Indice Epica
Sign-Up
Staff
Forum
Home
Contatti
Internos

Cicerone: Sulla natura degli dei   II
LIBRO II°
1. A queste parole di Cotta: " sono stato proprio uno sventato - interloquì Velleio - a tentare di cimentarmi con un uomo che, oltre ad appartenere alla scuola accademica e anche un valente oratore! Non mi avrebbe certo, fatto paura un accademico a corto di doti oratorie né tanto meno un oratore, anche vuote di effettivo contenuto né da argomentazioni sottili cui manchi l'appoggio di un eloquio sostenuto. Ma tu, caro Cotta, hai mostrato di avere l'una e l'altra dote: ti mancava solo un vero uditorio ed una regolare giuria. Ma a questo risponderò in altra occasione. Ora stiamo a sentire quello che ha da direi il nostro Lucilio, sempre che non abbia nulla in contrario".
2. A questo punto intervenne Balbo: "Per conto mio - disse - preferirei ascoltare ancora Cotta per dargli' il tempo di rappresentarci le vere divinità con la stessa foga oratoria con la quale ha demolito quelle false: si addice alla personalità di un filosofo, di un Pontefice, di un Cotta, insomma, non avere degli dèi immortali un concetto vago e ondeggiante come gli Accademici, bensì una convinzione precisa e sicura come l'hanno quelli della nostra scuola.
Contro Epicuro si è già parlato più che a sufficienza. Prima pero vorrei sentire che ne pensa l'interessato". Al che Cotta: "Hai dunque dimenticato quanto ti dissi all'inizio, che cioè, specie in questioni dei genere, mi riesce più facile esprimere ciò che non penso di ciò che effettivamente penso?
3. D'altronde, anche se avessi idee chiare al riguardo, pure preferirei sentire te parlare a tua volta, visto che io ho già parlato tanto".
"Farò dunque a tuo modo - concluse Balbo - e cercherò di essere il più breve possibile dato che la già avvenuta confutazione degli errori di Epicuro è valsa ad eliminare una parte considerevole della mia esposizione. I seguaci della nostra scuola propongono una prima quadruplice ripartizione generale dell'argomento che ci interessa. In primo luogo affermano l'esistenza degli dèì, passano quindi a determinarne la natura; segue la dimostrazione che sono essi a governare il mondo e, infine, che provvedono agli interessi dell'uomo. Nella nostra esposizione ci limiteremo a trattare il primo ed il secondo punto: il terzo ed il quarto penso di rimandarli ad altra occasione, dato il loro maggiore peso".
"Neanche per sogno! - intervenne Cotta - oltre a non aver nulla da fare, ci stiamo occupando di problemi di fronte ai quali anche gli affari pubblici debbono cedere il passo".
4. " La prima questione - soggiunse allora Lucilio - non ha neppure bisogno di essere trattata. Basta contemplare il firmamento ed i corpi che vi si trovano perché nulla risulti più chiaro ed evidente dell'esistenza di una volontà governata da una suprema intelligenza che regola tutti questi fenomeni. Se non fosse così come avrebbero potuto incontrate il generale consenso le parole di Ennio: "contempla quest'essere che al di sopra di ogni altro rifulge, che tutti invocano col nome di Giove", quel Giove che domina il mondo e che tutto regge col suo cenno, "il padre degli dèi e degli uomini" per usare ancora le parole di Ennio, onnipresente ed onnipotente? Chi dubita di questa verità non vedo perché non dovrebbe porre in dubbio l'esistenza stessa del sole
5. che sotto nessun aspetto risulta più evidente della precedente affermazione. Se di tutto ciò non avessimo avuto conoscenza e non fossimo fermamente convinti nel nostro intimo, una tradizione come questa non si conserverebbe immutata per lungo tempo, non si rafforzerebbe coi passare degli anni, non avrebbe potuto sopravvivere all'alternarsi delle età e delle generazioni umane. Possiamo constatare che tutte le altre opinioni false e senza rispondenza nella realtà si sono dissolte col tempo. Chi crede più che un tempo esistessero l'ippocentauro e la Chimera? Si trova forse ancora una vecchina tanto sciocca da temere quei mostri che una volta si credeva popolassero gli Inferi? li tempo distrugge i meri frutti dell'immaginazione e rinforza i giudizi dettati dalla natura.
Per questo sia presso il nostro popolo sia presso gli altri il culto degli dèi e il rispetto delle pratiche religiose si sono sempre più accresciuti e perfezionati;
6. E ciò non avvenne né senza ragione né per puro caso, ma spesso furono proprio gli dèi a manifestare la propria potenza offrendosi alla vista degli uomini. Così presso il Lago Regillo, durante la guerra contro i Latini che mise a confronto il dittatore Aulo Postumio e Ottavio Mamilio di Tuscolo, si videro Castore e Polluce combattere a cavallo dalla nostra parte e in epoca più recente furono ancora i figli di Tindaro ad annunziare la sconfitta di Perseo.
Publio Vatinio, il nonno dei giovane Vatinio che tutti conosciamo, stava tornando di notte a Roma da Rieti dove esercitava l'ufficio di governatore quando gli si presentarono dinnanzi due giovani in sella a bianchi destrieri e gli annunziarono che in quello stesso giorno il re Perseo era caduto prigioniero. Come egli ebbe riferito la cosa al Senato dapprima fu gettato in carcere sotto l'accusa di falso in questioni di pubblico interesse, ma quando dal dispaccio di Paolo risultò che il giorno coincideva il Senato gli donò un podere e gli concesse l'esonero.
Si ricorda anche che quando in una grandiosa battaglia presso il fiume Sagra i Locresi sconfissero i Crotoniati, in quello stesso giorno la notizia di quel combattimento si riseppe ad Olimpia dove erano in atto le gare. Sovente il suono delle voci dei Fauni, sovente l'apparizione di figure divine indussero chiunque non fosse demente od empio a riconoscere la presenza della divinità.
