri in una casa grande e bella non puoi
essere indotto a credere, pur non conoscendone il padrone, che siano
stati i topi e le faine a costruirla. Perché allora non ti si
dovrebbe considerare uno sciocco qualora tu ritenessi come tua dimora
e non degli dèi questo mondo così splendidamente adorno, questa
volta celeste di così varia ed intensa bellezza, queste sconfinate
distese di mari e di terre?
Ma il peggio si è che non riusciamo neppure a tenderci conto che
tutto ciò che è sopra di noi è migliore di noi, mentre la terra,
circondata com'è da una densissima atmosfera, occupa l'ultimo posto;
e lo stesso fenomeno che constatiamo in determinate regioni e in
determinate città i cui abitanti hanno capacità intellettuali più
limitate per la maggiore densità atmosferica, accade al genere umano
nel suo insieme in quanto dimora sulla terra che è la regione più
densa dell'universo.
18. Ciò non toglie però che, proprio partendo dalle elevate capacità
dell'umano intelletto, siamo necessariamente spinti a riconoscere
l'esistenza di una mente superiore alla nostra e di natura divina.
"Donde l'uomo avrebbe potuto trarre la sua?" si chiede
Socrate in un'opera di Senofonte. Se ci si limita a chiedere donde
l'uomo abbia tratto l'umidità ed il calore che vediamo intimamente
fusi nel suo corpo o i suoi organi interni solidamente connessi fra di
loro come avviene negli altri esseri terrestri o l'aria che si
respira, appare evidente che tutto ciò gli deriva in parte dalla
terra, in parte dall'elemento liquido, in parte dal fuoco, in parte
dall'aria che chiamiamo spirito.
Ma l'elemento che sovrasta tutti gli altri, la ragione (o mente o
facoltà deliberativa o pensiero o prudenza che dir si voglia) dove
l'abbiamo scovata, da quale fonte l'abbiamo ricevuta? Il mondo recherà
dunque in sé tutto il resto e mancherà di quest'unico elemento che
è senz'altro il più prezioso? Eppure fra tutto ciò che esiste non
v'è nulla che sia superiore a questo nostro inondo, nulla che sia più
apprezzabile o più bello: e non solo non esiste nulla che sopravanzi
l'eccellenza dei mondo, ma non è neppure possibile immaginarlo. E se
non c'è nulla di superiore alla ragione ed alla sapienza dobbiamo
necessariamente concludere che tale facoltà ha sede proprio in
quell'entità che riconosciamo essere al di sopra di tutto ciò che
esiste.
19. E che dire di una così compatta connessione di tutti gli esseri
fra loro in una perfetta unità di finalità e di intenti? Non
costringerà chiunque ad ammettere la validità delle mie
affermazioni? Come potrebbe altrimenti la terra ricoprirsi tutta di
fiori nel medesimo periodo e, in seguito, secondo un ritmo alterno,
rivestirsi di squallore? In mezzo a così vaste e profonde
trasformazioni come potrebbe distinguersi l'accostarsi o
l'allontanarsi del sole dalla terra in occasione dei due solstizi?
come potrebbero sollevarsi le maree negli stretti bracci di mare al
sorgere o al tramontare della luna o come conservarsi distinte le
orbite degli astri nonostante unico sia il moto di rivoluzione della
volta celeste?
Tutto questo complesso processo armoniosamente connesso ed organizzato
sarebbe del tutto impossibile se non fosse guidato da uno spirito
divino operante senza soluzione di continuità.
20. Quando codeste dottrine vengono esposte con abbondanza e
scorrevolezza di eloquio, come è mia intenzione dì fare, è più
facile sottrarsi agli attacchi degli Accademici; quando invece, al
modo di Zenone, si giunge troppo concisamente e brevemente alle
conclusioni, ci si espone maggiormente alle obiezioni. Come un fiume
che liberamente fluisce di rado o mai s'inquina, mentre facilmente ciò
può avvenire per un'acqua stagnante, cosi le obiezioni malevole del
critico si sgretolano sotto gli attacchi di un'oratoria fluente mentre
un eloquio serrato e conciso non riesce a difendere le proprie
posizioni. Le argomentazioni che noi veniamo esponendo con ampiezza di
particolari erano così condensate da Zenone:
21. "Tutto ciò che fruisce di ragione è superiore a ciò che
non ne fruisce; ma nulla è superiore al mondo; il mondo dunque
fruisce di ragione ". Con lo stesso procedimento si può
dimostrare che il mondo è saggio, che il mondo è felice, che il
mondo è eterno. Infatti tutti gli esseri che godono di tali
prerogative sopravanzano quelli che ne sono privi e nulla sopravanza
il mondo: di qui la conclusione che il mondo ha natura divina.
22. A Zenone appartiene anche quest'altra argomentazione: " Ad un
essere non dotato di sensibilità non può appartenere nulla che sia
sensibile; ma del mondo fanno parte esseri forniti di sensibilità; il
mondo quindi non può mancare di sensibilità". A questo punto il
ragionamento si fa più stringente e serrato: " Un'entità priva
di vita e di ragione - sono sempre parole d i Zenone - non può
generare dal suo seno un essere che possegga vita e ragione; ma il
mondo procrea esseri dotati di tali prerogative; anche il mondo quindi
è fornito di vita e di ragione".
Concludendo il suo dire Zenone ricorre, secondo il suo solito, ad una
similitudine: "Se un ulivo fosse in grado di produrre flauti dal
suono melodioso certo non esiteresti ad ammettere che l'ulivo possegga
l'arte di suonare il flauto. E quale sarebbe la tua conclusione se i
platani recassero delle corde risuonanti secondo le regole musicali?
Sarebbe certamente la stessa, che cioè anche i platani conoscono la
musica. Perché allora non considerare anche il mondo fornito di vita
e di saggezza dal momento che genera dal suo seno esseri siffatti?
".
23. Ma visto che ho incominciato a discostarmi da quanto avevo detto
(che cioè tutta questa prima parte non aveva bisogno di una
trattazione essendo a tutti manifesto che gli dèi esistono) voglio
comprovare questa verità con argomenti tratti dalla realtà naturale.
Il fatto è questo che tutti gli esseri che si nutrono e crescono
contengono in sé energia calorifica senza la quale non potrebbero né
nutrirsi né crescere; infatti tutto ciò che ha in sé fuoco e calore
si muove di un movimento suo proprio; ma tutto ciò che si nutre e
cresce è caratterizzato da un movimento continuo e costante, e quanto
più a lungo esso rimane in noi, tanto più a lungo rimangono in noi
la sensibilità e la vita, mentre quando il calore si indebolisce e si
estingue anche noi periamo e ci estinguiamo.
24. Questo prova Cleante anche dimostrando quanta energia calorifica
sia contenuta in ciascun corpo. Per lui non v'è cibo tanto massiccio
che non bruci in continuazione giorno e notte una volta ingerito; ed
il calore che ne deriva si conserva ancora nei rifiuti di cui la
natura si sbarazza. Inoltre le vene e le arterie non smettono mai di
pulsare come se fosse del fuoco ad imprimere loro il movimento e
spesso si è osservato che il cuore strappato ad un animale palpitava
in modo tale da imitare il rapido movimento della fiamma. Tutto ciò
che vive dunque, sia esso animale o vegetale, vive in forza del calore
che reca chiuso in sé. Dal che si deve dedurre che la sostanza che
costituisce il calore possiede una forza vitale che si estende
all'intero universo.
25. E più facilmente comprenderemo questa verità se svilupperemo più
dettagliatamente codesto argomento del fuoco che condiziona tutti gli
altri. Tutte le parti dei mondo dunque (e mi rifarà alle più grandi)
si conservano perché sostenute dal fuoco. Questo lo si può vedere
osservando in primo luogo tutto ciò che risulta composto di terra. Se
battiamo o trituriamo delle pietre ne vediamo scaturire del fuoco e
analogamente possiamo osservare che la terra, quando sia stata scavata
da poco, fuma per il calore e che dai pozzi perenni si attinge acqua
calda soprattutto nel periodo invernale in quanto una grande massa di
calore giace nelle cavità sotterranee e, poiché durante l'inverno la
terra si fa più densa, finisce coi condensare il calore in essa
contenuto.
150. Con quanta proprietà sono in grado di adempiere le loro funzioni
e di quante arti sono ministre le mani che la natura ci ha dato! La
contrazione e l'estensione delle dita, resa agevole dalla morbidezza
dei collegamenti e delle articolazioni si esplica, comunque si
muovano, senza la minima fatica. Appunto per questo la mano è adatta
a dipingere, a modellare, a scolpire e a trar suoni dalle corde e dai
flauti mediante l'applicazione delle dita.
Ma oltre a queste attività aventi per scopo il diletto dell'uomo ci
sono anche quelle che provvedono alle sue necessità: intendo qui
riferirmi alla coltivazione dei campi, alla costruzione delle case,
alla fabbricazione dei vestiti, siano essi tessuti o cuciti e a tutta
in genere la lavorazione del bronzo e del ferro. Orbene, è stato
proprio applicando le mani dei lavoratori alle scoperte del pensiero e
alle osservazioni dei sensi che siamo riusciti a raggiungere tutti i
risultati che ci hanno permesso di vivere al riparo, ricoperti di
vesti e al sicuro da insidie, di possedere città, muri, case, templi.
151. Inoltre l'attività dell'uomo, o meglio, delle sue mani, è in
grado di fornire grande varietà ed abbondanza di cibi. Molti sono i
prodotti dei campi dovuti alla mano dell'uomo che o vengono subito
consumati o vengono messi ad invecchiare: ad essi si devono aggiungere
gli animali terrestri, acquatici e forniti di ali di cui ci nutriamo
dopo averli catturati od allevati. Sottoponendoli alla nostra volontà
siamo anche riusciti ad adibire i quadrupedi al nostro trasporto e
sfruttando la loro forza e velocità acquistiamo anche noi forza e
velocità.
Su determinati animali carichiamo i nostri pesi ed imponiamo dei
gioghi, volgiamo a nostro vantaggio gli acutissimi sensi degli
elefanti e la sagacità dei cani, strappiamo alla profondità della
terra il ferro, metallo indispensabile alla coltivazione dei campi,
scopriamo remotissime vene di rame, d'argento e d'oro utili ad un
tempo ed adatte ad ornarci, tagliamo gli alberi crescenti allo stato
selvaggio o che noi stessi abbiamo coltivati e del materiale che ne
ricaviamo facciamo o legna da ardere, per cuocere i cibi e per
riscaldarci, o legname da costruzione per proteggerci dalle
intemperie.
152. Il legname è di grande utilità anche per la costruzione delle
navi che, con le loro traversate, fanno affluire da ogni parte grande
abbondanza di prodotti indispensabili per la nostra esistenza. Solo
noi uomini, grazie alla scienza della navigazione, siamo in grado di
dominare e regolare elementi quali i mari ed ì venti, che la natura
ha dotato di straripante potenza, e innumerevoli sono i prodotti
marini che abbiamo saputo sfruttare e volgere a nostro vantaggio.
Parimenti di tutte le cose utili che vengono dalla terra l'uomo è
signore incontrastato. E' opera nostra lo sfruttamento dei monti e
delle pianure, i fiumi ed i laghi sono in nostro potere, siamo noi che
seminiamo i cereali, che piantiamo gli alberi, che fecondiamo i
terreni con opere di canalizzazione e di irrigazione, che arrestiamo,
che incanaliamo, che deviamo il corso dei fiumi, che ci sforziamo, in
ultima analisi, di costituire in seno alla natura una specie di
seconda natura.
29. Esiste dunque un elemento naturale che abbraccia in sé tutto
l'universo e ne preserva l'esistenza, un elemento dotato di sensibilità
e di ragione. Gli è che ogni essere naturale che non si riduca ad
un'unica ed indifferenziata natura, ma risulti costituito dall'unione
di più elementi connessi fra loro, deve recare in sé un principio
direttivo che nell'uomo è la ragione e nell'animale qualcosa che
assomiglia alla ragione e da cui scaturiscono le inclinazioni
naturali.
Quanto agli alberi ed agli altri esseri che sorgono dalla terra si
ritiene che tale principio abbia sede nelle loro radici. Per principio
direttivo intendo quello che i Greci chiamano hgemonikon, un principio
di cui non vi può essere nulla di più eccellente, qualunque sia la
categoria di oggetti cui ci si riferisca. Ne consegue che l'elemento
in cui ha sede il principio direttivo di tutta la realtà naturale
deve necessariamente eccellere su tutti gli altri ed essere il più
degno di dominare e guidare la totalità degli esseri.
30. D'altra parte constatiamo che nelle varie parti dei mondo (non v'è
nulla nel mondo che non sia parte dei tutto) c'è sensibilità e
ragione. Orbene, tali facoltà non potranno non essere presenti, ed in
grado ed intensità maggiore, laddove ha sede il principio direttivo
dell'universo. Il mondo dovrà dunque essere dotato di sapienza e
quell'elemento che abbraccia in sé tutti gli esseri dovrà eccellere
per la perfezione della sua facoltà razionale e in conseguenza di ciò
il mondo dovrà essere un dio e l'intera sua massa ed energia
identificarsi con la sostanza e potenza divina.
31. Analogamente anche quell'ardore che permea l'universo dovrà
essere molto più puro, molto più luminoso, molto più mobile e per
ciò stesso molto più atto ad agire sui sensi di questo nostro calore
in virtù del quale si conservano nel pieno della loro forza vitale
gli esseri a noi noti.
Se dunque gli uomini e gli animali sono posseduti da codesto calore e
da esso ricevono movimento e sensibilità, è assurdo ritenere che il
mondo sia privo della facoltà dei sensi specie se si considera che
quell'ardore incontaminato, libero, puro e perciò stesso estremamente
penetrante e mobile di cui il mondo è permeato e cui il mondo stesso
appartiene non riceve impulsi da forze estranee operanti dal di fuori
ma si muove spontaneamente e per impulso suo proprio. Infatti quale
forza vi può essere superiore a quella dei mondo, capace di imprimere
un movimento a quel calore di cui esso è permeato?
32. Ascoltiamo quello che dice Platone che è un po' come il dio dei
filosofi. Secondo lui esisterebbero due tipi di movimento, l'uno
spontaneo, l'altro di origine esterna; e tutto ciò che si muove
spontaneamente per impulso proprio parteciperebbe della natura divina
in grado maggiore di ciò che si muove per spinta altrui. Unica sede
di codesto movimento spontaneo sarebbe l'anima e dall'anima soltanto
trarrebbe origine ogni movimento. In conseguenza di ciò poiché ogni
movimento trae origine dal calore cosmico e questo calore non si muove
per impulso estraneo ma
spontaneamente, esso si identifica necessariamente con lo stesso
principio vitale: il che prova che il mondo è un essere fornito di
vita.
Un'altra prova che nel mondo ha sede un principio intelligente la si
potrà ricavare dal fatto che il mondo e superiore ad ogni altro
essere che ne faccia parte. Come non esiste una sola parte del nostro
corpo che abbia maggior peso di ciò che noi stessi siamo, così il
mondo nel suo insieme deve necessariamente sopravanzare per importanza
ogni sua singola parte. E se ciò è vero è giocoforza che il mondo
sia anche dotato di sapienza. In caso contrario l'uomo, che è parte
del mondo, in quanto partecipe della ragione, dovrebbe essere da solo
superiore all'intero universo!
33. Inoltre se procediamo dagli esseri più semplici e più
rudimentali esistenti in natura verso i più elevati e i più
perfetti, finiremo necessariamente col giungere alla divinità. I
primi esseri che vediamo mantenuti in vita dalla natura sono i
vegetali ai quali essa non elargisce alcun altro beneficio se non
quello di conservarli provvedendo alla loro alimentazione ed alla
crescita.
34. Agli animali ha dato anche la sensibilità, il movimento e una
naturale attrazione verso tutto ciò che può essere loro di vantaggio
e una naturale repulsione per tutto ciò che può loro nuocere.
All'uomo ha dato qualcosa di più concedendogli la ragione per il
controllo degli istinti che debbono essere a seconda dei casi favoriti
o repressi.
Il quarto grado, il più elevato fra tutti, è occupato da quegli
esseri che nascono naturalmente buoni e sapienti e che recano in sé
connaturata fino dall'inizio una ragione immune da errori e da
contraddizioni; tale facoltà dobbiamo considerarla superiore all'uomo
e attribuirla alla divinità, vale a dire al mondo al quale soltanto
può appartenere quella perfetta ed autonoma ragione di cui io parlo.
35. Ciò non esclude, naturalmente, che qualcosa di definitivo e di
perfetto possa esistere anche in altri campi della realtà naturale.