7. Quanto poi alle profezie e alle premonizioni dei futuro che cosa provano se non che gli avvenimenti futuri vengono rivelati, mostrati, pronosticati, predetti agli uomini (donde i termini di rivelazione, mostro, pronostico, prodigio)? Ché, se anche consideriamo come frutti di fantasia personaggi come Mopsolo, Tiresia, Amfiarao, Calcante, Eleno, data l'estrema arbitrarietà dei racconti mitici (eppure anche i miti non avrebbero annoverato quei personaggi fra gli auguri, se non ammettessero la validità dei fatti) non riconosceremo ugualmente la potenza divina una volta resi edotti dalle esperienze di casa nostra?
Non ci farà dunque riflettere la temerità dimostrata da Gaio Clodio durante la prima guerra punica? Costui, poiché i polli sacri, liberati dalla gabbia, non toccarono cibo ordinò che fossero immersi nell'acqua "perché bevessero, visto che non volevano mangiare" e si macchiò cosi della colpa di dileggio nei riguardi della divinità, anche se aveva voluto solo dire una spiritosaggine. Ma questa spiritosaggine, dopo la disfatta della flotta, fruttò a lui molte lagrime ed al popolo romano una grave sconfitta. E che dire del suo collega Lucio Giunio? Non fu forse lui a perdere la flotta durante quella medesima guerra per non aver obbedito agii auspici? La conseguenza fu che Ciodio fu condannato dal popolo e Giunio si diede da se stesso la morte.
8. Celio riferisce che Gaio Flaminio per aver trascurato le sacre cerimonie cadde al Trasimeno con grave iattura per la patria. Dalla rovina di questi uomini si può ricavare che lo stato prosperò quando il potere fu in mano a persone ligie ai doveri religiosi. E se vorremo paragonare la storia di casa nostra con quella dei popoli stranieri troveremo che in tutto il resto fummo pari ad essi o anche inferiori, ma in fatto di religiosità, cioè di culto divino, fummo loro di gran lunga superiori.
9. Dobbiamo dunque tenere in non cale la famosa verga augurale di Attio Navio con la quale egli delimitava le varie zone dei vigneto nella ricerca del porco sacro? Sarei anch'io di questo parere se il re Ostilio le sue imponenti campagne di guerra non le avesse condotte proprio in ottemperanza agli auspici tratti da quella verga. Purtroppo per trascuratezza da parte della classe aristocratica la scienza augurale è stata abbandonata, il valore degli auspici è decaduto e delle cerimonie augurali sussistono solo le forme esteriori; pertanto le azioni piú importanti per la vita dello stato e fra esse le guerre da cui dipende la sua salvezza vengono condotte senza trarre gli auspici. Non si rispettano i presagi prima di attraversare un fiume, non si osservano le fiammelle in cima alle lance, non è più in uso la rituale convocazione dei soldati prima delle battaglie ed è perciò scomparso l'uso di far testamento ad esercito schierato. I nostri comandanti infatti incominciano a condurre le guerre dopo aver deposto la facoltà io augurale.
10. Ma al tempo dei nostri progenitori fu tanto il peso dei fattore religioso che alcuni comandanti di eserciti, a capo coperto e con formule determinate offrirono se stessi in olocausto agli dèi immortali per il bene della patria. Dai vaticini delle sibille e dai responsi degli aruspici si possono trarre molte veritiere testimonianze che nessuno ha il diritto
di porre in dubbio.
Ma è l'evidenza dei fatti che ha comprovato la validità della scienza dei nostri auguri e degli aruspici etruschi quando erano consoli Publio Scipione e Gaio Figulo. Tiberio Gracco, che rivestiva per la seconda volta l'ufficio di console, stava presiedendo l'elezione dei suoi successori; ed ecco che l'ufficiale incaricato di raccogliere i voti della prima centuria non appena ebbe riferito i nomi degli eletti morì sul luogo stesso. Gracco condusse ugualmente a termine i comizi, ma avendo notato che l'evento aveva turbato il sentimento religioso dell'assemblea, ne riferì al Senato. Il Senato allora decretò che il caso venisse deferito a chi di consueto e gli aruspici introdotti per l'occasione dichiararono che il presidente dei comizi non esercitava la carica di pieno diritto.
11. A questo punto Gracco, come ho sentito raccontate da mio padre, preso dall'ira, sbottò: "Ma davvero? Dunque non era secondo le regole che io, console ed augure, presiedessi i comizi dopo aver preso gli auspici rituali! Voi invece, razza di barbari venuti dall'Etruria, avete diritto di sentenziare in materia di auspici riguardanti il Popolo Romano e di farvi arbitri della regolarità dei nostri comizi".
E con queste parole ordinò che uscissero. In seguito però inviò dalla provincia una lettera al collegio degli auguri nella quale confessava di essersi ricordato, leggendo i libri augurali, di una irregolarità commessa nel recarsi alla tenda rituale posta negli orti di Scipione: dopo aver varcato una prima volta il pomerio per provvedere alla convocazione del Senato, al ritorno, nel varcarlo di nuovo, aveva dimenticato di prendere gli auspici; l'elezione dei consoli non era stata quindi regolamentare.
Gli auguri riferirono al Senato e il Senato invitò i consoli a dimettersi, il che essi fecero. Può darsi un esempio più convincente di questo? Un uomo di estrema saggezza e, oserei dire, a tutti superiore, preferì far pubblica confessione di un suo errore, che avrebbe potuto rimanere celato, piuttosto che permettere che venisse meno nello Stato il rispetto delle consuetudini religiose ed i consoli preferirono deporre la suprema carica piuttosto che conservarla anche un solo istante contro la religione.
12. Grande è l'autorità degli auguri. Ma che dire allora dell'arte degli aruspici? Non deriva forse dagli dèi? Basta considerare gli episodi riferiti e i numerosissimi altri dello stesso genere per essere costretti ad ammettere l'esistenza degli dèi. Debbono infatti esistere gli esseri di cui gli auguri sono interpreti : ma poiché essi sono interpreti proprio degli
dèi non ci resta che riconoscere che gli dèi esistono.