Come nello sviluppo delle viti e degli armenti, se non interviene una
forza ostile, la natura seguendo un suo particolare cammino riesce a
giungere alla piena realizzazione del suo scopo e come la pittura,
l'architettura e le altre arti posseggono un loro supremo grado di
perfezione, allo stesso modo ed in grado assai maggiore la perfezione
dovrà realizzarsi ed attuarsi nell'ambito della natura presa nel suo
insieme. Alla piena realizzazione dei singoli esseri possono opporsi
molteplici cause provenienti dall'esterno, ma nulla può essere di
impedimento alla totalità della realtà naturale dal momento che essa
tutto contiene e racchiude in sé. Deve quindi esistere nella scala
degli esseri questo quarto grado superiore a tutti gli altri ed
inaccessibile ad ogni forza contraria.
36. In esso ha sede l'intera realtà naturale e poiché da essa
dipendono tutti gli esseri e nulla può esserle di ostacolo ne viene
di conseguenza che il mondo debba essere dotato di intelligenza e di
sapienza.
Che v'è di più sciocco che affermare che quella natura che abbraccia
in sé tutti gli esseri, non eccella al massimo grado su tutti o che,
pur eccellendo, non sia in primo luogo dotata di vita, in secondo
luogo dotata di ragione e di giudizio e, infine, non sia sapiente?
Come potrebbe altrimenti eccellere su tutti?
Se fosse simile ai vegetali o agli animali potrebbe essere
indifferentemente considerata come la migliore o la Peggiore delle
creature e se fosse partecipe della ragione, ma non lo fosse fin dalle
origini, la condizione dell'uomo non sarebbe inferiore a quella del
mondo; mentre l'uomo può divenire sapiente, il mondo, se non lo è
stato per tutta l'immensa estensione del tempo passato, non è
certamente destinato a raggiungere la sapienza neppure in futuro: in
tal caso sarebbe addirittura inferiore all'uomo! Ma poiché ciò è
assurdo dobbiamo considerare il mondo come dotato fin dai primordi di
sapienza e facente tutt'uno con la divinità.
37. Noti v'è alcun essere, al di fuori del mondo, cui nulla manchi e
che sia perfettamente compiuto ed idoneo alle sue funzioni in ogni
minimo particolare.
Con singolare acutezza Crisippo sostiene che, come per lo scudo si
escogitò una copertura e per la spada una vagina, così tutti gli
esseri, fatta eccezione per il mondo nel suo insieme, furono creati a
motivo di altri. Quelle messi e quei frutti che la terra produce
sarebbero stati creati per servire agli animali creati a loro volta
per servire all'uomo: il cavallo per trasportarlo, il bue per arare la
terra, il cane per aiutarlo nella caccia e per proteggerlo. L'uomo
poi, in sé imperfetto ma partecipe di ciò che è perfetto, sarebbe
nato per contemplare ed imitare il mondo.
38. Ma il mondo, poiché abbraccia in sé ogni cosa e nulla esiste che
non ne faccia parte, è assolutamente perfetto.
Non potrà quindi mancare dell'elemento che eccelle su tutti gli
altri, e poiché tale elemento si identifica con il pensiero e con la
ragione, al mondo non potrà mancare tale facoltà. Esatto è quindi
quanto dice Crisippo il quale, ricorrendo a delle similitudini,
afferma che ogni creatura è più apprezzabile quando ha raggiunto il
suo pieno sviluppo (che cioè, tanto per fare degli esempi, un cavallo
è preferibile ad un puledro, un cane ad un cucciolo, un uomo ad un
bambino) e che, parimenti, poiché ciò che di buono si trova nel
mondo deve consistere in qualcosa di assolutamente compiuto e
realizzato;
39. e poiché, d'altra parte, nulla vi è di superiore al mondo, nulla
di più apprezzabile della virtù, anche il mondo deve possedere la
virtù come una caratteristica essenziale. La natura umana non è
affatto perfetta, eppure si attua in essa la virtù : quanto più
facilmente si attuerà allora nel mondo! e se cle virtù nel mondo,
esso è sapiente e, conseguentemente, divino.
Una volta accertata la divinità del mondo, questa stessa divinità
dovremo attribuirla alle stelle che traggono origine dalla parte più
mobile e più pura dell'etere: esse non sono contaminate da alcun
altro elemento e sono in tutto calde e trasparenti sì che molto
giustamente si afferma che siano dotate di vita, di sensibilità e di
ragione.
40. E che le stelle siano totalmente costituite di fuoco risulterebbe,
secondo Cleante, dalla testimonianza di due organi dei senso, il tatto
e la vista. Sta di fatto che il caldo splendore del sole supera quello
di ogni altro fuoco come è naturale che avvenga per un corpo luminoso
che diffonde per così largo spazio la sua luce nell'immensità
dell'universo ed al tatto il suo calore non si limita a riscaldare ma
brucia: effetti questi che non si verificherebbero se il sole non
fosse composto di fuoco. "Se dunque il sole è composto di fuoco
- conclude a questo punto Cleante - ed e alimentato dai vapori che
esalano dall'Oceano (che nessun fuoco potrebbe conservarsi se non
alimentato da qualche parte) bisogna che quel fuoco sia simile o a
quello dì cui noi ci serviamo di solito per le necessità della vita
o a quello contenuto negli esseri viventi.
41. Sennonché, mentre codesto nostro fuoco richiesto dalle necessità
della vita distrugge e consuma ogni cosa e, dovunque si porta, tutto
sconvolge e disperde, l'altro fuoco apportatore di vita e di salute
che alberga nei corpi animati conserva' nutre, accresce, sostiene e
rende capaci di sensazioni gli esseri tutti ". Secondo Cleante,
dunque, non vi sarebbe dubbio a quale categoria di fuoco assomigli il
sole dal momento che anch'esso fa fiorire e sviluppare le varie
creature ciascuna nell'ambito della sua specie. In conseguenza di ciò,
poiché il fuoco che costituisce il sole è simile a quello che entra
nella composizione degli esseri viventi, anche il sole dovrà essere
fornito di vita e, al pari del sole, tutti i rimanenti astri che
nascono in quella volta infuocata che ha nome etere o cielo.
42. Aristotele poi, partendo dalla considerazione che la nascita di
alcuni animali ha luogo sulla terra, di altri nell'acqua e di altri
ancora nell'aria, ritiene assurdo che nessun animale nasca in quella
zona che è la più adatta a generare degli esseri viventi. Ma le
stelle occupano proprio la zona dell'etere e poiché quest'ultimo è
di struttura tenuissima e si muove con estrema rapidità, ne consegue
che un essere vivente nato in esso dovrà essere caratterizzato da
un'acutissima sensibilità e da una estrema mobilità. E' quindi ovvio
che gli astri, essendo nati nell'etere, posseggono sensibilità ed
intelligenza e che, conseguentemente, siano da annoverare fra gli dèi.
Inoltre possiamo constatare che in quelle zone in cui l'atmosfera è
pura e rarefatta abitano uomini di ingegno più perspicace e di
intuizione più pronta di coloro che respirano un'aria densa e
pesante:
43. E' anzi opinione che persino il cibo di cui ci si nutre abbia
qualche influsso sul grado di intelligenza. E' quindi naturale che
negli astri vi sia una intelligenza superiore visto che essi risiedono
nella zona eterea del mondo e le esalazioni marine e terrestri che li
nutrono giungono loro assottigliate dalla lunga distanza.
E che vi sia sensibilità ed intelligenza negli astri lo prova
soprattutto l'ordine e la regolarità dei loro movimenti in cui nulla
vi è di casuale, nulla di mutevole, nulla di fortuito (senza un dis
egno prestabilito, infatti, nulla può muoversi secondo una legge ed
un ritmo determinati). Inoltre il persistere attraverso un tempo
illimitato di un rigoroso ordine nel movimento degli astri non è
indice né di un processo naturale (data la sua rigida razionalità) né
di un effetto dei caso, ché quest'ultimo ama la varietà e respinge
la regola. Ne consegue che gli astri si muovono di moto proprio e in
virtù della loro sensibilità e della loro natura divina.
44. Non si può fare a meno di apprezzare quanto ci dice al proposito
Aristotele secondo il quale ogni corpo in movimento si muove o per
impulso naturale o per forza esterna o per propria volontà. Ora il
sole, la luna e gli astri tutti sono corpi in movimento; sennonché,
mentre tutto ciò che si muove per impulso naturale è trascinato in
basso dal suo peso o verso l'alto dalla sua levità, nulla di simile
si verifica per il movimento degli astri che percorrono invece orbite
circolari. Né si può dire che ciò avvenga per intervento di una
forza più potente che costringa gli astri a muoversi in contrasto con
le leggi naturali (come infatti concepire una forza siffatta?); non
resta altro che concludere che il movimento degli astri dipende dalla
loro volontà.
Chi si rendesse conto di questo non solo darebbe prova di ignoranza a
negare gli dèi, ma si macchierebbe anche di empietà. Né v'è gran
differenza fra la negazione assoluta e il privare gli dèi di ogni
cura e di ogni attività: per me chi non compie alcuna azione neppure
esiste. L'esistenza degli dèi è dunque una realtà così evidente
che il negarla lo ritengo poco meno che segno di demenza.
45. Resta da esaminare quale sia la natura degli dèi, un argomento a
proposito del quale nulla è più difficile che astrarre gli occhi
della mente dalla realtà visibile. Tale difficoltà ha fatto sì che
le masse ignoranti e, filosofi della loro stessa levatura non siano
riusciti a pensare agli dèi se non rappresentandoli sotto sembianze
umane. L'inconsistenza di tale opinione è già stata dimostrata da
Cotta e non occorre che io aggiunga altro.
Tuttavia poiché noi sulla base di un preciso concetto possediamo una
anticipata cognizione della divinità come essere vivente e come
essere cui nessun altro può essere superiore in natura, mi sembra che
nulla si adatti meglio a codesto anticipato concetto dell'affermazione
che questo stesso mondo di cui non vi può essere un altro più
apprezzabile sia ad un tempo vivente e divino.
46. Scherzi pure quanto vuole Epicuro, un uomo tutt'altro che
spiritoso e che ben poco sembra aver conservato dell'arguzia
caratteristica della sua terra d'origine; dica pure di non riuscire a
concepire una divinità circolare fornita di moto rotatorio: non
riuscirà ugualmente a farmi recedere da una convinzione che è anche
la sua. E' infatti sua opinione che gli dèi esistono in quanto deve
necessariamente esistere un essere che sopravanzi tutti gli altri e al
quale nessun altro sia superiore. D'altra parte nulla è superiore al
mondo e non c'è dubbio che un essere vivente fornito di vita, di
sensibilità, di ragione e di intelligenza superi chi di tali beni è
privo.
47. Ne consegue che il mondo debba essere un'entità vivente dotata di
sensibilità, di intelligenza e di ragione, donde la conclusione che
il mondo fa tutt'uno con la divinità. Ma tutto ciò lo ricaveremo più
facilmente fra non molto da quelle che sono le creazioni del mondo.
Frattanto tu, Velleio, dovresti farmi il favore di non addurre la
solita scusa della vostra ignoranza in campo scientifico. Tu dici che
il cono, il cilindro e la piramide ti appaiono più belli della sfera.
Davvero originale è il vostro modo di giudicare le sensazioni visive!
Ma ammettiamo pure che quelle figure diano, almeno apparentemente, la
sensazione di una maggiore bellezza; la sostanza però, a mio avviso,
è ben diversa. Che vi può essere di più bello di quella figura che
sola abbraccia e contiene tutte le altre, che non può presentare
sulla sua superficie né rugosità, né gibbosità, né angolosità, né
avvallamenti, né protuberanze, né rientranze?
Due sono le figure geometriche che si impongono su tutte le altre: il
globo fra i solidi (cosí ci piace tradurre il termine sfairan) e il
circolo o cerchio (il kukloV dei Greci) fra le figure piane. Solo ad
esse appartiene la proprietà di essere in tutto uniformi sì che ogni
parte risulti equidistante dal centro e nulla vi può essere di più
unitario di tale configurazione.
48. E anche se non riuscite ad intendere queste verità non avendo mai
sfiorato la polvere della sapienza, dovreste almeno comprendere, da
studiosi della natura quali siete, che codesta costante uniformità di
ordinati movimenti non avrebbe potuto conservarsi in una figura
diversa dalla sfera. Nulla vi può essere pertanto di più sciocco di
quanto voi andate affermando: che, cioè, non è accertato che codesto
nostro mondo abbia forma sferica, ma potrebbe anche averne una diversa
e che vi sono innumerevoli mondi dalle forme più svariate.
49. Se Epicuro avesse saputo quanto fa due per due non direbbe simili
sciocchezze; gli è che mentre andava assaporando coi palato i cibi
per stabilire quale fosse il migliore, non si prese cura di figgere
gli occhi in quello che Ennio chiama " il palato del cielo
".
Gli astri possono essere di due specie: i primi percorrono sempre la
stessa orbita dal loro sorgere al loro tramonto e non subiscono
deviazioni di sorta; gli altri compiono due ininterrotte rivoluzioni
sempre seguendo l'identico percorso.
Da ambedue queste constatazioni si ricava sia il moto rotatorio del
cielo, che non può attuarsi se non nell'ambito di una figura sferica,
sia le orbite circolari dei corpi celesti.
Primo fra tutti il sole che esercita il suo dominio su tutti gli altri
astri. il suo movimento è tale che, dopo aver invaso le terre con un
largo fiotto di luce, le avvolge nell'ombra or qua or là in quanto è
la stessa terra che, opponendosi al sole, produce la notte.
Perfettamente equilibrata è la distribuzione delle ore diurne e di
quelle notturne. I periodici avvicinamenti ed allontanamenti dei sole
regolano la distribuzione del caldo e dei freddo.
Il ciclo è compiuto da 365 rivoluzioni più la quarta parte di un
giorno; volgendo il suo corso ora a settentrione, ora a mezzogiorno,
il sole determina le estati e gli inverni nonché le due stagioni
delle quali l'una fa seguito al senescente inverno, l'altra
all'estate. Da tale alternanza traggono origine e ragion d'essere le
creature generate per terra e per mare.
50. Ad intervalli mensili la luna compie lo stesso corso annuale del
sole: la sua vicinanza al sole ne attenua al massimo la luminosità
mentre, quanto più se ne allontana, tanto più accresce il proprio
splendore. E non sono solo l'aspetto e la forma della luna a mutare
attraverso il suo alterno crescere e decrescere e ritornare
all'aspetto iniziale, ma muta anche la sua posizione nel cielo che ora
è a nord ora a sud. Anche nel corso della luna v'è qualcosa di
simile al solstizio d'inverno ed a quello d'estate e da essa promanano
e fluiscono molti alimenti di cui si nutrono gli animali ed in grazia
dei quali le creature che sorgono dalla terra si accrescono,
fioriscono e giungono a maturazione.
51. Oggetto di grandissima ammirazione sono i movimenti di quei cinque
astri che a torto vengono chiamati erranti: a torto, ché non può
parlarsi di errore quando gli avanzamenti, gli arretramenti e gli
altri movimenti si conservano fissi e immutati per tutta l'eternità.
E tale regolarità è tanto più meravigliosa nel corso di codeste
stelle in quanto ora scompaiono dalla vista ed ora ricompaiono di
nuovo, ora avanzano ed ora retrocedono, ora precedono le altre ed ora
le seguono, ora si muovono più lentamente ed ora più velocemente, o
non si muovono affatto ma rimangono immobili per un tempo determinato.
Da tale disparità di movimenti gli scienziati hanno tratto la
denominazione e il concetto del " grande anno " che allora
può dirsi compiuto quando il sole, la luna e i cinque pianeti tornano
ad assumere l'identica posizione relativa degli uni rispetto agli
altri;
52. molto si discute sulla durata di tale periodo, ma è certo che
essa deve essere fissa e determinata. Quella che chiamano stella di
Saturno (Fainwnque per i Greci), la più distante di tutte dalla
terra, compie il suo corso in circa trent'anni. Straordinaria è la
varietà delle sue fasi : ora è in anticipo sul moto degli altri
corpi celesti, ora è in ritardo, ora si nasconde sul far della sera,
ora ricompare di nuovo sul far del mattino. Ciò non toglie però che
essa nell'infinita estensione del tempo attraversi sempre con puntuale
regolarità le medesime fasi. Al di sotto di essa e più vicino alla
terra si muove la stella di Giove che i Greci chiamano Faeqwn. In
dodici anni essa compie l'identico percorso attraverso le dodici
costellazioni e presenta le stesse fasi della stella di Saturno.
53. L'orbita immediatamente inferiore è occupata da PuroeiV che
chiamano stella di Marte e che, a mio parere, compie la stessa
rivoluzione delle precedenti in ventiquattro mesi meno sei giorni. Al
di sotto dì questa c'è la stella di Mercurio che i Greci chiamano
Stibwn, nel giro di un anno all'incirca percorre l'intero zodiaco e
non dista mai dal sole (che ora precede ed ora segue) di un intervallo
maggiore di quello di una costellazione. La più bassa fra tutte e la
più vicina alla terra è la stella di Venere. Quando precede il sole
ottiene la denominazione greca di FwsforoV e quella latina di
Lucifero, quando lo segue quella di EsperoV; nel giro di un anno
compie l'intero percorso sia nel senso della latitudine sia in quello
della longitudine, esattamente come le stelle che si trovano al di
sopra di lei, e non si allontana mai dal sole di un intervallo
superiore a quello di due costellazioni pur alternando fasi in cui
precede il sole con fasi in cui lo segue.
54. Questa regolarità dei moti stellari, questa così puntuale ed
armonica corrispondenza delle. varie orbite percorse risultano per me
incomprensibili se non si riconosce l'intervento di un'intelligenza
che le predisponga secondo princìpi razionali. E poiché risulta che
tale intelligenza risiede proprio nelle stelle, non possiamo fare a
meno di annoverare anch'esse fra gli dèi.
All'ammissione di un identico principio intelligente e saggio ci
conduce la considerazione di quelle stelle che chiamano fisse. Ogni
giorno percorrono con perfetta regolarità l'identica orbita, ma i
loro movimenti non sono legati a quelli dell'etere e i loro percorsi
non risultano fissati alla volta del cielo, come ritiene la maggior
parte degli indotti. La consistenza dell'etere non è tale da
permettergli di ravvolgere e trascinare con sé le stelle: la scarsa
densità, la sua trasparenza, la sua uniformità di colore lo rendono
inadatto a contenere le stelle fisse.
55. Le stelle fisse hanno dunque una loro orbita distinta ed
indipendente dall'unione con l'etere. I loro movimenti perennemente e
perfettamente ispirati ad una mirabile ed eccezionale regolarità
provano la presenza in esse di un potere divino ed intelligente e chi
non è disposto a riconoscere la divinità di questi corpi celesti
dimostra di non essere in grado di comprendere alcunché.
56. Nel cielo non v'è posto per il caso, per l'imprevisto, per
l'eccezione, per l'incertezza, ma tutto è ordine, precisione, calcolo
e regolarità. E tutto ciò che manca di tali requisiti, in quanto
falso e permeato di disordine, lo si ritrova nello spazio che circonda
la terra al di sotto dell'orbita della luna, il più basso dei corpi
celesti, e sulla nostra terra. Chi ritenesse che l'ordine mirabile e
l'eccezionale regolarità dei fenomeni celesti, da cui dipende
totalmente il sostentamento e la sopravvivenza delle creature tutte,
non sia soggetto ad un principio intelligente dovrebbe ritenersi egli
stesso privo d'intelligenza.
57. Penso dunque di non sbagliare traendo spunto per la mia
trattazione da colui che per primo si dedicò alla ricerca della verità.
Zenone definisce la natura come fuoco artificiere che procede alla
generazione degli esseri secondo un metodo preciso. Compito proprio e
peculiare dell'attività artistica è infatti, secondo il nostro
filosofo, quello dì provvedere alla generazione e creazione delle
cose e ciò che nelle nostre creazioni artistiche è opera della mano
dell'uomo, con arte assai più raffinata lo compie la natura, cioè,
come s'è detto, quel fuoco artificiere, maestro di tutte le altre
arti. E la ragione per la quale la natura tutta è dotata di facoltà
artistiche è che segue le direttive metodiche di una ben definita
scuola.
58. In realtà la natura del mondo che avvolge e stringe nel suo
abbraccio gli esseri tutti non solo procede con arte ma è essa
stessa, come dice Zenone, un vero artista: suo compito è quello di
provvedere e predisporre tutto ciò che può essere di utilità e di
vantaggio, E come le altre creature naturali sono procreate ciascuna
dal proprio seme e si sviluppano contenendosi entro i limiti della
propria specie, così quell'entità che costituisce il mondo compie
tutti i suoi movimenti in seguito ad un atto di volontà ed è
soggetta a tendenze ed a istinti (le ormaV dei Greci) ai quali ispira
le proprie azioni così come facciamo noi che ci lasciamo guidare
dalla sensibilità e dall'intelletto.
Poiché tale è la natura del mondo, e in conseguenza di ciò, le
competono a buon diritto gli appellativi di "saggezza" e
"provvidenza (i Greci dicono pronoia)", ciò cui essa
soprattutto tende e per cui si impegna a fondo è che nel mondo vi
siano i migliori presupposti per la sua conservazione, che nulla gli
venga a mancare e che, soprattutto, in esso risplenda una suprema
bellezza e siano presenti tutti gli elementi atti ad aumentarne il
fascino.
59. Si è parlato del mondo nel suo insieme e si è anche parlato
degli astri, sì che dovrebbe ormai risultare oltremodo chiaro che
esiste un numero considerevole di dèi che, se non se ne stanno del
tutto inattivi, neppure, però, svolgono la loro attività gravati da
un lavoro debilitante e penoso. Gli è che non sono composti di vene,
di muscoli e di ossa e non si nutrono dei nostri cibi e delle nostre
bevande che rendono troppo agri o troppo densi gli umori. Per effetto
della loro consistenza corporea non hanno ragione di temere cadute,
colpi o malattie dovute ad affaticamento fisico, sono esenti cioè
proprio da quei timori per ovviare ai quali Epicuro immaginò degli dèi
offrenti solo una parvenza di figura e del tutto inattivi.
Il loro aspetto risplende di una suprema bellezza e la loro dimora è
collocata nella zona più pura del cielo: dal modo in cui compiono i
loro movimenti e percorrono le loro orbite risulta evidente che tutto
concorre in essi alla conservazione ed alla tutela dell'universo.
60. Molte altre categorie di divinità in grazia delle loro
benemerenze furono riconosciute ed espressamente menzionate dagli
uomini più sapienti di Grecia e dai nostri antenati. Essi partivano
dalla considerazione che tutto quanto risulta di grande utilità per
il genere umano sia senz'altro dovuto alla bontà divina. Di qui l'uso
di denominare le opere compiute dagli dèi coi loro stesso nome, così
come oggi noi chiamiamo Cerere le messi e Libero il vino. A tale
consuetudine si ispira anche il noto verso di Terenzio: "Venere
ha freddo senza Cerere e Libero".
61. Analogamente attribuiamo titoli divini a particolari facoltà
dotate di poteri superiori come la Fede e la Mente che di recente
abbiamo visto elevate a dignità divina sul Campidoglio ad opera di
Marco Emilìo Scauro, benché alla Fede tale dignità fosse già stato
conferita molti anni prima da Appio Atilio Calatino. Esiste, e puoi
vederlo, un tempio dedicato alla Virtú ed uno all'Onore; quest'ultimo
restaurato di recente da Marco Marcello, ma già consacrato, non molti
anni prima, da Quinto Massimo, al tempo della guerra Ligustica. E che
dire dei templi della Prosperità, della Salute, della Concordia,
della Libertà, della Vittoria? E' evidente che, trattandosi di
situazioni e di modi di essere assumenti una tale portata da non
potersi immaginare se non regolati da una potestà divina, finirono
con l'essere identificati essi stessi con altrettante divinità. Si
giunge così al punto di divinizzare i nomi del Desiderio, del Piacere
e di Venere Lubentina, di entità, cioè, legate al vizio e non
naturali, benché (con buona pace dì Velleio che sostiene il
contrario) siano proprio questi viziosi istinti a forzare con maggiore
energia la natura.
62. In conclusione furono riconosciuti, in considerazione delle loro
benemerenze, tutti gli dèi che si erano resi autori di particolari
benefici e i nomi di cui si è appena detto stanno appunto ad indicare
il potere da ciascuno di essi esercitato.
Inoltre la comunità umana adottò l'uso di elevare al cielo tutti
coloro che si fossero distinti nel beneficare i loro simili, sia a ciò
indotti dalla fama da quelli raggiunta sia di propria spontanea
iniziativa. Di qui l'introduzione di divinità quali Ercole, Castore,
Polluce, Esculapio e lo stesso Libero (mi riferisco qui al dio omonimo
figlio di Semele, non a quel " Libero " che i nostri
antenati venerarono con solennità e devozione accanto a Cetere e a
Libera) la cui importanza cultuale è ravvisabile nelle pratiche
misteriche. In base alla considerazione che è nostra consuetudine
chiamare " liberi " i figli nati da noi, Libero e Libera
furono considerati figli di Cerere; il che vale per Líbera ma non
certo per Libero! Identica è l'origine del dio Romolo, che alcuni
ritengono sia da identificarsi con Quirino. In ogni caso fu la
sopravvivenza degli spiriti di codesti uomini ed il loro destino
immortale che ne fece, nella comune opinione, altrettante divinità
assommando essi in sé le prerogative dell'eternità e della
perfezione.
63. Un'altro processo razionale, poggiato per giunta su di un
substrato fisico, fece sorgere tutta una serie di dèì che, rivestiti
di sembianze umane, fornirono ai poeti spunto per i loro racconti
fantastici e riempirono la vita umana di ogni sorta di superstizioni.
E' questo un argomento già trattato da Zenong e più ampiamente
sviluppato da Cleante e Crisippo. Per giustificare l'antica
tradizione, nota a tutta la Grecia, secondo la quale Cielo sarebbe
stato evirato dal figlio Saturno e Saturno, a sua volta, messo in
ceppi dal figlio Giove, 64. si applicò a questi irrispettosi racconti
un'interpretazione di tipo naturalistico non priva di acutezza: si
ritenne cioè che quel mito stesse a significare che la sublime ed
eterea sostanza, cioè il fuoco, di cui risultano costituiti gli dèi
dei cielo e che tutto genera dal suo seno, manchi di quegli organi
che, per procreare, abbisognano dell'unione con un altro essere.
Saturno fu identificato col dio che regola i movimenti nello spazio e
lo scorrere del tempo; il suo nome greco sta ad indicare proprio
questo: Crono altro non è se non una leggera variante di cronoV, il
tempo. Quanto poi al nome Saturno deriva dal fatto che questo dio è
saturo di anni. La finzione che egli divorasse i propri figli sta a
simboleggiare
che il tempo distrugge i giorni che passano e fa degli anni trascorsi
il suo nutrimento senza riuscire mai a saziarsi.
Analogamente si immaginò che il figlio Giove lo mettesse in ceppi per
evitare che si abbandonasse a movimenti disordinati e per conservarlo
avvinto al moto degli astri. Il nostro Iuppiter al contrario, cioè il
pater iuvans (che nei casi obliqui denominiamo semplicemente Iovem dal
verbo iuvare) è celebrato dai poeti come "padre degli dèi e
degli uomini "e fu denominato dai nostri antenati" ottimo
massimo ", anzi "ottimo" (cioè sommamente benevolo)
prima ancora che "massimo", essendo cosa assai più
meritoria e gradita fare del bene a tutti che possedere molta potenza.
65. Ennio, come abbiamo avuto già occasione di ricordare, lo
apostrofa con queste parole: "contempla quest'astro che in alto
rifulge e che tutti chiamano Giove", e in un altro passo, benché
meno espressamente, scrive: "per quanto mi concerne maledirò
quest'astro splendente, quale esso sia". A lui è pure rivolta la
formula sacrale dei nostri auguri: "fulgendo e tonando
Giove"; con essa vogliono intendere: "fulgendo e tonando il
cielo". Euripide, infine, a parte gli altri numerosi squarci di
altissima poesia, dedica a Giove anche questo breve passo: "tu
vedi l'etere che si estende su in alto per uno spazio incommensurabile
/ e che cinge del suo tenero abbraccio la terra: / lui devi
considerare come dio supremo, lui invocare col nome di Giove".
66. Il fluido che, secondo le elucubrazioni degli stoici, occupa una
posizione intermedia fra il mare ed il cielo, ottiene anch'esso dignità
divina sotto il nome di Giunone, e poiché l'etere e questo fluido
sono due elementi molto simili e strettamente collegati l'uno
all'altro, Giunone è detta sorella e sposa di Giove. E' stata
l'estrema cedevolezza del nuovo elemento quella che ha fatto si che
gli sia stato attribuito un nome femminile e lo si sia identificato
con Giunone (ma, a mio parere, Iuno deriva dal verbo iuvare). A questo
punto restavano da divinizzare soltanto l'acqua e la terra per
realizzare la divisione in tre regni voluta dai racconti mitici.
Il primo regno, cioè il dominio su tutto il mare, fu affidato a
Nettuno che la tradizione vuole fratello di Giove ed il cui nome e un
ampliamento dei verbo nare, cosi come Portuno è un ampliamento di
porta, con la sola differenza che a nare sono state leggermente mutate
le lettere iniziali. La totalità della sostanza terrestre considerata
nella pienezza delle sue funzioni fu invece affidata al padre Dite che
è lo stesso che dire Dives (il ricco), il Ploutwn dei Greci;
denominazione giustificata dal fatto che ogni cosa ritorna alla terra
e da essa trae origine. A Dite si ricollega Proserpina (il nome è di
origine greca, trattandosi di quella dea che i Greci chiamano
Persefonh) che simboleggerebbe il seme del frumento e che la madre
avrebbe cercata dopo la sua scomparsa.
67. Il nome della madre, Cerere, deriva da "gerere fruges"
quasi che il vero nome fosse Geres e che si fosse poi casualmente
trasformata la lettera iniziale: lo stesso, d'altronde, accadde per il
corrispondente nome greco che è Dhmhthr in luogo di gh mhthr. Si
dette infine il nome di Mavors ad un dio che magna verteret
(provocasse grandi sconvolgimenti) e quello di Minerva alla dea che
minueret (riducesse) e minaretur (minaccíasse) Poiché in ogni
circostanza ciò che più conta è Fìnizio e la fine, si stabili che
nei sacrifici si invocasse per primo Giano. ll nome di questo dio
deriva dal verbo ire al quale si ricollegano pure i termini iani,
designanti le vie di passaggio e ianuae designanti le porte sulle
soglie degli edifici profani. Quanto a Vesta, è un nome di
derivazione greca
(trattasi della stessa dea che i Greci chiamano Estia ). La sua
influenza è rivolta alle are ed ai focolari e poiché a lei spetta la
tutela dell'intimità è sempre l'ultima ad essere invocata ed a
ricevere sacrifici.
68. Non molto diversa è la funzione degli dèi Penati il cui nome
deriva da penus (penus è tutto ciò di cui gli uomini si nutrono) o
dal fatto che essi risiedono penitus (nella parte piú interna della
casa), donde anche la denominazione poetica di penetrales. Quanto ad
Apollo è un nome greco ed è sinonimo di sole, cosí come Diana viene
identificata con la luna. Si dice "sole" vuoi perché
"Solo" fra tutti gli astri raggiunge una considerevole
grandezza, vuoi perché, una volta spuritato, oscura tutti gli altri
corpi celesti e si scorge esso "solo". Luna deriva dal verbo
lucere, come dimostra anche l'attributo Lucina; e come presso i Greci
durante i parti si invoca Diana aggiungendo l'epiteto di
"portatrice di luce", così fra noi si invoca Giunone
Lucina. Diana è detta anche Omnivaga non per la sua attività
"venatoria", ma perché la si annovera fra le sette stelle
cosiddette "vaganti";
69. è chiamata Diana perché durante la notte sembra riportare la
luce "diurna". Inoltre si ricorre a lei nei parti in quanto
essi giungono a maturazione nel giro talora di sette o, per lo più,
di nove cicli lunari che si chiamano "mesi" appunto perché
percorsi "misurati". Lo storico Timeo, venendo a parlare
dell'incendio del tempio di Diana Efesia scoppiato proprio nella notte
in cui vide la luce Alessandro, aggiunge, col suo consueto spirito,
che la cosa non deve stupire poiché in quel momento Diana si era
assentata da casa per assistere il parto di Olimpiade. Infine i nostri
chiamarono Venere la dea che "viene" ad ogni essere ed è
preferibile far derivare dal suo nome il termine "venustà"
piuttosto che attenersi alla derivazione opposta.
70. Potete ora constatare come partendo da eccellenti ed utili
scoperte relative al mondo della natura si sia giunti ad ammettere,
come ovvia conclusione, dèi falsi ed immaginari: di qui false
opinioni, errori conturbanti e superstizioni poco meno che senili.
Abbiamo così imparato a conoscere l'aspetto degli dèi, la loro età,
i loro abiti e ì loro ornamenti nonché il loro sesso, i loro
matrimoni e i loro rapporti di parentela e il tutto abbassato al
livello delle umane debolezze.
Basti dire che vengono rappresentati in preda alle passioni e la
tradizione ci informa dei loro desideri, delle loro amarezze, dei loro
sfoghi d'ira. Non furono neppure indenni da guerre e battaglie, come
riferiscono le leggende, e non si limitarono, secondo quanto narra
Omero, a parteggiare per l'uno o per l'altro di due eserciti in lotta,
ma combatterono proprie battaglie, come quelle contro i Titani e
contro i Giganti. Trattasi di credenze più che sciocche che rivelano
solo un'estrema superficialità e leggerezza.