Si potrà forse obiettare che non tutte le predizioni si realizzano. Ma... non perché tutti i malati guariscono, non per questo non esiste la medicina. Gli dèi ci forniscono dei segni degli eventi futuri: se poi nell'interpretarli alcuni hanno sbagliato l'errore non sta certo nella divinità, bensì nell'interpretazione degli uomini.
C'è pertanto un sostanziale accordo fra gli uomini di tutte le nazioni, ché in tutti è innato e quasi scolpito nell'intimo il concetto che esistono gli dèi.
Sulla loro natura c'è varietà di opinioni, ma nessuno ne nega l'esistenza.
13. Secondo il nostro Cleante quattro satebbero le ragioni per le quali avrebbe preso forma nell'animo umano l'idea della divinità. La prima sarebbe quella di cui s'è detto or ora, quella, cioè, che scaturisce dalla precognizione degli eventi futuri. La seconda la ricaveremmo dall'intensità dei benefici che ci vengono forniti dalla mitezza dei clima, dalla fecondità dei terreni e da tutta una serie innumerevole di altre circostanze vantaggiose
14. La terza sarebbe determinata dal terrore che incutono nell'animo umano i fulmini, le tempeste, le bufere, la neve, la grandine, le devastazioni, la peste, i terremoti e, non di rado, i boati, la caduta di pietre, le piogge di color rossiccio simili a sangue e, occasionalmente, i franamenti, l'improvviso aprirsi di voragini nel terreno, la nascita di mostri umani e animaleschi in contrasto con l'ordine naturale, l'apparizione nel cielo di fuochi e di quelle stelle che i Greci dicono chiomate e noi caudate e che tante sventure preconizzarono nella recente guerra di Ottavio e, ancora, la comparsa di due soli, un fenomeno che, come udii da mio padre, avvenne sotto il consolato di Tuditano ed Aquilio, l'anno in cui morì Publio Africano, il secondo sole di Roma, onde gli uomini atterriti avvertirono la presenza di una forza divina operante nel cielo.
15. La quarta ragione, la più importante di tutte, ce la fornirebbe la costante regolarità con cui il cielo, il sole, la luna compiono ciascuno il proprio moto di rivoluzione, la distribuzione degli astri tutti, nonché i benefici effetti che ne derivano, la bellezza dello spettacolo, l'ordine che vi regna: una visione che al solo contemplarla ci convince che non può trattarsi di fenomeni casuali.
Prendiamo il caso di un uomo che entri in una casa, o in una scuola, o in un luogo di pubblica assemblea.
Osservando l'ordine, la regolarità, la disciplina che vi regnano sarà impossibile per lui pensare che tutto ciò sia senza una ragione ma ne dedurrà subito che c'è qualcuno che dà ordini e cui si ubbidisce. A maggior ragione di fronte a movimenti così vasti e a vicende tanto imponenti che, per quanto ci si riporti nel remoto passato, non subirono mai la minima deroga, non potrà fare a meno dal riconoscere che c'è un principio intelligente che regola la grandiosa dinamica della natura.
16. Crisippo poi, nonostante il suo acutissimo ingegno, parla come se quei principi gli fossero stati suggeriti dalla natura e non fosse stato lui stesso ad acquisirli. " Se esiste nel mondo qualcosa - sono sue parole - che né l'intelligenza dell'uomo, né la sua capacità razionale, né la sua forza, né la sua potenza sono in grado di realizzare, l'artefice di tale realizzazione è certamente un essere superiore all'uomo. Ma i fenomeni celesti e tutti quelli inseriti in un ordinamento valido per tutta l'eternità non possono essere opera dell'uomo. Il loro autore è dunque migliore dell'uomo.
E come chiamare codesto essere se non dio? Infatti, ammesso che non esistano gli dèi, che v'è nel mondo di superiore all'uomo? Ché solo in lui v'è la ragione di cui nulla è più apprezzabile. D'altra parte il ritenere che nulla vi sia al mondo di superiore a se stessi è segno di stoltezza e di presunzione. Deve quindi esistere nel mondo un essere superiore all'uomo e quest'essere non può che identificarsi con la divinità.
17. Sta di fatto che se tu entri in una casa grande e bella non puoi essere indotto a credere, pur non conoscendone il padrone, che siano stati i topi e le faine a costruirla. Perché allora non ti si dovrebbe considerare uno sciocco qualora tu ritenessi come tua dimora e non degli dèi questo mondo così splendidamente adorno, questa volta celeste di così varia ed intensa bellezza, queste sconfinate distese di mari e di terre?
Ma il peggio si è che non riusciamo neppure a tenderci conto che tutto ciò che è sopra di noi è migliore di noi, mentre la terra, circondata com'è da una densissima atmosfera, occupa l'ultimo posto; e lo stesso fenomeno che constatiamo in determinate regioni e in determinate città i cui abitanti hanno capacità intellettuali più limitate per la maggiore densità atmosferica, accade al genere umano nel suo insieme in quanto dimora sulla terra che è la regione più densa dell'universo.
18. Ciò non toglie però che, proprio partendo dalle elevate capacità dell'umano intelletto, siamo necessariamente spinti a riconoscere l'esistenza di una mente superiore alla nostra e di natura divina. "Donde l'uomo avrebbe potuto trarre la sua?" si chiede Socrate in un'opera di Senofonte. Se ci si limita a chiedere donde l'uomo abbia tratto l'umidità ed il calore che vediamo intimamente fusi nel suo corpo o i suoi organi interni solidamente connessi fra di loro come avviene negli altri esseri terrestri o l'aria che si respira, appare evidente che tutto ciò gli deriva in parte dalla terra, in parte dall'elemento liquido, in parte dal fuoco, in parte dall'aria che chiamiamo spirito.
Ma l'elemento che sovrasta tutti gli altri, la ragione (o mente o facoltà deliberativa o pensiero o prudenza che dir si voglia) dove l'abbiamo scovata, da quale fonte l'abbiamo ricevuta? Il mondo recherà dunque in sé tutto il resto e mancherà di quest'unico elemento che è senz'altro il più prezioso? Eppure fra tutto ciò che esiste non v'è nulla che sia superiore a questo nostro inondo, nulla che sia più apprezzabile o più bello: e non solo non esiste nulla che sopravanzi l'eccellenza dei mondo, ma non è neppure possibile immaginarlo. E se non c'è nulla di superiore alla ragione ed alla sapienza dobbiamo necessariamente concludere che tale facoltà ha sede proprio in quell'entità che riconosciamo essere al di sopra di tutto ciò che esiste.