71. Ad ogni modo però, pur disprezzando e respingendo codesti
racconti favolosi, potremo ugualmente riconoscere l'esistenza e la
natura della divinità Presente in ciascun elemento - Cerere sulla
terra, Nettuno nel mare, altri altrove - ed apprenderne il nome
consacrato dall'uso: e questi dèi è nostro dovere rispettare e
venerare. Non v'è nulla di
più elevato, dì più puro, di più venerando e di più sacro del
culto degli dèi purché li si venerino con purezza, rettitudine ed
integrità di mente e di parola. Del resto non furono solo i filosofi
ma anche i nostri antenati a distinguere la superstizione dalla
religione.
72. Coloro che trascorrevano le intere giornate a pregare e a far
sacrifici perché i loro figli sopravvivessero, perché fossero cioè
dei "superstiti", furono detti "superstiziosi", un
termine che assumerà in seguito un valore più ampio. Coloro invece
che riconsideravano e, per così dire, " rieleggevano "
tutte le pratiche del culto furono detti religiosi dal verbo relegere
così come elegantes deriva da eligere, diligentes da diligere e
intellegentes da intellegere. In tutte queste parole è implicito lo
stesso significato dí legere che troviamo in "religioso".
Accadde così che il termine "superstizioso" esprimesse un
difetto, "religioso", invece, un pregio. Con ciò mi sembra
di aver esaurito quanto avevo da dire sull'esistenza e sull'essenza
degli dèi.
73. Mi resta ora da dimostrare che il mondo è retto dalla provvidenza
divina. Trattasi di un argomento importante e oggetto di viva
discussione da parte di quelli della scuola del nostro Cotta, ed è
proprio con loro che bisogna discuterne. Quanto a voi - e mi rivolgo a
Velleio - siete poco informati sul modo in cui vanno dibattuti i vari
problemi.
Leggete solo le opere ispirate ai vostri principi e solo quelle
apprezzate: tutti gli altri li condannate senza minimamente
preoccuparvi di sentire le loro ragioni. Sei stato proprio tu, ieri,
ad affermare che è opera degli stoici la rappresentazione di una
vecchia profetessa, della Pronoia o provvidenza che dir si voglia. Il
tuo errore sta nel pensare che essi abbiano concepito la provvidenza
come una dea personale cui spetti di reggere e governare il mondo. In
realtà si tratta solo di un modo abbreviato di parlare.
74. Come quando si dice che lo stato ateniese è retto dal consiglio
manca la determinazione "dell'Areopago", analogamente quando
affermiamo che il mondo è retto dalla provvidenza devi ritenere che
manchi la determinazione "degli dèi" e pensare che
l'espressione piena e compiuta sia: "il mondo è amministrato
dalla provvidenza degli dèi".
Non state dunque a sprecare, nello sforzo di deriderci, questo spirito
che, tra l'altro, manca alla vostra scuola; se mi deste ascolto non lo
tentereste nemmeno: non vi si addice, non ne avete il diritto, non lo
potete fare, e nel dir questo non mi riferisco soltanto a te che le
consuetudini di casa nostra ed il garbo del nostro popolo hanno
ingentilito, ma a tutti i seguaci della vostra scuola e soprattutto al
suo iniziatore, un uomo privo di tecnica e di cultura, in lotta con
tutti e sfornito di ogni acume, di ogni autorità, di ogni garbo.
75. Affermo dunque che il mondo nel suo insieme ed in tutte le sue
parti fu inizialmente organizzato e continua ad essere guidato
dall'azione provvidenziale degli dèi. Nella trattazione della
problematica relativa a questo argomento i seguaci della nostra scuola
distinguono tre momenti : il primo consiste nella dimostrazione che
gli dèi esistono, una
verità che, una volta provata, ci costringe ad ammettere che è la
volontà divina a governare il mondo; nel secondo si passa a
dimostrare che ogni fenomeno è sottoposto ad un essere sensibile da
cui dipende ogni perfezione, donde la conseguenza che esso sia
determinato da principi viventi; il terzo momento è fondato sul senso
di stupore con cui contempliamo i fenomeni celesti e terrestri.
76. Circa il primo punto gli atteggiamenti possibili sono due: o si
nega l'esistenza degli dèi come, sotto un certo aspetto, fa Democrito
parlandoci di simulacri ed Epicuro di immagini, oppure si riconosce,
con coloro che ne ammettono l'esistenza, che gli dèi esercitano una
loro azione e lo fanno nel modo migliore; e poiché non è possibile
un'attività più elevata del governo del mondo, se ne deduce che esso
è guidato dalla volontà divina. Se fosse altrimenti, dovrebbe essere
un'altra entità, non importa quale, superiore e dotata di una
potenzialità maggiore della divinità (sia essa una creatura
inanimata, o una cieca necessità spinta da una forza possente) a
compiere le meravigliose opere che vediamo;
77. in tal caso la divinità, sottoposta alle inesorabili leggi
naturali che dominano il cielo, le terre e i mari, non eccellerebbe né
in potenza né in perfezione; ma poiché nulla è superiore alla
divinità è giocoforza che sia essa a governare il mondo: non essendo
sottoposta o soggetta ad alcun'altra creatura naturale, non potrà che
essere la divinità
stessa a reggere la natura. Inoltre se ammettiamo che gli dei siano
dotati di intelligenza, riconosciamo implicitamente che sono anche
previdenti dispensatori di beni, e dei più importanti, per giunta.
E' assurdo pensare che gli dèi o non sappiano quali siano le cose
veramente importanti e come vadano trattate e tutelate o non abbiano
la capacità materiale di sopportare e sostenere un carico cosi
gravoso: l'ignoranza è un difetto estraneo alla natura divina e la
difficoltà di adempiere al proprio ufficio per congenita incapacità
non si addice certo alla maestà degli dèi. Di qui la conseguenza cui
noi volevamo arrivare che, cioè, il mondo è governato dalla
provvidenza divina.
78. Dall'esistenza degli dèi (posto che esistano, come e certo che
esistono) deriva che essi sono dotati di vita e non solo di vita ma
anche di ragione e che sono uniti in una sorta di comunità sociale e
che governano il mondo a guisa di uno stato unitario.
79. Ne consegue che la loro facoltà razionale è la stessa dell'uomo,
identico è, per gli dèi e per l'uomo, il criterio di verità,
identica la legge morale che prescrive il bene e condanna il male. Se
ne deduce che la prudenza e l'intelligenza derivano all'uomo dagli dèi
e che appunto per questo nelle istituzioni dei nostri maggiori, la
mente, la fede, la virtù, la concordia furono divinizzate e
pubblicamente consacrate come divinità.
Come negare, d'altronde, che gli dèi posseggono tali facoltà dal
momento che ne veneriamo persino le maestose e sacre immagini? E se è
vero che l'intelligenza, la fede, la virtù e la concordia albergano
fra gli uomini, donde potranno essere discese sulla terra se non dalle
divine regioni del cielo? Certo si è che la saggezza, la ragione, la
prudenza che sono in noi, gli dèi la posseggono in misura maggiore, e
non si limitano a possederla ma ne fanno un uso assai più esteso e
proficuo;
80. ma poiché non v'è nulla di più esteso e di più prezioso del
mondo, esso non potrà non essere governato dalla volontà e dalla
provvidenza divina. Infine, una volta dimostrata la divinità di
quegli esseri la cui straordinaria potenza e il cui luminoso aspetto
noi ammiriamo - intendo qui riferirmi al sole, alla luna, alle stelle
fisse ed erranti, al cielo, allo stesso mondo preso nel suo insieme
nonché a tutte quelle altre entità presenti nel mondo che risultano
di grande vantaggio ed utilità per l'uomo - non resta che concludere
che tutti gli esseri sono governati dalla mente e dalla saggezza
divina. Ma del primo punto si è ormai detto a sufficienza.
81. Mi incombe ora il compito di dimostrare che tutte le cose sono
sottoposte alla natura e sono da lei guidate nel migliore dei modi.
Prima di tutto occorre però brevemente chiarire cosa propriamente si
deve intendere per natura acciocché si comprenda meglio ciò che
intendiamo dimostrate. Alcuni intendono per natura una forza
irrazionale determinante nei corpi materiali dei movimenti dominati
dalla legge della necessità, altri invece identificano la natura con
una forza razionale e ordinata ispirata nella sua azione ad un metodo
ben preciso e non restia a svelare ogni suo singolo fine ed
intendimento, una forza così dinamicamente attiva che la mano di
nessun artista riuscirebbe a raggiungere ed eguagliare.
Basterebbe a provarlo la straordinaria carica di energia contenuta in
un seme. Per quanto piccolo esso sia è sufficiente che vi sia un
terreno adatto ad accoglierlo e a farlo germinare e della sostanza che
possa nutrirlo e farlo crescere perché esso provveda a creare ed a
plasmare creature della sua stessa stirpe sia che si tratti di esseri
destinati ad assorbire il nutrimento tramite le proprie radici, sia
che si tratti di creature capaci di muoversi, di avere delle
sensazioni, di provare dei desideri e di generare dei propri simili.
82. C'è chi applica il nome di natura all'intera realtà. Tale è,
per esempio, la posizione di Epicuro che distingue nella natura i
corpi materiali ed il vuoto nonché tutti i fenomeni ad essi
collegati. Noi invece quando affermiamo che la natura è il fondamento
ed il principio organizzatore del mondo non intendiamo riferirci solo
ad una zolla di terra o ad un
frammento di pietra o a qualche altro consimile oggetto unificato dal
solo principio di coesione, bensì anche alle piante e agli animali in
cui nulla è casuale ma vi traspare un ordine ed una organizzazione
che richiama l'idea di una creazione artistica.
83. Orbene, se è vero che le piante, che le radici tengono
abbarbicate al terreno, debbono la loro vita ed il loro
vigore all'arte della natura, bisogna riconoscere che anche la terra
sia in possesso della stessa energia: fecondata dai vari semi procrea
e genera dal suo seno gli esseri tutti, nutre ed incrementa le radici
profondate nel suo grembo e riceve a sua volta nutrimento dagli
elementi esterni e posti al di sopra della sua superficie; inoltre
dalle sue esalazioni traggono alimento l'aria, l'etere ed i corpi
celesti.
La terra dunque riceve dalla natura vita e vigore. Ma se ciò è vero
lo stesso dovrà dirsi anche del resto del mondo. Così le radici
aderiscono al terreno, gli animali si sostengono in vita aspirando
l'aria; e l'aria, a sua volta, ci è indispensabile per vedere, per
udire, per parlate, per compiere cioè tutta una serie di funzioni
impossibili senza l'ausilio dell'aria. E c'è di più: l'aria segue
anche i nostri movimenti. Dovunque ci rechiamo, qualunque itinerario
seguiamo essa sembra quasi farsi da parte e cederci il passo.
84. Inoltre tutti i corpi che cadono verso la parte centrale del
mondo, che è anche la più bassa, quelli che da essa si sollevano
verso l'alto e quelli che si muovono con moto circolare attorno ad
essa costituiscono un'unica natura abbracciante l'intero universo. E
poiché quattro sono gli elementi, sulle foro vicendevoli
trasformazioni si fonda la
struttura unitaria dell'universo articolantesi in un tutto continuo
senza la benché minima soluzione di continuità. Dalla terra infatti
deriva l'acqua, dall'acqua l'aria e dall'aria l'etere; invertendo il
processo dall'etere avremo l'aria, dall'aria l'acqua e dall'acqua la
terra che occupa l'ultimo posto. Proprio da questo trapassare dagli
elementi costitutivi
dell'universo dagli uni negli altri con fasi alterne il mondo trae
l'elemento unificatore di tutte le sue parti.
85. Che tale struttura unitaria del mondo sia destinata a conservarsi
in eterno nel suo attuale splendore o almeno per un tempo molto esteso
e quasi immenso è un fatto indubitabile né potrebbe essere
altrimenti. Ad ogni modo, qualunque delle due tesi si voglia
accettare, la conseguenza resta una sola, che cioè il mondo è
governato dalla natura.
Consideriamo per un momento la navigazione di una flotta o
l'allestimento di un esercito o, per ritornare all'esempio di processi
naturali, la nascita di una vite o di un albero o l'aspetto e la
struttura fisica di un animale: in nessun caso è ravvisabile
un'attività tanto intensa quanto quella che caratterizza il mondo nel
suo insieme. A questo punto due sole possibilità restano aperte: o
che non esista nulla su cui la natura benché dotata di sensibilità
eserciti la sua azione di guida o che sia il mondo ad esserne
governato.
86. Ma come potrebbe non esserlo visto che esso contiene in sé tutte
le altre nature ed i loro germi? Sarebbe lo stesso che affermare che i
denti e la pìliferazione sono dovuti alla natura e non riconoscere
poi che l'uomo cui essi appartengono sia un prodotto naturale,
mostrando con ciò di non comprendere che ogni essere procreante dal
suo
Compete dunque al ,mondo il titolo di seminatore, di piantatore e, per
così dire, di padre di tutte le creature sottomesse al governo della
natura: a lui spetta il compito di educarle e di nutrirle e a tutte
egli fornisce cibo e sostentamento come a sue parti e membra. Orbene,
se le singole parti del mondo hanno come guida la natura lo stesso
dovrà dirsi della totalità del mondo in cui l'azione regolatrice
della natura è tale da escludere ogni critica: lo dimostra l'effetto
sortito da quelli che erano in origine dei semplici elementi, effetto
che non potrebbe essere migliore di quanto effettivamente è stato.
87. Ci si sforzi pure di sostenere che sarebbe potuto essere migliore:
nessuno, in realtà, riuscirà mai a dimostrarlo. E quand'anche si
volesse migliorarne qualche dettaglio si finirebbe con l'ottenere un
risultato peggiore e si mostrerebbe di pretendere l'impossibile.
Che le varie parti costitutive del mondo siano organizzate in modo
tale che non sarebbero potute risultare né più adatte ad esplicare
le loro funzioni né più belle a contemplarsi è una evidente realtà.
Resta ora da chiarire se si tratti di
un caso fortuito o se l'armoniosa connessione delle varie parti del
mondo non presupponga piuttosto, quale necessaria, giustificazione,
l'intervento di una intelligenza e di una provvidenza divina.
Incominceremo coll'osservare che se i prodotti della natura sono
superiori a quelli dell'arte e se è vero che l'arte è un'attività
squisitamente razionale, anche la natura non potrà essere sprovvista
di ragione.
Ogni qualvolta contempli un quadro riconosci in esso la mano di un
artista e ogni qualvolta osservi un battello in navigazione non esiti
ad ammettere che si muova in virtù dell'intelligenza e dell'arte del
pilota; analogamente se ti capita di osservare un orologio a sole o
una clessidra ad acqua comprendi subito che l'indicazione dell'ora è
dovuta all'arte del costruttore e non al caso. Orbene, è forse
coerente ammettere tutto questo per poi disconoscere senno e ragione
alla natura che raccoglie in sé le arti, gli artisti e gli esseri
tutti?
88. Supponiamo che qualcuno rechi in Scizia o in Britannia la sfera
costruita dal nostro amico Posidonio che riproduce esattamente il moto
diurno e notturno del sole, della luna e dei cinque pianeti: chi, pur
in mezzo a così oscura barbarie, esiterebbe a riconoscere in quella
sfera un prodotto della ragione?
Eppure costoro restano ancora perplessi di fronte a codesto mondo da
cui traggono origine e sussistenza gli esseri tutti e continuano a
chiedersi se esso sia il prodotto del caso e della necessità o non
piuttosto della ragione e dell'intelligenza divina. Secondo loro
sarebbe stato molto più abile Archimede nel riprodurre i moti celesti
con la sua
sfera di quanto non lo sia stata la natura nel crearli, nonostante la
maggiore perfezione di questi ultimi in più di un particolare
rispetto alla loro imitazione.
89. Tale atteggiamento richiama da vicino il caso di quel pastore,
introdotto da Accio in un suo dramma, che non aveva mai visto una
nave. Costui non appena scorge in lontananza, dalla cima di un monte,
lo strano naviglio degli Argonauti, opera degli dèi, pieno di
meraviglia e di terrore subito esordisce in queste espressioni:
"Quale immensa mole s'avanza fremendo dal mare aperto con immenso
strepito e vigorosi sbuffi! solleva ondate innanzi a sé e coi suo
impeto provoca dei vortici. Scorrendo veloce solleva spruzzi di acqua
marina e procede ansimando. Ora diresti che una nube temporalesca
improvvisamente squarciata stia piombando verso di noi, ora che i
venti e la tempesta abbiano sbalzato in alto e stiano trascinando seco
un frammento di roccia o che all'urlo delle onde in lotta si sollevino
vorticosi cavalloni; a meno che ora non sia il mare a muovere masse di
terra o che Trifone in mezzo all'infuriare delle onde, facendo forza
col tridente sotto le fondamenta della sua cavernosa dimora, stia
scaraventando verso il cielo dalla profondità degli abissi un enorme
scoglio".