19. E che dire di una così compatta connessione di tutti gli esseri fra loro in una perfetta unità di finalità e di intenti? Non costringerà chiunque ad ammettere la validità delle mie affermazioni? Come potrebbe altrimenti la terra ricoprirsi tutta di fiori nel medesimo periodo e, in seguito, secondo un ritmo alterno, rivestirsi di squallore? In mezzo a così vaste e profonde trasformazioni come potrebbe distinguersi l'accostarsi o l'allontanarsi del sole dalla terra in occasione dei due solstizi? come potrebbero sollevarsi le maree negli stretti bracci di mare al sorgere o al tramontare della luna o come conservarsi distinte le orbite degli astri nonostante unico sia il moto di rivoluzione della volta celeste?
Tutto questo complesso processo armoniosamente connesso ed organizzato sarebbe del tutto impossibile se non fosse guidato da uno spirito divino operante senza soluzione di continuità.
20. Quando codeste dottrine vengono esposte con abbondanza e scorrevolezza di eloquio, come è mia intenzione dì fare, è più facile sottrarsi agli attacchi degli Accademici; quando invece, al modo di Zenone, si giunge troppo concisamente e brevemente alle conclusioni, ci si espone maggiormente alle obiezioni. Come un fiume che liberamente fluisce di rado o mai s'inquina, mentre facilmente ciò può avvenire per un'acqua stagnante, cosi le obiezioni malevole del critico si sgretolano sotto gli attacchi di un'oratoria fluente mentre un eloquio serrato e conciso non riesce a difendere le proprie posizioni. Le argomentazioni che noi veniamo esponendo con ampiezza di particolari erano così condensate da Zenone:
21. "Tutto ciò che fruisce di ragione è superiore a ciò che non ne fruisce; ma nulla è superiore al mondo; il mondo dunque fruisce di ragione ". Con lo stesso procedimento si può dimostrare che il mondo è saggio, che il mondo è felice, che il mondo è eterno. Infatti tutti gli esseri che godono di tali prerogative sopravanzano quelli che ne sono privi e nulla sopravanza il mondo: di qui la conclusione che il mondo ha natura divina.
22. A Zenone appartiene anche quest'altra argomentazione: " Ad un essere non dotato di sensibilità non può appartenere nulla che sia sensibile; ma del mondo fanno parte esseri forniti di sensibilità; il mondo quindi non può mancare di sensibilità". A questo punto il ragionamento si fa più stringente e serrato: " Un'entità priva di vita e di ragione - sono sempre parole d i Zenone - non può generare dal suo seno un essere che possegga vita e ragione; ma il mondo procrea esseri dotati di tali prerogative; anche il mondo quindi è fornito di vita e di ragione".
Concludendo il suo dire Zenone ricorre, secondo il suo solito, ad una similitudine: "Se un ulivo fosse in grado di produrre flauti dal suono melodioso certo non esiteresti ad ammettere che l'ulivo possegga l'arte di suonare il flauto. E quale sarebbe la tua conclusione se i platani recassero delle corde risuonanti secondo le regole musicali? Sarebbe certamente la stessa, che cioè anche i platani conoscono la musica. Perché allora non considerare anche il mondo fornito di vita e di saggezza dal momento che genera dal suo seno esseri siffatti? ".
23. Ma visto che ho incominciato a discostarmi da quanto avevo detto (che cioè tutta questa prima parte non aveva bisogno di una trattazione essendo a tutti manifesto che gli dèi esistono) voglio comprovare questa verità con argomenti tratti dalla realtà naturale. Il fatto è questo che tutti gli esseri che si nutrono e crescono contengono in sé energia calorifica senza la quale non potrebbero né nutrirsi né crescere; infatti tutto ciò che ha in sé fuoco e calore si muove di un movimento suo proprio; ma tutto ciò che si nutre e cresce è caratterizzato da un movimento continuo e costante, e quanto più a lungo esso rimane in noi, tanto più a lungo rimangono in noi la sensibilità e la vita, mentre quando il calore si indebolisce e si estingue anche noi periamo e ci estinguiamo.
24. Questo prova Cleante anche dimostrando quanta energia calorifica sia contenuta in ciascun corpo. Per lui non v'è cibo tanto massiccio che non bruci in continuazione giorno e notte una volta ingerito; ed il calore che ne deriva si conserva ancora nei rifiuti di cui la natura si sbarazza. Inoltre le vene e le arterie non smettono mai di pulsare come se fosse del fuoco ad imprimere loro il movimento e spesso si è osservato che il cuore strappato ad un animale palpitava in modo tale da imitare il rapido movimento della fiamma. Tutto ciò che vive dunque, sia esso animale o vegetale, vive in forza del calore che reca chiuso in sé. Dal che si deve dedurre che la sostanza che costituisce il calore possiede una forza vitale che si estende all'intero universo.
25. E più facilmente comprenderemo questa verità se svilupperemo più dettagliatamente codesto argomento del fuoco che condiziona tutti gli altri. Tutte le parti dei mondo dunque (e mi rifarà alle più grandi) si conservano perché sostenute dal fuoco. Questo lo si può vedere osservando in primo luogo tutto ciò che risulta composto di terra. Se battiamo o trituriamo delle pietre ne vediamo scaturire del fuoco e analogamente possiamo osservare che la terra, quando sia stata scavata da poco, fuma per il calore e che dai pozzi perenni si attinge acqua calda soprattutto nel periodo invernale in quanto una grande massa di calore giace nelle cavità sotterranee e, poiché durante l'inverno la terra si fa più densa, finisce coi condensare il calore in essa contenuto.