Di primo acchito il personaggio si chiede che sia quell'essere
sconosciuto che ha innanzi agli occhi, ma non appena scorge sul
naviglio degli uomini nel fiore dell'età e giunge al suo orecchio un
canto marinaresco subito esclama: "sembra che innanzi di rostri
si agitino agili e vivaci delfini" e continua per un pezzo su
questo tono: "... e reca al mio orecchio una melodia che mi
ricorda il capito di Silvano".
90. Come si vede quest'uomo di primo acchito crede di scorgere un
corpo inanimato e privo di sensibilità, ma in seguito, sulla base di
una chiara indicazione, incomincia a intravedere la vera natura
dell'oggetto che lo aveva lasciato perplesso. Lo stesso vale anche per
i filosofi. Se in un primo tempo lo spettacolo dei mondo poté
lasciarli alquanto
turbati ed incerti, in seguito, constatata la uniforme regolarità dei
suoi movimenti. e l'ordine costante ed immutabile cui obbedisce ogni
fenomeno avrebbero dovuto convincersi che in codesta celestiale e
divina dimora è presente qualcuno che non si limita ad abitarla ma è
anche l'organizzatore, il regolatore e, per così dire, l'architetto
di tanta impresa.
In realtà essi non sembrano neppure lontanamente immaginare quali
meraviglie offra la considerazione dei fenomeni celesti e terrestri.
91. Innanzitutto la terra, collocata nella parte centrale
dell'universo, è circondata da ogni parte da quell'elemento vivente e
respirabile che chiamano aer: il vocabolo è greco ma è stato accolto
nell'uso della nostra lingua e passa ormai per latino. Questo è a sua
volta circondato dallo sconfinato etere che deve la sua composizione a
quella sostanza ignea che occupa le regioni più alte dei mondo.
(Anche in questo caso possiamo ricorrere ad un termine mutuato dal
greco ed usare in latino il vocabolo aether allo stesso modo con cui
comunemente diciamo aer; e ciò con buona pace di Pacuvio che si
preoccupa di fornirci la traduzione dei vocabolo facendo dire ad un
suo personaggio: "ciò di cui parlo noi lo chiamiamo cielo, i
Greci etere" quasi non fosse proprio un Greco ad esprimersi così!
Si obietterà che il Personaggio parla in latino; e l'obiezione
potrebbe anche essere valida, ma solo a patto che noi,
nell'ascoltarlo, non fossimo indotti ad immaginare che parli in greco.
Del resto lo stesso Pacuvio in un altro passo fa dire ad un
personaggio: "è di stirpe greca: lo rivela il suo stesso modo di
parlare".)
92. Ma torniamo al sodo. Dall'etere derivano dunque le innumeri
fiammelle che alimentano gli astri. Fra essi il primo posto è
occupato dal sole che illumina ogni cosa con la sua fulgidissima luce
e che è di gran lunga più grande ed esteso della terra; seguono i
rimanenti astri con le loro immense moli. E tutte queste masse
infuocate, pur tanto grandi e numerose, non solo non arrecano nessun
danno alla terra ed alle creature che la abitano ma tale è la loro
benefica azione che, se fossero rimosse dalla loro attuale posizione,
le terre brucerebbero consunte da quel fuoco, una volta tolto di mezzo
ogni controllo ed ogni freno.
93. Come non provare meraviglia, a questo punto, se qualcuno ritiene
che corpi solidi ed indivisibili siano trascinati dalla forza del loro
peso e che dalla loro fortuita unione sia derivato il mondo con tutti
i suoi splendori e le sue bellezze? Chi fosse disposto ad ammettere
una cosa del genere non vedo perché non dovrebbe anche ritenere che,
se si raccogliessero da qualche parte in un numero molto elevato di
esemplari le ventuno lettere dell'alfabeto foggiate in oro od in altro
materiale e le si gettassero a tetra dovrebbero ricostituirsi tutti
gli Annali di Ennio ormai pronti per la lettura: un risultato che il
caso non riuscirebbe forse a realizzare neppure limitatamente ad un
solo verso!
94. Costoro invece continuano a sostenere che in seguito alla fortuita
e casuale collisione di corpuscoli sprovvisti di colore, di ogni
qualità (la poioteta dei Greci) e di ogni sensibilità si
costituirebbe il mondo, o, meglio, nascerebbe e perirebbe ad ogni
istante un numero illimitato di mondi; né si vede perché, se è vero
che codesto fortuito incontro di
atomi è in grado di costruire il mondo, non dovrebbe anche riuscire
ad edificare un porticato, un tempio, una casa od una città: tutte
opere, queste, che richiedono certo minore fatica e sono in molti casi
di più agevole realizzazione. A giudicare dal loro inconcludente
vaniloquio si direbbe che non abbiano mai neppure rivolto gli occhi (e
di qui partirà la mia prossima argomentazione) al mirabile spettacolo
del la volta celeste.
95. Molto a proposito scrive Aristotele: "Immaginiamo che degli
esseri siano sempre vissuti sotto la superficie terrestre in
accoglienti e lussuose dimore ornate di statue e di dipinti e fornite
di tutti quegli agi che si, pensa rendano l'uomo felice e supponiamo
che pur non essendo mai saliti alla superficie abbiano appreso, per
sentito dire, che
esisterebbe una volontà e una potenza divina, se ad un certo momento,
spalancatesi le fauci della terra, fosse loro concesso di abbandonare
la loro recondita dimora e di risalire verso le regioni che noi
abitiamo uscendo alla luce, certamente essi, all'improvvisa vista
della terra, dei mari e del cielo, all'improvvisa rivelazione
dell'estensione delle nubi e della potenza dei venti, di fronte allo
spettacolo del sole, della sua grandezza e della sua bellezza non
disgiunte da una fattiva potenza in forza della quale esso produce il
giorno inondando il cielo con la sua luce; di fronte alla visione del
cielo che, al cadere delle tenebre sulla nostra terra, si cosparge ed
adorna di stelle, della luna e delle sue varie fasi ora crescenti ed
ora decrescenti, del sorgere e del tramontare degli astri nonché
delle loro orbite immutabili e fisse per sempre, certamente essi,
dicevamo, concluderebbero che gli dèi esistono realmente e che ad
essi è dovuta la realizzazione di opere si grandi".
96. Queste le parole di Aristotele. Ma noi possiamo anche ricordare le
profonde tenebre che avvolsero un tempo le regioni limitrofe durante
una violenta eruzione dell'Etna, tenebre tanto fitte che per due
giorni nessuno fu in grado di riconoscere un suo simile. Quando però
il terzo giorno tornò a risplendere il sole a tutti parve di essere
di nuovo
ritornati alla vita. Dal che è agevole comprendere quale sarebbe per
noi lo spettacolo della volta celeste se ci accadesse di vedere
improvvisamente la luce dopo essere stati sempre immersi nelle
tenebre. Sennonché il nostro spirito, in seguito all'uso costante e
quotidiano della vista, finisce coll'assuefarsi a ciò che vede ogni
giorno, col non provarne più alcuna meraviglia e col non sentire più
il bisogno di cercarne una spiegazione quasi che a stimolare tale
ricerca non dovesse essere l'importanza dei fenomeni ma solo la loro
novità.
97. Come non negare il nome di uomo ad un individuo che, dopo aver
osservato la perfetta regolarità dei moti celesti, l'esatta
determinazione delle orbite stellari e lo stretto legame di
interdipendenza che unisce gli esseri tutti, non riconoscesse in tutto
ciò la presenza di un principio razionale e attribuisse all'opera del
caso l'esecuzione di un piano la cui ingegnosità nessun ingegno umano
riuscirà mai a raggiungere?
Quando osserviamo qualcosa muoversi per opera di un meccanismo - si
tratti di una sfera planetaria o di un orologio o di un altro oggetto
qualsiasi - non abbiamo alcun dubbio che sia stato un essere
intelligente a determinarne il movimento. Perché allora, nel
contemplare il cielo che con la sua mirabile e velocissima rotazione
determina con
perfetta regolarità l'alternarsi delle stagioni donando vita e
prosperità a tutte le creature, dovremmo dubitare che alla base di
tutto vi sia un principio non solo razionale ma anche dotato dì una
divina perfezione?
98. Ma è ormai tempo di mettere in un canto tutte le sottigliezze
dialettiche e di contemplare in un certo qual senso coi nostri occhi
la bellezza di ciò che noi asseriamo predisposto dalla provvidenza
divina.
Si consideri innanzitutto la terra nel suo complesso: collocata nel
centro dell'universo essa si presenta solidamente strutturata con
quella caratteristica forma sferica conferitale dal gravitare di tutte
le sue parti verso il centro.
La sua superficie è interamente coperta di fiori, di erbe, di alberi
e di messi la cui straordinaria fecondità si articola in
un'inesauribile varietà di forme. Aggiungi la frescura delle fonti
perenni, la trasparenza delle acque fluviali, il mantello di un verde
intensissimo che ne ricopre le rive, le ampie cavità delle grotte,
l'asprezza delle rupi, l'incombere imponente delle alte cime montane,
l'immensa distesa delle pianure; aggiungi anche i nascosti filoni
d'oro e d'argento e le inesauribili riserve di marmo.
99. E quanta varietà nel mondo degli animali, siano essi domestici o
selvatici! Di quali voli e di quali canti sono capaci gli uccelli!
quali pascoli si offrono agli armenti! quale vita si agita nelle
selve! E che dire poi della stirpe degli uomini? Quasi fossero stati
espressamente investiti della missione di coltivare la terra non
permettono che belve feroci la inselvatichiscano o che aspri rovi la
desolino. Per opera loro le campagne, le isole e le coste offrono il
vario e luminoso spettacolo delle case sparse e degli agglomeramenti
urbani. Se noi potessimo vedere tutto ciò coi nostri occhi cosi come
possiamo rappresentarcelo con la nostra fantasia nessuno dubiterebbe
della ragione divina.
100. E quanta bellezza è nel mare! quale spettacolo ci offre la sua
visione d'insieme! quante e quanto varie sono le sue isole! Quale
delizioso scenario offrono le sue coste e le sue spiagge! E quante e
quanto disparate sono le forme viventi immerse nelle sue acque o
solcanti a nuoto la sua superficie o fissate alla roccia col guscio in
cui sono nate! E lo stesso mare, preso dal desiderio della terra,
scherza sul lido sì che i due elementi paiono fusi in uno solo.
101. In secondo luogo l'aria, che segue nell'ordine la massa marina,
è sede dell'alternanza del giorno e della notte: ora, dispersa e
rarefatta, sale verso l'alto, ora si condensa a formare delle nubi e,
immagazzinando acqua, alimenta e corrobora la terra con le piogge,
ora, scorrendo qua e là. determina i venti. A lei si deve l'annuale
alternarsi del caldo e del freddo. E' inoltre l'aria che sostiene il
volo degli uccelli e, inspirata, dà vita e nutrimento agli esseri
viventi.
Resta il cielo o etere che dir si voglia, il più lontano ed il più
alto sopra i luoghi da noi abitati, che tutto cinge ed abbraccia nel
suo amplesso, estrema piaga ed ultimo confine del mondo in cui delle
masse di fuoco percorrono orbite mirabilmente regolari.
102. Fra tali masse il sole, molte volte più grande della terra,
percorre attorno ad essa la sua orbita. E' il sole che sorgendo e
tramontando determina l'alternarsi del giorno e della notte e che ora
avvicinandosi, ora allontanandosi dalla terra compie ogni anno due
opposte conversioni dai suoi limiti estremi e durante tali conversioni
avvolge la terra in un alone di deprimente tristezza per poi tornare a
rallegrarla sì ch'essa appaia partecipe del sorriso del cielo.
103. Quanto alla luna che, a detta degli scienziati, supera per
grandezza la metà della terra, percorre le stesse vie del sole, ma
ora ne accompagna il cammino, ora se ne discosta ed invia sulla terra
la luce che riceve dal sole attraversando essa stessa., varie fasi
nella sua opera di illuminazione. Ma non basta: collocandosi talora
sotto il sole ed
opponendogli la sua propria massa ne oscura i raggi luminosi; altra
volta è invece la luna ad imbattersi nell'ombra della terra quando
questa è dalla parte del sole ed in tal caso, per l'interposizione
della massa terrestre, improvvisamente scompare. Identiche sono le
orbite delle stelle cosiddette erranti e allo stesso modo anch'esse
sorgono e tramontano, ma ora accelerano il loro movimento, ora lo
rallentano e non è infrequente il caso che restino immobili:
104. uno spettacolo di cui nulla vi può essere di più meraviglioso,
nulla di più bello. Segue la grandissima moltitudine delle stelle
fisse i cui raggruppamenti sono stati determinati in modo da essere
denominati sulla base della loro somiglianza con oggetti noti.
A questo punto rivolgendosi a me: "Ricorrerò" disse
"ai carmi di Arato servendomi della traduzione che tu stesso ne
hai fornito quand'eri ancora ragazzo. Tanto è il piacere che
quest'opera, proprio perché resa in veste latina, suole suscitare in
me che ne ricordo parecchi brani a memoria. Sotto i nostri occhi senza
alcun mutamento o variazione
"scorrono tutti i corpi celesti con celere moto mentre in cielo
sempre s'alternano i giorni e le notti"
105. Uno spettacolo dinanzi al quale chi ami osservare l'uniformità
della natura non riesce mai a saziare pienamente il suo spirito per
quanto si dilunghi nella contemplazione. Ed ancora: "Il vertice
sommo agli estremi dell'asse prende il nome di Polo"
Attorno ad esso si muovono le due orse che non tramontano mai:
"l'una è chiamata dai Greci col nome di Cnosura, Elica
l'altra" E di quest'ultima si contemplano ogni notte le fulgide
stelle che "i nostri soglion chiamare Sette Trioni"
106. con ugual numero di stelle raggruppate nello stesso modo la
piccola Cinosura occupa nel cielo l'identica posizione terminale.
"A questa si volgon fidenti i Fenici la notte fra i flutti perché
li diriga e se le stelle dell'altra diffondono luce più intensa e si
distinguono tosto da lungi dal primo calar della sera, questa, benché
piccolissimo, è utile ai Marinai che più inferno e più breve è il
suo corso"
Ma un altro elemento contribuisce a rendere ancor più fascinosa la
visione di quelle stelle: "Fra loro si snoda a guisa di un fiume
dal rapido gorgo il Serpente dagli occhi grifagni che in alto ed in
basso si torce svolgendo le spire sinuose"
107. Rimarchevole è la sua visione d'insieme, ma ciò su cui occorre
soprattutto concentrate lo sguardo è la configurazione dei capo e gli
occhi di fiamma :
"Non una sola stella ne adorna il capo con vivo splendore, ma due
fulgidi lumi ne segnai; le tempie e dagli occhi crudeli sfavillano
ardenti due faci e sul mento gli irraggia una stella: ma piegando il
collo fornito rivolge in basso la testa e sembra diriger lo sguardo
alla coda dell'Orsa Maggiore"
108. Ogni notte è Sotto ai nostri occhi anche la parte restante del
corpo dei serpente:
"d'un tratto il suo capo scompare alla vista là dove oriente ed
occidente insieme si fondono" E su questo capo "stanca si
muove, par, nell'aspetto, ad un uomo dolente"
quella che i Greci "chiamano Engonasi poiché si trascina
poggiando sui ginocchi; qui la Corona rifulge di tutto splendore"
Questa trovasi alle spalle del Serpente, mentre presso il suo capo
giace il Serpentario,
109. "che i Greci con nome già illustre chiamano Ofiunco; questi
tiene stretto il serpente con ambe le mani ed avvinto è a sua volta
dalle ampie sue spire. ché il serpente gli avvolge la cintola al di
sotto del petto. Pure resiste e s'avanza con passo deciso e calpesta
gli occhi ed il petto di Nepao"
Ai Sette Trioni tien dietro "il custode dell'Orsa detto
comunemente Boole perché la pungola e scuote quasi l'avesse legata al
timone"
110. Seguono altre stelle: "sotto il petto di Boote spicca
immobile un astro lucente, Arturo dal nome famoso e sotto i piedi di
questo "la Vergine dal corpo fulgente reca una spiga di
luce"
Inoltre le costellazioni sono distribuite con tale sapienza che dai
loro ordinati schieramenti emerge inequivocabilmente l'intervento di
una azione divina:
"E i due Ge melli scoprire potrai sotto il capo dell'Orsa, ma
sotto sta lo Scorpione nella parte mediana e calpesta coi piedi il
grande Leone da cui si diparte una tremula fiamma".
L'Auriga.
"Si muoverà nascosto dal fianco sinistro dei Gemini: A lui, con
sguardo feroce, l'Elica volge il suo capo mentre sul fatico sinistro
si muove la Capra fulgente".