150. Con quanta proprietà sono in grado di adempiere le loro funzioni e di quante arti sono ministre le mani che la natura ci ha dato! La contrazione e l'estensione delle dita, resa agevole dalla morbidezza dei collegamenti e delle articolazioni si esplica, comunque si muovano, senza la minima fatica. Appunto per questo la mano è adatta a dipingere, a modellare, a scolpire e a trar suoni dalle corde e dai flauti mediante l'applicazione delle dita.
Ma oltre a queste attività aventi per scopo il diletto dell'uomo ci sono anche quelle che provvedono alle sue necessità: intendo qui riferirmi alla coltivazione dei campi, alla costruzione delle case, alla fabbricazione dei vestiti, siano essi tessuti o cuciti e a tutta in genere la lavorazione del bronzo e del ferro. Orbene, è stato proprio applicando le mani dei lavoratori alle scoperte del pensiero e alle osservazioni dei sensi che siamo riusciti a raggiungere tutti i risultati che ci hanno permesso di vivere al riparo, ricoperti di vesti e al sicuro da insidie, di possedere città, muri, case, templi.
151. Inoltre l'attività dell'uomo, o meglio, delle sue mani, è in grado di fornire grande varietà ed abbondanza di cibi. Molti sono i prodotti dei campi dovuti alla mano dell'uomo che o vengono subito consumati o vengono messi ad invecchiare: ad essi si devono aggiungere gli animali terrestri, acquatici e forniti di ali di cui ci nutriamo dopo averli catturati od allevati. Sottoponendoli alla nostra volontà siamo anche riusciti ad adibire i quadrupedi al nostro trasporto e sfruttando la loro forza e velocità acquistiamo anche noi forza e velocità.
Su determinati animali carichiamo i nostri pesi ed imponiamo dei gioghi, volgiamo a nostro vantaggio gli acutissimi sensi degli elefanti e la sagacità dei cani, strappiamo alla profondità della terra il ferro, metallo indispensabile alla coltivazione dei campi, scopriamo remotissime vene di rame, d'argento e d'oro utili ad un tempo ed adatte ad ornarci, tagliamo gli alberi crescenti allo stato selvaggio o che noi stessi abbiamo coltivati e del materiale che ne ricaviamo facciamo o legna da ardere, per cuocere i cibi e per riscaldarci, o legname da costruzione per proteggerci dalle intemperie.
152. Il legname è di grande utilità anche per la costruzione delle navi che, con le loro traversate, fanno affluire da ogni parte grande abbondanza di prodotti indispensabili per la nostra esistenza. Solo noi uomini, grazie alla scienza della navigazione, siamo in grado di dominare e regolare elementi quali i mari ed ì venti, che la natura ha dotato di straripante potenza, e innumerevoli sono i prodotti marini che abbiamo saputo sfruttare e volgere a nostro vantaggio.
Parimenti di tutte le cose utili che vengono dalla terra l'uomo è signore incontrastato. E' opera nostra lo sfruttamento dei monti e delle pianure, i fiumi ed i laghi sono in nostro potere, siamo noi che seminiamo i cereali, che piantiamo gli alberi, che fecondiamo i terreni con opere di canalizzazione e di irrigazione, che arrestiamo, che incanaliamo, che deviamo il corso dei fiumi, che ci sforziamo, in ultima analisi, di costituire in seno alla natura una specie di seconda natura.
29. Esiste dunque un elemento naturale che abbraccia in sé tutto l'universo e ne preserva l'esistenza, un elemento dotato di sensibilità e di ragione. Gli è che ogni essere naturale che non si riduca ad un'unica ed indifferenziata natura, ma risulti costituito dall'unione di più elementi connessi fra loro, deve recare in sé un principio direttivo che nell'uomo è la ragione e nell'animale qualcosa che assomiglia alla ragione e da cui scaturiscono le inclinazioni naturali.
Quanto agli alberi ed agli altri esseri che sorgono dalla terra si ritiene che tale principio abbia sede nelle loro radici. Per principio direttivo intendo quello che i Greci chiamano hgemonikon, un principio di cui non vi può essere nulla di più eccellente, qualunque sia la categoria di oggetti cui ci si riferisca. Ne consegue che l'elemento in cui ha sede il principio direttivo di tutta la realtà naturale deve necessariamente eccellere su tutti gli altri ed essere il più degno di dominare e guidare la totalità degli esseri.
30. D'altra parte constatiamo che nelle varie parti dei mondo (non v'è nulla nel mondo che non sia parte dei tutto) c'è sensibilità e ragione. Orbene, tali facoltà non potranno non essere presenti, ed in grado ed intensità maggiore, laddove ha sede il principio direttivo dell'universo. Il mondo dovrà dunque essere dotato di sapienza e quell'elemento che abbraccia in sé tutti gli esseri dovrà eccellere per la perfezione della sua facoltà razionale e in conseguenza di ciò il mondo dovrà essere un dio e l'intera sua massa ed energia identificarsi con la sostanza e potenza divina.
31. Analogamente anche quell'ardore che permea l'universo dovrà essere molto più puro, molto più luminoso, molto più mobile e per ciò stesso molto più atto ad agire sui sensi di questo nostro calore in virtù del quale si conservano nel pieno della loro forza vitale gli esseri a noi noti.
Se dunque gli uomini e gli animali sono posseduti da codesto calore e da esso ricevono movimento e sensibilità, è assurdo ritenere che il mondo sia privo della facoltà dei sensi specie se si considera che quell'ardore incontaminato, libero, puro e perciò stesso estremamente penetrante e mobile di cui il mondo è permeato e cui il mondo stesso appartiene non riceve impulsi da forze estranee operanti dal di fuori ma si muove spontaneamente e per impulso suo proprio. Infatti quale forza vi può essere superiore a quella dei mondo, capace di imprimere un movimento a quel calore di cui esso è permeato?
32. Ascoltiamo quello che dice Platone che è un po' come il dio dei filosofi. Secondo lui esisterebbero due tipi di movimento, l'uno spontaneo, l'altro di origine esterna; e tutto ciò che si muove spontaneamente per impulso proprio parteciperebbe della natura divina in grado maggiore di ciò che si muove per spinta altrui. Unica sede di codesto movimento spontaneo sarebbe l'anima e dall'anima soltanto trarrebbe origine ogni movimento. In conseguenza di ciò poiché ogni movimento trae origine dal calore cosmico e questo calore non si muove per impulso estraneo ma
spontaneamente, esso si identifica necessariamente con lo stesso principio vitale: il che prova che il mondo è un essere fornito di vita.
Un'altra prova che nel mondo ha sede un principio intelligente la si potrà ricavare dal fatto che il mondo e superiore ad ogni altro essere che ne faccia parte. Come non esiste una sola parte del nostro corpo che abbia maggior peso di ciò che noi stessi siamo, così il mondo nel suo insieme deve necessariamente sopravanzare per importanza ogni sua singola parte. E se ciò è vero è giocoforza che il mondo sia anche dotato di sapienza. In caso contrario l'uomo, che è parte del mondo, in quanto partecipe della ragione, dovrebbe essere da solo superiore all'intero universo!
33. Inoltre se procediamo dagli esseri più semplici e più rudimentali esistenti in natura verso i più elevati e i più perfetti, finiremo necessariamente col giungere alla divinità. I primi esseri che vediamo mantenuti in vita dalla natura sono i vegetali ai quali essa non elargisce alcun altro beneficio se non quello di conservarli provvedendo alla loro alimentazione ed alla crescita.
34. Agli animali ha dato anche la sensibilità, il movimento e una naturale attrazione verso tutto ciò che può essere loro di vantaggio e una naturale repulsione per tutto ciò che può loro nuocere. All'uomo ha dato qualcosa di più concedendogli la ragione per il controllo degli istinti che debbono essere a seconda dei casi favoriti o repressi.
Il quarto grado, il più elevato fra tutti, è occupato da quegli esseri che nascono naturalmente buoni e sapienti e che recano in sé connaturata fino dall'inizio una ragione immune da errori e da contraddizioni; tale facoltà dobbiamo considerarla superiore all'uomo e attribuirla alla divinità, vale a dire al mondo al quale soltanto può appartenere quella perfetta ed autonoma ragione di cui io parlo.
35. Ciò non esclude, naturalmente, che qualcosa di definitivo e di perfetto possa esistere anche in altri campi della realtà naturale. Come nello sviluppo delle viti e degli armenti, se non interviene una forza ostile, la natura seguendo un suo particolare cammino riesce a giungere alla piena realizzazione del suo scopo e come la pittura, l'architettura e le altre arti posseggono un loro supremo grado di perfezione, allo stesso modo ed in grado assai maggiore la perfezione dovrà realizzarsi ed attuarsi nell'ambito della natura presa nel suo insieme. Alla piena realizzazione dei singoli esseri possono opporsi molteplici cause provenienti dall'esterno, ma nulla può essere di impedimento alla totalità della realtà naturale dal momento che essa tutto contiene e racchiude in sé. Deve quindi esistere nella scala degli esseri questo quarto grado superiore a tutti gli altri ed inaccessibile ad ogni forza contraria.
36. In esso ha sede l'intera realtà naturale e poiché da essa dipendono tutti gli esseri e nulla può esserle di ostacolo ne viene di conseguenza che il mondo debba essere dotato di intelligenza e di sapienza.
Che v'è di più sciocco che affermare che quella natura che abbraccia in sé tutti gli esseri, non eccella al massimo grado su tutti o che, pur eccellendo, non sia in primo luogo dotata di vita, in secondo luogo dotata di ragione e di giudizio e, infine, non sia sapiente? Come potrebbe altrimenti eccellere su tutti?
Se fosse simile ai vegetali o agli animali potrebbe essere indifferentemente considerata come la migliore o la Peggiore delle creature e se fosse partecipe della ragione, ma non lo fosse fin dalle origini, la condizione dell'uomo non sarebbe inferiore a quella del mondo; mentre l'uomo può divenire sapiente, il mondo, se non lo è stato per tutta l'immensa estensione del tempo passato, non è certamente destinato a raggiungere la sapienza neppure in futuro: in tal caso sarebbe addirittura inferiore all'uomo! Ma poiché ciò è assurdo dobbiamo considerare il mondo come dotato fin dai primordi di sapienza e facente tutt'uno con la divinità.
37. Noti v'è alcun essere, al di fuori del mondo, cui nulla manchi e che sia perfettamente compiuto ed idoneo alle sue funzioni in ogni minimo particolare.
Con singolare acutezza Crisippo sostiene che, come per lo scudo si escogitò una copertura e per la spada una vagina, così tutti gli esseri, fatta eccezione per il mondo nel suo insieme, furono creati a motivo di altri. Quelle messi e quei frutti che la terra produce sarebbero stati creati per servire agli animali creati a loro volta per servire all'uomo: il cavallo per trasportarlo, il bue per arare la terra, il cane per aiutarlo nella caccia e per proteggerlo. L'uomo poi, in sé imperfetto ma partecipe di ciò che è perfetto, sarebbe nato per contemplare ed imitare il mondo.
38. Ma il mondo, poiché abbraccia in sé ogni cosa e nulla esiste che non ne faccia parte, è assolutamente perfetto.
Non potrà quindi mancare dell'elemento che eccelle su tutti gli altri, e poiché tale elemento si identifica con il pensiero e con la ragione, al mondo non potrà mancare tale facoltà. Esatto è quindi quanto dice Crisippo il quale, ricorrendo a delle similitudini, afferma che ogni creatura è più apprezzabile quando ha raggiunto il suo pieno sviluppo (che cioè, tanto per fare degli esempi, un cavallo è preferibile ad un puledro, un cane ad un cucciolo, un uomo ad un bambino) e che, parimenti, poiché ciò che di buono si trova nel mondo deve consistere in qualcosa di assolutamente compiuto e realizzato;
39. e poiché, d'altra parte, nulla vi è di superiore al mondo, nulla di più apprezzabile della virtù, anche il mondo deve possedere la virtù come una caratteristica essenziale. La natura umana non è affatto perfetta, eppure si attua in essa la virtù : quanto più facilmente si attuerà allora nel mondo! e se cle virtù nel mondo, esso è sapiente e, conseguentemente, divino.