E ancora: "Questa per lungo spazio riluce nel cielo, tenue è
invece il bagliore che i Capretti inviano ai mortali".
Sotto i suoi piedi "Squadra le corna il Toro dal corpo
massiccio".
111. Il suo corpo è cosparso di numerose stelle: "quelle che i
Greci ladi soglíon chiamare,
dal verbo hyein, cioè "piovere"; i nostri invece, senza
capire, le chiamano "Sucule" come se il loro nome traesse
origine dalla razza "suina" e non dalla pioggia. Alle spalle
dell'Orsa Minore sta Cefeo con le mani aperte: "chè proprio alle
spalle di Cinosura muove il suo corso". Prima di lui "sta
Cassiopea, ma tenue e la luce che inviano le sue stelle; lì presso si
muove Andromeda dal chiaro fulgore che, mesta, cerca sottrarsi alla
vista materna e a lei l'illustre destriero dall'ondeggiante fulgida
chioma, sfiora col ventre la punta dei capo. Così un'unica stella
bramando intrecciare fra gli astri un sempiterno nodo, traccia con
luce splendente due diverse figure. Lì presso sta fisso l'Ariete
dalle attorte corna";
e accanto a lui " stanno i Pesci, uno dei quali sopravanza il
gruppo di un breve tratto, ed è maggiormente esposto ai soffi
dell'Aquilone che fa rabbrividire".
112. Ai piedi di Andromeda è raffigurato Perseo "che le raffiche
d'Aquilone respingon dalla zona più alta".
E, "... vicina al suo ginocchio sinistro puoi scorgere le
Virgilie con la loro tenue luce. Segue la lira dall'aspetto
leggermente ricurvo" quindi "sotto la vasta volta del cielo
l'alato Cigno libra".
In prossimità della testa del Cavallo si estende il fianco destro
dell'Aquario e quindi l'Aquario stesso in tutta la sua estensione.
Subito dopo: "Segue in un'ampia orbita il Capricorno dal corpo
semiferino spirante dal petto possente una gelida raffica: e
quando il Titano lo investe con raggi immortali volge indietro il suo
carro durante i freddi invernali".
113. Quivi ci è dato scorgere "come in alto fa mostra di sé lo
Scorpione che l'Arco ricurvo seco trascina col forte vigor della coda
possente. Lì presso sull'ali librandosi il Cigno volteggia e non
lontana l'Aquila avanza dal corpo fulgente".
Segue il Delfino: "quindi Orione obliquo spande i suoi
raggi".
114. Subito dopo "sfavilla fra gli astri l'ardente Canicola"
e quindi la Lepre
"si slancia instancabile in rapida corsa. Presso la coda del cane
si snoda Argo strisciando all'ombra d'Ariete e dei Pesci dal corpo
squamoso e sfiora col corpo fulgente le rive del Fiume" di cui
puoi scorgere in Iontananza il corso sinuoso. E ancora: "E alle
nel cielo scorger potrai le Catene che avvincono i Pescí e ne serran
la coda" "e sotto l'aculeo di Nepa fulgente risplende la
luce dell'Ara che i miti soffi dell'Austro accarezzano".
Nelle immediate vicinanze il Centauro "muove i suoi passi:
sovrastan le Chele la parte ferina. Tende la destra e raggiunge un
grosso quadrupede e lo spinge all'Altare chiaro di luci e lo immola
qual vittima e il sangue ne versa. Quivi l'Idra dai baratri emersa
d'Averno si slancia" e ricopre il Cielo col vasto corpo.
"Brilla nel mezzo del cerchio Cratera fulgente, il becco dei
Corvo la sfiora librato sull'ali veloci; e innanzi al Cane e sotto i
Gemelli si muove famoso l'astro che i Greci chiaman Procione e ne
citano il nome".
115. C'è davvero da chiedersi se una persona assennata possa
seriamente attribuire ad uno scontro fortuito di particelle l'ordinata
e fascinosa distribuzione degli astri nel cielo. D'altronde una forza
priva. di intelligenza e di ragione non avrebbe potuto creare esseri
siffatti: non solo per spiegare la loro esistenza è indispensabile
postulare l'intervento di
un principio razionale ma la loro stessa natura è comprensibile solo
a patto che la si inquadri in un supremo piano razionale.
Ma non a questo solo si riducono i motivi di meraviglia: ciò che più
colpisce è la stabilità e compattezza del mondo per la cui
conservazione nulla si potrebbe escogitare di più adatto. Tutte le
sue parti, nel loro sforzo di raggiungere il centro, realizzano fra
loro un perfetto equilibrio, ma ciò che soprattutto rende stabile la
loro unione è una sorta di legame che le stringe ed avvolge
tutt'intorno, legame che trova la sua ragione d'essere in quella forza
diffusa nel mondo che tutto organizza secondo principi razionali e
spinge e trascina verso il centro quanto si trova alla periferia.
116. Orbene, se il mondo ha forma sferica e, di conseguenza, tutte le
sue parti sono in individuale e reciproco equilibrio, lo stesso
fenomeno dovrà verificarsi anche Per la terra dove, per la tendenza
di tutte le sue parti a raggiungere il centro (che in una sfera è il
punto più basso), nulla può interromperne la continuità rompendo
l'equilibrio dei pesi e delle forze. Per la stessa ragione il mare che
copre la superficie terrestre, gravitando anch'esso verso il centro,
assume una regolare curvatura senza straripamenti o deviazioni di
sorta.
117. L'aria, che confina con questo, in virtù della sua leggerezza
tende verso l'alto, ma la sua diffusione è anch'essa uniforme in
tutte le direzioni. E se il mare è l'elemento col quale direttamente
confina senza soluzione di continuità, la sua natura la spinge verso
il cielo che le comunica parte della sua leggerezza e del suo calore
mettendola in grado di dispensare ai viventi vita e salute. Quanto
alla parte più alta del cielo che avvolge la sfera dell'aria e cui si
dà il nome di etere, possiede un calore ed una levità proprie pure
da ogni commistione estranea e confina con la parte superiore
dell'aria.
120. Se poi dalle regioni del cielo ci riportiamo alle cose della
nostra terra, come rintracciare una sola creatura nella quale non
risplenda la razionale intelligenza della natura? Innanzitutto i fusti
della vegetazione che spunta dal grembo della terra danno solidità
alle parti che essi sostengono e traggono dalla terra gli alimenti con
cui nutrire quanto poggia sulle radici; e per difendersi dal freddo e
dal caldo i tronchi si ricoprono di corteccia. Le viti si aggrappano
ai sostegni coi loro tralci simili a mani e non diversamente dagli
esseri animati assumono posizione eretta. E non basta: se nelle
vicinanze sono piantati dei cavoli se ne tengono lontano come da corpi
funesti e pestilenziali e si guardano bene dall'entrare in contatto
con essi.
121. E che dire poi della varietà degli animali e della capacità che
ciascuno possiede di conservarsi nei limiti della propria specie?
Alcuni si ricoprono di cuoio, altri si vestono di pelli villose, altri
ancora di ispidi mantelli di spine.
Alcuni li vediamo ricoperti di piume, altri di squame, e se per una
parte di essi le corna rappresentano un'arma, per altri le ali sono il
più sicuro mezzo con cui fuggire. A tutti poi la natura fornisce con
larga abbondanza il nutrimento adatto a ciascuno.
Potrei passare in rassegna il diligente ed accurato ordinamento delle
varie parti in cui - in vista dell'ingestione ed assimilazione dei
cibo - si articolano i corpi animati nonché la mirabile struttura
delle loro membra. Ogni organo interno per caratteri e posizione è
ispirato alla più assoluta funzionalità e tutto in esso concorre
alla conservazione della vita.
122. E se la natura ha concesso alle fiere una sensibilità ed un
istinto lo ha fatto perché esse per l'una fossero naturalmente
portate a desiderare i cibi ad esse congeniali ed in grazia dei
secondo fossero in grado di distinguere ciò che nuoce da ciò che
giova. E non basta ancora. Ci sono animali che si accostano al cibo
camminando, altri strisciando,
altri volando, altri ancora a nuoto, e mentre una parte di essi mangia
il cibo spalancando la bocca e afferrandolo coi denti, altri lo
strappa con la forza delle unghie o servendosi di un becco adunco. C'è
chi succhia, chi bruca, chi mastica, chi divora. Ci sono animali la
cui bassa statura permette loro di afferrare facilmente col muso il
cibo sparso per terra.
123. Altri di maggiore statura, come le oche, i cigni, le gru ed i
cammelli traggono invece giovamento proprio dalla lunghezza dei collo.
All'elefante infine fu concessa persino una mano in considerazione
della difficoltà, per una creatura cosi mastodontica, di accostarsi
al cibo.
Quanto poi agli animali cui la natura ha destinato come cibo le carni
di altri creature viventi sono dotati o di forza o di agilità nella
corsa. Ad alcuni fu concessa anche una certa destrezza ed abilità
particolare. Così, per esempio, vi sono dei ragni che tessono una
rete che permette loro di uccidere chiunque vi incappi, altri stanno
in agguato per poter afferrare alla sprovvista e distruggere qualsiasi
creatura cada nella loro rete.
Una grossa conchiglia bivalva, la pinna dei Greci, ha stretto con la
minuscola squilla una autentica società di mutuo aiuto per la
conquista del cibo: è sufficiente che un minuscolo pesciolino capiti
fra le valve aperte della prima perché questa, avvertita dalla
squilla, chiuda l'incauto nella sua morsa. Così due animali
diversissimi cooperano insieme
per procurarsi il nutrimento;
124. lasciandoci stupiti ed incerti se alla base di tale
collaborazione ci sia stato un reciproco accordo o una diretta azione
della natura esercitata fin dalle origini. Costituiscono per noi
motivo di meraviglia anche quegli animali che pur vivendo nell'acqua
risultano nati sulla terra ferma. Voglio qui riferirmi ai coccodrilli,
alle tartarughe fluviali e a taluni serpenti nati fuor d'acqua che,
non appena possono reggersi, cercano il liquido elemento.
E non basta. Spesso facciamo covare alle galline uova di anatre e non
appena le uova si schiudono sono le galline, che le hanno covate e
fatte maturare, a prendersi cura dell'allevamento dei piccoli; in
seguito però questi le abbandonano e si sottraggono alle loro cure
non appena è dato ad essi di vedere la loro naturale dimora: l'acqua.
Tanta e
la forza dell'istinto di conservazione instillato negli animali dalla
natura.
Ho anche letto di un uccello, detto platalea, che si procurerebbe il
cibo facendo impeto contro quei volatili che sono soliti tuffarsi in
mare; la sua tattica sarebbe quella di attendere che uno di questi
uccelli riemerga dai flutti con un pesce nel becco per costringerlo, a
furia di beccate sul capo, a lasciare a lui la preda. Del, medesimo si
racconta anche che inghiottirebbe conchiglie intere e le rivomiterebbe
al momento della digestione trattenendo così le parti mangiabili.
125. Delle rane marine si narra che, ricoperte di sabbia, si muovono a
fior d'acqua per attirare i pesci a guis a di esca e per subito
ucciderli al loro accostarsi e cibarsene. V'è una sorta di naturale
ostilità fra il nibbio ed il corvo sì che, non appena l'uno trova le
uova dell'altro subito le distrugge.
E come non restare strabiliati di fronte a quanto Aristotele, autore
di gran parte di consimili osservazioni fa notare a proposito delle
gru? Questi animali, quando attraversano ì mari alla ricerca di
luoghi più caldi, si dispongono a forma di triangolo. Il vertice
anteriore ha la funzione di aprire il cammino fendendo l'aria che si
oppone al volo, mentre le gru disposte sui due lati, battendo le ali a
guisa di remi, sollevano sempre più in alto lo stormo! La base del
triangolo, infine, che le gru stesse disegnano nell'aria, riceve a sua
volta una spinta dai venti spiranti, per così dire, da poppa.
Le gru di quest'ultimo gruppo appoggiano il collo ed il capo sul dorso
di quelle che volano innanzi a loro, e poiché quella che guida lo
stormo non può fruire di questo vantaggio in quanto non ha nulla su
cui appoggiarsi, si volge verso le posizioni arretrate per riposarsi
ed è subito sostituita da una delle gru che hanno già fruito del
riposo; e così via per tutto il corso del viaggio.
126. Potrei addurre molti altri esempi consimili ma il concetto
generale è chiaro. Ancora più note del resto sono le tecniche con
cui gli animali provvedono alla propria sicurezza, la circospezione
con cui si accostano al cibo e cercano di nascondersi nelle loro tane.
Altrettanto sorprendente è la constatazione che i cani si curano coi
vomito e l'ibis egiziana raggiunge lo stesso scopo purgandosi il
ventre secondo una tecnica cui l'inventiva dei nostri medici è giunta
solo di recente, qualche generazione prima della nostra. Mi è stato
raccontato che le pantere, che le genti barbariche sogliono catturare
ricorrendo a carni avvelenate, conoscerebbero un antidoto cui
ricorrere per evitare la morte; si dice anche che a Creta le capre
selvatiche, quando sì sentono trafitte da frecce avvelenate, vanno
subito alla ricerca di un'erba detta dittamo che, una volta gustata,
farebbe cadere le frecce dal corpo. 127. Le cerve, poco prima dei
parto, ricorrono, per purificarsi, ad una minuscola pianticella che
chiamano seseli.
Evidenti sono anche i mezzi di cui ciascun animale si serve come
difesa contro il pericolo dell'altrui violenza: il toro delle corna,
il cinghiale dei denti, il leone delle mascelle; altri cercano
salvezza nella fuga, altri ancora nascondendosi; per respingere gli
assalitori le seppie secernono un liquido nerastro, le torpedini li
addormentano e non pochi animali
non sì peritano di emettere un odore sgradevole e repellente.
Per assicurare eterna stabilità al maraviglioso ordine cosmico la
provvidenza divina si è attivamente preoccupata di perpetuare le
varie specie di animali, delle piante e di tutte le creature di cui la
terra trattiene le radici. Queste ultime posseggono tutte, racchiusa
nel loro seme, la capacità di generare ciascuna una pluralità di
individui della stessa specie e detto seme è a sua volta custodito
nella parte più interna di quelle bacche che vengono prodotte a
profusione e che servono ad un tempo a nutrire in gran copia gli
uomini e a riempire la terra di consimile vegetazione.
128. E che dire poi della studiata predisposizione di ogni animale a
perpetuare la propria specie? Innanzitutto c'è la differenziazione
dei sessi che null'altro è se non un espediente creato dalla natura
proprio per assicurare tale perpetuazione. Si aggiunga che determinate
parti del corpo sono state appositamente predisposte per la
generazione ed il concepimento e che sia nel maschio sia nella femmina
c'è l'irresistibile tendenza al congiungimento dei corpi.
Una volta poi che il seme ha raggiunto la sua sede naturale avoca a sé
quasi tutto il cibo e stipandolo tutto attorno crea il nuovo essere. E
quando questo si libera ed esce dal grembo materno quasi tutto Il cibo
ingerito dalla madre - intendo qui riferirmi all'ordine dei mammiferi
- incomincia a trasformarsi in latte ed i piccoli neonati senza che
alcuno intervenga ad istruirli, per solo istinto naturale, si
attaccano alle mammelle e ne succhiano abbondante nutrimento.
A provare che in ciò non v'è nulla di fortuito, ma tutto è opera di
una provvida ed industre natura basti la constatazione che animali
molto prolifici, come cani e maiali, risultano dotati di un gran
numero di mammelle mentre molto inferiore ne è il numero in quegli
animali che generano solo qualche piccolo alla volta.
129. E non parliamo poi dell'amore con cui le bestie allevano e
custodiscono le loro creature fino al momento in cui siano in grado di
difendersi da sole. Soltanto dei pesci si dice che abbandonino le uova
una volta deposte: ma in questo caso c'è l'acqua a sostenere le uova
e a facilitare l'uscita dei piccoli.
delle testuggini e dei coccodrilli si dice che seppelliscano le uova
non appena deposte sulla terra per subito allontanarsene sì che i
piccoli nascono e si nutrono per proprio conto. Quanto alle galline ed
agli altri uccelli cercano, per generare, un luogo tranquillo, si
costruiscono un nido come dimora e si sforzano di renderlo soffice
quanto più
possibile per preservare nel miglior modo le uova. Usciti che siano i
piccoli dal guscio se ne prendono cura riscaldandoli con le loro ali
perché non abbiano a patire il freddo e facendo scudo col loro corpo
se il calore solare è eccessivo. E quando giunge il momento in cui
sono in grado di fare uso delle loro alucce le madri ne accompagnano
il
volo e si liberano così di ogni residua preoccupazione.
130. Alla conservazione e preservazione di taluni animali e di talune
piante contribuisce anche l'attiva cura dell'uomo: vi sono infatti
degli animali e delle piante che senza il nostro intervento non
potrebbero sopravvivere.