Una volta accertata la divinità del mondo, questa stessa divinità dovremo attribuirla alle stelle che traggono origine dalla parte più mobile e più pura dell'etere: esse non sono contaminate da alcun altro elemento e sono in tutto calde e trasparenti sì che molto giustamente si afferma che siano dotate di vita, di sensibilità e di ragione.
40. E che le stelle siano totalmente costituite di fuoco risulterebbe, secondo Cleante, dalla testimonianza di due organi dei senso, il tatto e la vista. Sta di fatto che il caldo splendore del sole supera quello di ogni altro fuoco come è naturale che avvenga per un corpo luminoso che diffonde per così largo spazio la sua luce nell'immensità dell'universo ed al tatto il suo calore non si limita a riscaldare ma brucia: effetti questi che non si verificherebbero se il sole non fosse composto di fuoco. "Se dunque il sole è composto di fuoco - conclude a questo punto Cleante - ed e alimentato dai vapori che esalano dall'Oceano (che nessun fuoco potrebbe conservarsi se non alimentato da qualche parte) bisogna che quel fuoco sia simile o a quello dì cui noi ci serviamo di solito per le necessità della vita o a quello contenuto negli esseri viventi.
41. Sennonché, mentre codesto nostro fuoco richiesto dalle necessità della vita distrugge e consuma ogni cosa e, dovunque si porta, tutto sconvolge e disperde, l'altro fuoco apportatore di vita e di salute che alberga nei corpi animati conserva' nutre, accresce, sostiene e rende capaci di sensazioni gli esseri tutti ". Secondo Cleante, dunque, non vi sarebbe dubbio a quale categoria di fuoco assomigli il sole dal momento che anch'esso fa fiorire e sviluppare le varie creature ciascuna nell'ambito della sua specie. In conseguenza di ciò, poiché il fuoco che costituisce il sole è simile a quello che entra nella composizione degli esseri viventi, anche il sole dovrà essere fornito di vita e, al pari del sole, tutti i rimanenti astri che nascono in quella volta infuocata che ha nome etere o cielo.
42. Aristotele poi, partendo dalla considerazione che la nascita di alcuni animali ha luogo sulla terra, di altri nell'acqua e di altri ancora nell'aria, ritiene assurdo che nessun animale nasca in quella zona che è la più adatta a generare degli esseri viventi. Ma le stelle occupano proprio la zona dell'etere e poiché quest'ultimo è di struttura tenuissima e si muove con estrema rapidità, ne consegue che un essere vivente nato in esso dovrà essere caratterizzato da un'acutissima sensibilità e da una estrema mobilità. E' quindi ovvio che gli astri, essendo nati nell'etere, posseggono sensibilità ed intelligenza e che, conseguentemente, siano da annoverare fra gli dèi.
Inoltre possiamo constatare che in quelle zone in cui l'atmosfera è pura e rarefatta abitano uomini di ingegno più perspicace e di intuizione più pronta di coloro che respirano un'aria densa e pesante:
43. E' anzi opinione che persino il cibo di cui ci si nutre abbia qualche influsso sul grado di intelligenza. E' quindi naturale che negli astri vi sia una intelligenza superiore visto che essi risiedono nella zona eterea del mondo e le esalazioni marine e terrestri che li nutrono giungono loro assottigliate dalla lunga distanza.
E che vi sia sensibilità ed intelligenza negli astri lo prova soprattutto l'ordine e la regolarità dei loro movimenti in cui nulla vi è di casuale, nulla di mutevole, nulla di fortuito (senza un dis egno prestabilito, infatti, nulla può muoversi secondo una legge ed un ritmo determinati). Inoltre il persistere attraverso un tempo illimitato di un rigoroso ordine nel movimento degli astri non è indice né di un processo naturale (data la sua rigida razionalità) né di un effetto dei caso, ché quest'ultimo ama la varietà e respinge la regola. Ne consegue che gli astri si muovono di moto proprio e in virtù della loro sensibilità e della loro natura divina.
44. Non si può fare a meno di apprezzare quanto ci dice al proposito Aristotele secondo il quale ogni corpo in movimento si muove o per impulso naturale o per forza esterna o per propria volontà. Ora il sole, la luna e gli astri tutti sono corpi in movimento; sennonché, mentre tutto ciò che si muove per impulso naturale è trascinato in basso dal suo peso o verso l'alto dalla sua levità, nulla di simile si verifica per il movimento degli astri che percorrono invece orbite circolari. Né si può dire che ciò avvenga per intervento di una forza più potente che costringa gli astri a muoversi in contrasto con le leggi naturali (come infatti concepire una forza siffatta?); non resta altro che concludere che il movimento degli astri dipende dalla loro volontà.
Chi si rendesse conto di questo non solo darebbe prova di ignoranza a negare gli dèi, ma si macchierebbe anche di empietà. Né v'è gran differenza fra la negazione assoluta e il privare gli dèi di ogni cura e di ogni attività: per me chi non compie alcuna azione neppure esiste. L'esistenza degli dèi è dunque una realtà così evidente che il negarla lo ritengo poco meno che segno di demenza.
45. Resta da esaminare quale sia la natura degli dèi, un argomento a proposito del quale nulla è più difficile che astrarre gli occhi della mente dalla realtà visibile. Tale difficoltà ha fatto sì che le masse ignoranti e, filosofi della loro stessa levatura non siano riusciti a pensare agli dèi se non rappresentandoli sotto sembianze umane. L'inconsistenza di tale opinione è già stata dimostrata da Cotta e non occorre che io aggiunga altro.
Tuttavia poiché noi sulla base di un preciso concetto possediamo una anticipata cognizione della divinità come essere vivente e come essere cui nessun altro può essere superiore in natura, mi sembra che nulla si adatti meglio a codesto anticipato concetto dell'affermazione che questo stesso mondo di cui non vi può essere un altro più apprezzabile sia ad un tempo vivente e divino.