Inoltre le varie regioni offrono ciascuna particolari e sostanziali
vantaggi per una proficua coltivazione dei terreno da parte dell'uomo.
Il Nilo allaga l'Egitto e dopo averlo tenuto sommerso per una intera
estate se ne allontana e lascia il terreno, cosi ammorbidito e
concimato, pronto per la semina. La Mesopotamia deve la sua fertilità
all'Eufrate che si può dire introduca ogni anno in quella regione
nuovi campi coltivabili. L'Indo, il più grande di tutti i fiumi, non
si limita ad ammorbidire e a concimare i campi con le sue acque, ma
provvede anche a seminarli, se è vero che, a quanto si dice, trascina
con sé gran quantità di semi di cereali.
131. E molte altre rimarchevoli caratteristiche di determinate regioni
potrei addurre e molti altri esempi di terreni fertili per questo o
quel prodotto.
Quanto grande è la benevolenza della natura! Per comprenderlo
basterebbe considerate quanto numerosi, quanto vari e quanto
allettanti sono i prodotti destinati a nutrire le sue creature,
prodotti che si e guardata bene dal concentrare in un'unica stagione
dell'anno perché noi potessimo gustarne sempre il perenne
rinnovamento. E quanto propizio e salutare, e non per gli uomini
soltanto ma anche per gli animali e per i vegetali, è il dono dei
venti etesii! sono essi che con il loro alitare attenuano gli eccessi
del calore estivo e sempre da essi dipende la sicurezza e la celerità
delle rotte marine. Molti sono gli argomenti che siamo costretti a
tralasciare, pur esponendone molti.
132. E' impossibile enumerare le risorse fluviali, il fluire ed il
rifluire delle maree, i monti ricoperti di selve, le saline poste a
grande distanza dal mare, l'enorme riserva di sostanze medicamentose
di cui è ricca la terra, gli innumerevoli espedienti necessari alla
conservazione della vita. Basti dire che lo stesso alternarsi del
giorno e della notte, separando il tempo destinato alla azione da
quello destinato al riposo, provvede alla conservazione degli esseri
viventi.
La conclusione cui ad ogni modo si deve comunque giungere è che tutto
in questo mondo è mirabilmente governato da una niente e da una
provvidenza divina in vista della salvezza e della preservazione di
tutti gli esseri.
133. Se a questo punto ci si chiedesse per chi sia stata architettata
una cosi grandiosa costruzione, rispondendo "per gli alberi e per
le piante che, benché prive di sensibilità, sono ugualmente
sostenute dalla natura" si cadrebbe in una assurdità; ma
altrettanto assurdo sarebbe rispondere "per le bestie" : non
è affatto più probabile che gli dèi si siano dati tanto da fare per
delle creature incapaci di esprimersi e di pensare. Per chi dunque
sarebbe stato creato il mondo?
Evidentemente per quegli esseri viventi che fanno uso di ragione. E
questi esseri sono gli dèì e gli uomini cui nessun altro è
superiore data l'assoluta superiorità della ragione. Nulla di strano
dunque che il mondo e tutto quanto esso contiene sia stato creato in
vista degli dèi e degli uomini.
Più facilmente si comprenderà che sono stati gli dèi immortali a
provvedere all'uomo se si considererà attentamente l'intima struttura
e la perfetta conformazione della creatura umana.
134. Se tre sono gli elementi che concorrono a conservare la vita
degli animali, il cibo, la bevanda e il respiro, l'organo più adatto
a tali funzioni è la bocca validamente coadiuvata nella respirazione
dall'aggiunta delle narici. Quanto al cibo, esso viene masticato,
ammorbidito e ridotto in poltiglia dai denti raccolti a stretto
contatto l'uno con l'altro nell'interno della bocca. Quelli anteriori,
dalla punta aguzza, servono ad addentare e a spezzare il cibo, quelli
più interni, detti genuini, lo masticano coadiuvati, in questa loro
opera, della lingua.
135. La lingua s'innerva nell'esofago, la prima cavità in cui
confluisce tutto ciò che viene ingerito dalla bocca. A sua volta
l'esofago, limitato ai due lati dalle tonsille, sfocia nella parte più
arretrata e più interna del palato e grazie al vivace movimento della
lingua accoglie e deglutisce il cibo che, quasi spinto a forza, in
esso discende e ciò realizza
dilatando le parti che sottostanno all'alimento che viene ingerito e
contraendo quelle soprastanti.
136. Ma poiché la trachea, come la chiamano i medici, sfocia proprio
alle radici della lingua, poco più sopra dei punto nel quale la
lingua s'innerva nell'esofago, si estende fino ai polmoni e riceve
l'aria che viene aspirata per poi di nuovo espirarla dai polmoni e
restituirla all'esterno, essa risulta chiusa da una sorta di
coperchietto il cui scopo è quello di impedire che qualche particella
di cibo penetri nella trachea ed ostacoli la respirazione. Sotto
l'esofago si trova lo stomaco, predisposto ad accogliere i cibi e le
bevande mentre i polmoni ed il cuore ricevono l'aria dall'esterno.
Molte e rimarchevoli sono le operazioni predisposte dallo stomaco:
esso risulta in gran parte costituito di fibre nervose e si snoda
lungo un percorso vario e tortuoso che gli permette di comprimere e
trattenere l'alimento che riceve, sia solido che liquido, producendone
la digestione e la conseguente trasformazione; inoltre i suoi continui
movimenti di contrazione e di rilassamento hanno come conseguenza la
raccolta e la commistione delle sostanze che esso accoglie in sé e
che sotto l'azione dei molto calore insito nello stomaco ed in seguito
alla sua opera di triturazione del cibo non disgiunta dall'azione dei
respiro vengono completamente digeriti e distribuiti nelle rimanenti
parti dei corpo.
I polmoni constano di una sostanza soffice e porosa simile alle spugne
ed estremamente adatta ad assorbire l'aria e dilatandosi e
contraendosi captano l'elemento vitale che è indispensabile al
sostenta mento degli esseri viventi.
137. Una volta separato da ogni scoria superflua il succo di cui noi
ci nutriamo filtra dagli intestini al fegato attraverso dei canali che
dalla parte centrale dell'intestino conducono direttamente alle
cosiddette "porte dei fegato" e che a quest'ultimo risultano
strettamente congiunti : di qui si dipartono in varie direzioni altri
canali lungo i quali scorre il cibo fluente dal fegato. Una volta che
da questo cibo sia stata isolata la bile nonché quegli umori che i
reni provvedono a scaricare, tutto il resto si dispone a passare nel
sangue e a confluire in quelle "porte dei fegato" alle quali
conducono tutti i suoi canali; è proprio qui che il cibo, attraverso
i succitati canali, fluisce nella cosiddetta vena cava e, seguendone
il corso, giunge ormai perfettamente rielaborato e digerito sino al
cuore e di qui, attraverso le molte vene che da esso si diramano, a
tutte le parti del corpo.
138. Non sarebbe difficile spiegare come avvenga l'evacuazione dei
cibi superflui coadiuvata dall'alterna contrazione e dilatazione
dell'intestino, ma sarà bene lasciare da parte questo argomento perché
il nostro discorso non abbia ad assumere un colorito punto simpatico.
Si analizzi piuttosto lo straordinario organismo che la natura ha
saputo
creare. L'aria inspirata nei polmoni incomincia a riscaldarsi in
seguito allo stesso moto dell'inspirazione e ancor più si riscalda
una volta venuta a contatto coi polmoni medesimi. Quindi in parte
viene espirata all'esterno, in parte viene accolta in una cavità dei
cuore detta ventricolo cardiaco cui è adiacente altra consimile cavità
nella quale, attraverso la vena cava di cui s'è detto più sopra,
confluisce il sangue proveniente dal fegato.
Avviene così che dal primo ventricolo il sangue si diffonde per tutto
il corpo attraverso le vene, dal secondo l'aria fa lo stesso
attraverso le arterie, ed entrambe queste reti di canali, diffuse ed
intrecciate fra loro per tutto il corpo, contribuiscono a fornire la
incontestabile prova di un'ingegnosità davvero straordinaria e
divina.
139. E non parliamo poi delle ossa che costituiscono l'intelaiatura
dei corpo e di quelle meravigliose cartilagini che sono le più adatte
a dare stabilità al tutto, a delimitare le parti terminali degli arti
e a permettere che il corpo compia i suoi movimenti e le sue funzioni.
Aggiungi i muscoli, elemento connettivo delle membra, e le loro
mirabili
diramazioni che, al pari delle vene e delle arterie, si dipartono dal
cuore per estendersi a tutto il corpo.
140. A chiarire meglio l'opera solerte della provvidenza divina molti
altri fatti possono essere addotti che dimostrano quanti straordinari
benefici gli dèi abbiano concesso agli uomini. In primo luogo li
vollero eretti e sollevati da terra perché potessero ricavare dalla
visione del cielo la nozione della divinità. Gli uomini sono sorti
dal grembo della terra non per popolarla ed abitarla, bensì per
contemplare i fenomeni celesti, uno spettacolo che non riguarda
nessun'altra specie vivente.
Gli organi del senso, nunzi e messaggeri dei mondo esterno, sono stati
mirabilmente strutturati e collocati nel capo, come in una cittadella,
perché potessero esercitare nel modo migliore la loro funzione. Fra
essi gli occhi, a guisa di vedette, occupano la posizione più elevata
perché possano svolgere il loro compito sulla base di una amplissima
prospettiva;
141. anche le orecchie sono state collocate sulla parte alta dei corpo
dovendo esse percepire i suoni che tendono per natura ad innalzarsi;
parimenti le narici, data la tendenza di tutti gli odori a dirigersi
in su, trovano posto anch'esse nella zona superiore e poiché ad esse
soprattutto spetta pronunciarsi sui cibi e sulle bevande la loro
posizione e vicina a quella della bocca.
Quanto al gusto, cui spetta di distinguere i vari alimenti di cui ci
nutriamo, è collocato in quella parte della bocca in cui la natura ha
posto l'apertura destinata al passaggio dei cibi e delle bevande. Il
tutto, infine, è uniformemente distribuito in tutte le parti del
corpo e ci permette di avvertire ogni sollecitazione e tutte le benché
minime variazioni di
caldo e di freddo. E come nelle loro costruzioni gli architetti mirano
a tener lontano dalla vista dei padroni tutti quei rifiuti che
potrebbero arrecare loro qualche disgusto, così la natura si è
preoccupata di tener lontani simili effluvi dagli organi della
sensazione.
142. Quale artista, al di fuori della natura, insuperabile nella sua
perspicacia, avrebbe potuto porte tanta diligenza nella costruzione
degli organi di senso? Innanzitutto ha rivestito e ricoperto gli occhi
di membrane sottilissime, trasparenti e resistenti ad un tempo, sì da
permettere alle immagini di filtrare e di fornire agli occhi un solido
rivestimento.
Gli occhi poi li ha costruiti mobili e scorrevoli per far sì che essi
potessero liberarsi di ogni dannosa intrusione e volgersi facilmente
dove volessero. Quanto all'organo della visione vero e proprio, che
chiamano pupilla, è così piccolo che riesce ad evitare ogni
particella nociva; analogamente le palpebre, che fungono da copertura
degli occhi e che,
grazie alla loro estrema morbidezza avvertibile al tatto, non recano
alla pupilla alcun danno, sono state assai opportunamente adibite alla
funzione di chiudere e di riaprire gli occhi e di impedire così che
possano penetrarvi particelle estranee e si è altresì provveduto che
questa operazione possa avvenire continuamente e con la massima
celerità.
143. Le palpebre sono difese da una sorta di barriera di peli che
serve ad impedire che qualcosa penetri negli occhi quando sono aperti
e permette loro di riposare avvolti nelle loro guaine quando, venendo
a mancare la necessità di usarli, si chiudono per il sonno. Inoltre
gli occhi hanno il vantaggio di essere nascosti in apposite cavità e
di essere cinti
da ogni lato da considerevoli prominenze. In primo luogo le sporgenze
superiori, ricoperte dalle sopracciglia, arrestano il sudore fluente
dal capo e dalla fronte; dal basso la difesa è esercitata dalle gote
poste al di sotto degli occhi e leggermente sporgenti. Quanto al naso
costituisce una sorta di muro frapposto fra le due occhiaie.
144. Sempre aperto è l'organo dell'udito in quanto, anche quando
dormiamo, ne abbiamo bisogno e subito ci svegliamo non appena giunge
ad esso un suono. Segue un percorso flessuoso ed involuto perché non
vi si possa introdurre alcun oggetto, come invece avverrebbe se fosse
semplice e diritto. Si è anche ovviato alla eventualità che qualche
bestiolina cerchi di penetrarvi coi cerume dell'orecchio in cui
inesorabilmente rimane invischiata.
Quelle che chiamano orecchie sporgono al di fuori e servono a coprire
e a proteggere l'organo dell'udito nonché ad impedire che i suoni
scivolino via e si perdano prima di essere percepiti. Le aperture
delle orecchie sono dure e rigide in quanto il suono ripercosso da
corpi siffatti subisce un'amplificazione. Così negli strumenti a
corda
l'amplificatore è costituito dal guscio di tartaruga o dal corno ed i
suoni si fanno più intensi perché confinati in spazi chiusi e dal
percorso tortuoso.
145. Allo stesso modo le narici, sempre aperte per provvedere alle
varie necessità, sono strette all'apertura per evitare l'entrata di
corpuscoli nocivi e sono sempre umide per difendersi dalla polvere e
da molti. altri inconvenienti.
Ottimamente difeso è l'organo del gusto: chiuso nella bocca esercita
convenientemente il suo ufficio e provvede a conservare la propria
incolumità.
Tutti gli organi di senso dell'uomo sono insomma superiori a quelli
degli altri animali. In primo luogo vanno considerati gli occhi :
nelle arti affidate al loro giudizio - come la pittura, la scultura,
la cesellatura nonché l'arte di muoversi e di gestire -
particolarmente sottile è la loro capacità di distinguere
innumerevoli particolari e di valutarne la bellezza, l'ordinata
disposizione e, per così dire, la proprietà delle forme e dei colorì;
per non parlare di altri elementi ancora più importanti che essi
riescono a discernere come la virtù, i vizi, l'animosità e la
benevolenza, la gioia ed il dolore, la fortezza e l'ignavia, l'audacia
e il timore.
146. Straordinariamente perspicace è anche la capacità di giudizio
dell'orecchio che riesce a distinguere nel canto degli strumenti e
delle voci le differenze di tono ed i vari tipi di suono quali il
chiaro ed il cupo, il leggero e l'aspro, il grave e l'acuto, il
flessibile ed il duro, distinzioni queste accessibili al solo orecchio
dell'uomo. Importante è pure la
capacità di giudizio dei vari organi dell'olfatto, del gusto e dei
tatto. Le arti sorte per favorire e sviluppare tali sensazioni sono più
numerose anche di quanto io vorrei : basti pensare allo sviluppo della
profumeria, della culinaria e dei cosmetici.
147. Passando ora a considerare l'anima dell'uomo e la sua facoltà di
pensare, di giudicare, di prendere decisioni e di orientare
saggiamente la propria azione non ci resta che considerate che chi non
scorge in tutto ciò l'azione della divinità manca proprio delle
facoltà di cui s'è detto. E' un argomento nel trattare il quale
desidererei tanto che tu, caro Cotta, mi prestassi la tua eloquenza!
Con quale competenza tratteresti quelle questioni mettendo in evidenza
quanta intelligenza sia in noi e quale capacità di dedurre da
determinate premesse determinate conseguenze con un solo atto del
pensiero!
Una facoltà, quest'ultima, che ci permette di giudicare quale verità
logicamente discenda da ogni singola affermazione e di trarne la
logica conclusione nonché di circoscrivere ogni singolo oggetto
nell'ambito di una precisa definizione. E' partendo da siffatta
analisi che si comprende la vera importanza e l'intera articolazione
di quella scienza rispetto alla quale neppure gli dèì possono
vantare un bene più prezioso. Non poche sono le affermazioni che voi
Accademici invalidate e togliete di mezzo in base al principio che
senso ed intelletto devono cooperare alla percezione e comprensione
della realtà esterna;
148. e le arti che noi pratichiamo, in parte per le necessità della
vita ed in parte per rendere più piacevole la nostra esistenza,
nascono proprio dalla contrapposizione e dal confronto fra questi due
elementi. Quanto a quella che voi chiamate "signora del
mondo", l'eloquenza, trattasi di un'arte davvero illustre e
divina. Essa ci permette di
apprendere ciò che ignoriamo e di insegnare agli altri ciò di cui
siamo edotti: ad essa ricorriamo per esortare, per convincere, per
consolare gli afflitti, per liberare dalla paura i timorosi, per
umiliare i superbi e i facinorosi, per reprimere le passioni e i moti
dell'ira; è opera sua l'averci uniti coi comune vincolo del diritto,
delle leggi e della convivenza sociale e l'averci allontanati da una
vita selvaggia ed animalesca.
149. Quanto impegno la natura abbia posto per dar modo all'eloquenza
di esplicarsi non lo si crederebbe se la cosa non risultasse evidente
ad una attenta considerazione. C'è innanzitutto la trachea che dai
polmoni si spinge sino alla parte più interna della bocca e
attraverso la quale la voce, che ha il suo fondamento nel pensiero,
viene raccolta e
diffusa. Nella bocca ha pure sede la lingua chiusa nella chiostra dei
denti : a lei spetta il compito di regolare ed organizzare il flusso
dis ordinato ed inarticolato della voce nonché quello di renderci i
suoni chiari e distinti facendo forza sui denti e su altre parti della
bocca. Di qui l'uso da parte di quelli della nostra scuola di
paragonare la lingua ad un
plettro, i denti alle corde e le narici alle casse di risonanza che,
durante l'esecuzione, riecheggiano i suoni emessi dalle corde.
150. Con quanta proprietà sono in grado di adempiere le loro funzioni
e di quante arti sono ministre le mani che la natura ci ha dato! La
contrazione e l'estensione delle dita, resa agevole dalla morbidezza
dei collegamenti e delle articolazioni si esplica, comunque si
muovano, senza la minima fatica. Appunto per questo la mano è adatta
a dipingere,
a modellare, a scolpire e a trar suoni dalle corde e dai flauti
mediante l'applicazione delle dita.
Ma oltre a queste attività aventi per scopo il diletto dell'uomo ci
sono anche quelle che provvedono alle sue necessità: intendo qui
riferirmi alla coltivazione dei campi, alla costruzione delle case,
alla fabbricazione dei vestiti, siano essi tessuti o cuciti e a tutta
in genere la lavorazione del bronzo e del ferro. Orbene, è stato
proprio applicando le
mani dei lavoratori alle scoperte del pensiero e alle osservazioni dei
sensi che siamo riusciti a raggiungere tutti i risultati che ci hanno
permesso di vivere al riparo, ricoperti di vesti e al sicuro da
insidie, di possedere città, muri, case, templi.
151. Inoltre l'attività dell'uomo, o meglio, delle sue mani, è in
grado di fornire grande varietà ed abbondanza di cibi. Molti sono i
prodotti dei campi dovuti alla mano dell'uomo che o vengono subito
consumati o vengono messi ad invecchiare: ad essi si devono aggiungere
gli animali terrestri, acquatici e forniti di ali di cui ci nutriamo
dopo averli
catturati od allevati. Sottoponendoli alla nostra volontà siamo anche
riusciti ad adibire i quadrupedi al nostro trasporto e sfruttando la
loro forza e velocità acquistiamo anche noi forza e velocità.
Su determinati animali carichiamo i nostri pesi ed imponiamo dei
gioghi, volgiamo a nostro vantaggio gli acutissimi sensi degli
elefanti e la sagacità dei cani, strappiamo alla profondità della
terra il ferro, metallo indispensabile alla coltivazione dei campi,
scopriamo remotissime vene di rame, d'argento e d'oro utili ad un
tempo ed adatte ad
ornarci, tagliamo gli alberi crescenti allo stato selvaggio o che noi
stessi abbiamo coltivati e del materiale che ne ricaviamo facciamo o
legna da ardere, per cuocere i cibi e per riscaldarci, o legname da
costruzione per proteggerci dalle intemperie.
152. Il legname è di grande utilità anche per la costruzione delle
navi che, con le loro traversate, fanno affluire da ogni parte grande
abbondanza di prodotti indispensabili per la nostra esistenza. Solo
noi uomini, grazie alla scienza della navigazione, siamo in grado di
dominare e regolare elementi quali i mari ed ì venti, che la natura
ha dotato di
straripante potenza, e innumerevoli sono i prodotti marini che abbiamo
saputo sfruttare e volgere a nostro vantaggio.
Parimenti di tutte le cose utili che vengono dalla terra l'uomo è
signore incontrastato. E' opera nostra lo sfruttamento dei monti e
delle pianure, i fiumi ed i laghi sono in nostro potere, siamo noi che
seminiamo i cereali, che piantiamo gli alberi, che fecondiamo i
terreni con opere di canalizzazione e di irrigazione, che arrestiamo,
che incanaliamo, che deviamo il corso dei fiumi, che ci sforziamo, in
ultima analisi, di costituire in seno alla natura una specie di
seconda natura.
153. E che dire della facoltà razionale dell'uomo? Non si è forse
spinta sino al cielo? Soli fra gli esseri dotati di vita siamo
riusciti a conoscere il corso degli astri, il loro sorgere ed il loro
tramontare. Sono stati gli uomini a definire la durata del giorno, del
mese, dell'anno ed a conoscere le eclissi dei sole e della luna
riuscendo a predire per tutto il tempo avvenire il loro numero e la
data esatta di ciascuna.
Partendo dalla contemplazione di questi fenomeni l'animo dell'uomo
finisce per accostarsi alla cognizione degli dèi fonte della pietà
e, insieme, della giustizia e di tutte le altre virtù dalle quali
deriva all'uomo una felicità pari e simile a quella degli dèi ed
inferiore a quella per la sola mancanza del dono dell'immortalità: ma
l'immortalità nulla ha a che
fare con una vita virtuosa.
Con questa mia esposizione mi sembra di aver sufficientemente chiarito
la superiorità dell'umana natura rispetto agli altri animali sì che
dovrebbe ormai risultare chiaro che né la struttura e la
conformazione delle membra né la nativa facoltà del pensiero possono
essersi costituite per puro caso.
154. Mi resta ora da dimostrare, a mo' di conclusione, che tutto ciò
di cui l'uomo si serve in questo mondo è stato appositamente creato e
preparato per lui.
Innanzitutto il mondo è stato di per se stesso costruito per gli
uomini e per gli dèi e tutto ciò che esso contiene è stato
predisposto e si è rivelato di utilità per l'uomo. Il mondo è
infatti una sorta di comune dimora degli dèi e degli uomini o, se si
vuole, una città destinata ad accoglierli entrambi: lo dimostra il
fatto che essi soli hanno l'uso della
ragione e vivono in base al diritto ed alle leggi. Come dunque Atene e
Sparta sono da ritenersi costruite in funzione degli Ateniesi e degli
Spartani e a buon diritto si afferma che quanto si trova in esse
appartiene a quei popoli, allo stesso modo tutto ciò che il mondo
reca in sé in tutta la sua estensione deve considerarsi come
appartenente agli dèi ed agli uomini.
155. Consideriamo i movimenti del sole, della luna e delle altre
stelle: essi servono indubbiamente a mantenere la compagine
dell'universo, ma offrono anche all'uomo uno spettacolo la cui
contemplazione non stanca mai e del quale nessun'altra visione è più
bella e più adatta a stimolare l'attività razionale. In base alla
misurazione di quei movimenti siamo riusciti a determinare i limiti,
le variazioni, ed i mutamenti delle stagioni, tutti fenomeni questi
che, se sono noti solo all'uomo, non possono che essere stati
predisposti appositamente per lui.
156. Quanto alla terra, gravida di messi e di ogni genere di legumi
ch'essa elargisce con infinita generosità, per chi la vediamo
generare i suoi prodotti, per gli uomini o per gli animali? Che dire
della vite e dell'olivo i cui abbondantissimi e fecondissimi frutti
nulla hanno a che fare con le bestie? Manca agli animali ogni nozione
sulla semina, sulla coltivazione, sul tempo adatto per la mietitura,
sulla raccolta dei prodotti e sulla loro conservazione in luoghi
appositi, tutte attività che sono di esclusiva pertinenza dell'uomo.
157. Come le cetre ed i flauti debbono ritenersi costruiti per coloro
che se ne servono, cosi si deve riconoscere che le cose di cui ho
parlato sono state create esclusivamente per coloro che ne fanno uso,
e se qualche animale ce ne strappa o ne ruba una parte, non per questo
diremo che quei prodotti sono venuti alla luce per lui! Non è certo
per le
formiche e per i topi che gli uomini ripongono il frumento, ma per le
spose, per i figli e per la servitù. Avviene così che gli animali
godano di nascosto dei beni della terra, i loro padroni liberamente ed
alla luce del sole.
158. E' dunque giocoforza ammettere che proprio all'uomo è destinata
tanta abbondanza di prodotti, sempre che non si ritenga eccessivo che
a lui solo la natura abbia donato frutti cosi vari ed abbondanti e così
deliziosi non solo a gustarsi ma anche ad annusarsi e a vedersi. Ma è
tanto poco vero che beni siffatti sono destinati anche agli animali
che,
a quanto ci risulta, sono invece le bestie che esistono proprio per
servire alle necessita dell'uomo. Che funzione hanno le pecore se non
quella di permettere agli uomini di rivestirsi dei loro velli,
lavorati ed intessuti?
Basti considerare che questi animali senza una sollecita cura da parte
dell'uomo non avrebbero potuto né alimentarsi, né sostenersi, né
produrre alcunché di utile. E non parliamo dei cani, della loro
fedeltà nel fare la guardia, del loro affetto per il padrone, della
loro avversione per gli estranei, della straordinaria finezza dei loro
olfatto nelle
ricerche, della loro grande alacrità nella caccia: che significa
tutto ciò se non che il cane è stato creato per soddisfare le
necessità dell'uomo?
159. E che dire dei buoi? La stessa conformazione del dorso risulta
inadatta a sostenere dei pesi, ma il collo appare nato proprio per
reggere il giogo e gli omeri ampi e vigorosi per trascinate l'aratro.
Furono i buoi a domare la terra scindendone le zolle e per questo loro
merito gli uomini dell'età dell'oro, a quanto ci riferiscono i poeti,
non fecero mai loro alcuna violenza: "Quindi sorse d'un tratto
una stirpe di ferro contesta e prima osò costruire la spada ministra
di morte e dei giovenchi, domati ed avvinti, a cibarsi
d'intraprese"
Il servizio prestato dai buoi era valutato a tal punto che il cibarsi
delle loro carni era ritenuto un delitto.
Sarebbe troppo lungo passare in rassegna le benemerenze degli asini e
dei muli certamente creati per servire all'uomo.
160. Quanto al maiale non serve ad altro che a fornir carne da
mangiare, tanto che Crisippo afferma che gli fu data persino un'anima
invece del sale per impedirne la putrefazione. Proprio per queste sue
straordinarie doti alimentari la natura ha fatto di questo animale il
più prolifico di tutti. Che dire poi dei delicato sapore di tante
varietà di pesci? Che dire degli uccelli, un cibo cosi raffinato da
far sospettare che la nostra Provvidenza stoica sia stata alla scuola
di Epicuro? E si noti che gli uccelli si riescono a catturare solo
grazie all'intelligenza e all'astuzia dell'uomo anche se alcuni di
essi - quelli che i nostri aruspici chiamano alites e oscines - hanno
per noi la sola funzione di predire il futuro.
161. Andiamo anche a caccia di belve feroci e selvagge sia per
ricavarne cibo sia a scopo di allenamento in vista dei cimenti della
guerra, sia per ricavarne un aiuto una volta che siano state
sottomesse ed ammaestrate, come avviene per gli elefanti, nonché per
ricevere dai loro corpi dei farmaci contro le malattie e le ferite non
dissimili da quelli che estraiamo da erbe e radici la cui utilità
abbiamo appreso in seguito ad una lunga esperienza. Si scorrano pure
con gli occhi del pensiero tutte le terre e tutti i mari: non si
scorgeranno altro che immense estensioni di campi ricchi di messi,
monti ricoperti di densissime selve, pascoli per gli allevamenti,
rotte marine per le navi rapidissime da percorrersi.
162. E non solo sulla superficie della terra, ma anche nelle sue
profondità tenebrose vi sono innumerevoli sostanze utili all'uomo che
sono state create perché egli possa farne uso e che lui solo è
riuscito a scoprire.
Il prossimo argomento è presumibilmente destinato a subire gli
attacchi dei miei avversari, di Cotta in quanto era consuetudine di
Carneade scagliarsi contro gli stoici, di Velleio in quanto non v'era
nulla su cui maggiormente si appuntasse l'ironia di Epicuro quanto la
previsione degli eventi futuri: eppure per me esso conferma nel modo
più
evidente che alle cose umane provvede l'oculata saggezza degli dei. E'
un fatto che la divinazione esiste e si manifesta in molteplici
luoghi, occasioni e circostanze sia nella vita privata sia,
soprattutto, in quella pubblica.
163. Molte cose scorgono gli aruspici, molte ne prevedono gli auguri,
molte sono rivelate dagli oracoli, molte dai vaticini, molte dai
sogni, molte dai prodigi grazie ai quali molte vicende si sono risolte
secondo i desideri degli uomini ed a tutto loro vantaggio e molti
pericoli sono stati scongiurati. Questa facoltà, sia essa una capacità
innata o un'arte o
un dono naturale, fu concessa dagli dei all'uomo, ed a lui solo, perché
fosse in grado di conoscere gli eventi futuri.
Anche se i singoli episodi non riescono a convincervi, presi nel loro
insieme e considerati nei loro complessi e vicendevoli rapporti
avrebbero dovuto persuadervi.
164. Del resto non è solo sul genere umano nel suo complesso che si
esercita l'azione provvidenziale degli dèi immortali, ma anche sui
singoli individui: basta ridurre gradualmente l'insieme dell'umanità
a gruppi sempre più ristretti fino a giungere alle persone isolate.
Se è vero che gli dèì, per le ragioni di cui s'è parlato,
provvedono a tutti gli uomini dovunque si trovino e qualunque piaga o
regione abitino di quelle terre che, benché distanti dalla parte che
noi abitiamo, appartengono con essa ad un unico, ininterrotto
continente, è evidente che essi provvedono anche a coloro che con noi
abitano queste terre da oriente ad occidente.
165. D'altra parte se essi provvedono agli abitanti di questa specie
di grande isola che noi chiamiamo globo terrestre, provvedono anche
agli abitanti delle singole regioni di quest'isola quali l'Europa,
l'Asia e l'Africa e prediligono anche quelle che di queste regioni
sono alla loro volta delle parti come Roma, Atene, Sparta, Rodi nonché
singoli
cittadini di queste città al di sopra di tutti gli altri come fecero
per Curio, Fabrizio e Coruncanio durante la guerra contro Pirro, per
Calatino, Duilio, Metello e Lutazio durante la prima guerra punica,
per Massimo, Marcello e l'Africano durante la seconda e,
successivamente per Paolo, Gracco e Catone, e, a memoria dei nostri
padri, per Scipione e Lelio.
Inoltre Roma e la Grecia dettero i natali a tante personalità di
rilievo nessuna delle quali probabilmente si sarebbe affermata senza
l'aiuto divino.
166. Fu questa considerazione che spinse i poeti, e soprattutto Omero,
a fare di determinati dèi i compagni di pericolo e di avventure di
eroi quali Ulisse, Diomede, Agamennone, Achille. E non basta: spesso
gli dèi si sono presentati di persona, come nei casi sopra ricordati,
mostrando chiaramente il loro particolare interesse per determinate
città e per singoli personaggi. Ciò risulta anche dalla rivelazione
di eventi futuri fatta ora a uomini immersi nel sonno, ora nel pieno
della veglia. Si aggiungano i numerosi avvertimenti che ci vengono dai
vari segni, dall'esame delle interiora delle vittime e dagli altri
fenomeni dei quali una diuturna esperienza ha fatto altrettanti
strumenti dell'arte
divinatoria.
167. Gli è che nessun uomo è mai stato veramente grande senza una
qualche ispirazione divina. In questo caso non avrebbe alcuna
importanza obiettare che se una tempesta danneggia i campi o le vigne
di qualcuno o lo priva di qualche beneficio noi siamo indotti a
pensare che quell'uomo sia vittima dell'odio o della trascuratezza
degli dèí. Gli dèi
si occupano delle cose importanti e trascurano le inezie. Per gli
uomini veramente grandi tutto procede nel migliore dei modi se è vero
che i nostri maestri e Socrate, principe della filosofia, ci hanno
ormai sufficientemente illustrato gli infiniti vantaggi della virtù.
168. Questo, più o meno, è quanto mi sono ricordato ed ho creduto
opportuno esporre sulla natura degli dèi.
Quanto a te, Cotta, se volessi darmi ascolto, dovresti trattare lo
stesso tema memore della tua dignità di primo cittadino e di
pontefice e avvalendoti della facoltà che la vostra scuola vi concede
di considerare il pro ed il contro delle questioni dovresti senz'altro
assumere la mia stessa posizione e mettere a frutto in questa
discussione quell'abilità dialettica che hai acquistato nelle scuole
di retorica e che la pratica dell'Accademia ha vieppiù rafforzato. E'
cattiva consuetudine parlare contro gli dèi, che lo si faccia sia per
convinzione, sia per un semplice pretesto.
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