46. Scherzi pure quanto vuole Epicuro, un uomo tutt'altro che spiritoso e che ben poco sembra aver conservato dell'arguzia caratteristica della sua terra d'origine; dica pure di non riuscire a concepire una divinità circolare fornita di moto rotatorio: non riuscirà ugualmente a farmi recedere da una convinzione che è anche la sua. E' infatti sua opinione che gli dèi esistono in quanto deve necessariamente esistere un essere che sopravanzi tutti gli altri e al quale nessun altro sia superiore. D'altra parte nulla è superiore al mondo e non c'è dubbio che un essere vivente fornito di vita, di sensibilità, di ragione e di intelligenza superi chi di tali beni è privo.
47. Ne consegue che il mondo debba essere un'entità vivente dotata di sensibilità, di intelligenza e di ragione, donde la conclusione che il mondo fa tutt'uno con la divinità. Ma tutto ciò lo ricaveremo più facilmente fra non molto da quelle che sono le creazioni del mondo.
Frattanto tu, Velleio, dovresti farmi il favore di non addurre la solita scusa della vostra ignoranza in campo scientifico. Tu dici che il cono, il cilindro e la piramide ti appaiono più belli della sfera. Davvero originale è il vostro modo di giudicare le sensazioni visive! Ma ammettiamo pure che quelle figure diano, almeno apparentemente, la sensazione di una maggiore bellezza; la sostanza però, a mio avviso, è ben diversa. Che vi può essere di più bello di quella figura che sola abbraccia e contiene tutte le altre, che non può presentare sulla sua superficie né rugosità, né gibbosità, né angolosità, né avvallamenti, né protuberanze, né rientranze?
Due sono le figure geometriche che si impongono su tutte le altre: il globo fra i solidi (cosí ci piace tradurre il termine sfairan) e il circolo o cerchio (il kukloV dei Greci) fra le figure piane. Solo ad esse appartiene la proprietà di essere in tutto uniformi sì che ogni parte risulti equidistante dal centro e nulla vi può essere di più unitario di tale configurazione.
48. E anche se non riuscite ad intendere queste verità non avendo mai sfiorato la polvere della sapienza, dovreste almeno comprendere, da studiosi della natura quali siete, che codesta costante uniformità di ordinati movimenti non avrebbe potuto conservarsi in una figura diversa dalla sfera. Nulla vi può essere pertanto di più sciocco di quanto voi andate affermando: che, cioè, non è accertato che codesto nostro mondo abbia forma sferica, ma potrebbe anche averne una diversa e che vi sono innumerevoli mondi dalle forme più svariate.
49. Se Epicuro avesse saputo quanto fa due per due non direbbe simili sciocchezze; gli è che mentre andava assaporando coi palato i cibi per stabilire quale fosse il migliore, non si prese cura di figgere gli occhi in quello che Ennio chiama " il palato del cielo ".
Gli astri possono essere di due specie: i primi percorrono sempre la stessa orbita dal loro sorgere al loro tramonto e non subiscono deviazioni di sorta; gli altri compiono due ininterrotte rivoluzioni sempre seguendo l'identico percorso.
Da ambedue queste constatazioni si ricava sia il moto rotatorio del cielo, che non può attuarsi se non nell'ambito di una figura sferica, sia le orbite circolari dei corpi celesti.
Primo fra tutti il sole che esercita il suo dominio su tutti gli altri astri. il suo movimento è tale che, dopo aver invaso le terre con un largo fiotto di luce, le avvolge nell'ombra or qua or là in quanto è la stessa terra che, opponendosi al sole, produce la notte. Perfettamente equilibrata è la distribuzione delle ore diurne e di quelle notturne. I periodici avvicinamenti ed allontanamenti dei sole regolano la distribuzione del caldo e dei freddo.
Il ciclo è compiuto da 365 rivoluzioni più la quarta parte di un giorno; volgendo il suo corso ora a settentrione, ora a mezzogiorno, il sole determina le estati e gli inverni nonché le due stagioni delle quali l'una fa seguito al senescente inverno, l'altra all'estate. Da tale alternanza traggono origine e ragion d'essere le creature generate per terra e per mare.
50. Ad intervalli mensili la luna compie lo stesso corso annuale del sole: la sua vicinanza al sole ne attenua al massimo la luminosità mentre, quanto più se ne allontana, tanto più accresce il proprio splendore. E non sono solo l'aspetto e la forma della luna a mutare attraverso il suo alterno crescere e decrescere e ritornare all'aspetto iniziale, ma muta anche la sua posizione nel cielo che ora è a nord ora a sud. Anche nel corso della luna v'è qualcosa di simile al solstizio d'inverno ed a quello d'estate e da essa promanano e fluiscono molti alimenti di cui si nutrono gli animali ed in grazia dei quali le creature che sorgono dalla terra si accrescono, fioriscono e giungono a maturazione.
51. Oggetto di grandissima ammirazione sono i movimenti di quei cinque astri che a torto vengono chiamati erranti: a torto, ché non può parlarsi di errore quando gli avanzamenti, gli arretramenti e gli altri movimenti si conservano fissi e immutati per tutta l'eternità. E tale regolarità è tanto più meravigliosa nel corso di codeste stelle in quanto ora scompaiono dalla vista ed ora ricompaiono di nuovo, ora avanzano ed ora retrocedono, ora precedono le altre ed ora le seguono, ora si muovono più lentamente ed ora più velocemente, o non si muovono affatto ma rimangono immobili per un tempo determinato. Da tale disparità di movimenti gli scienziati hanno tratto la denominazione e il concetto del " grande anno " che allora può dirsi compiuto quando il sole, la luna e i cinque pianeti tornano ad assumere l'identica posizione relativa degli uni rispetto agli altri;
52. molto si discute sulla durata di tale periodo, ma è certo che essa deve essere fissa e determinata. Quella che chiamano stella di Saturno (Fainwnque per i Greci), la più distante di tutte dalla terra, compie il suo corso in circa trent'anni. Straordinaria è la varietà delle sue fasi : ora è in anticipo sul moto degli altri corpi celesti, ora è in ritardo, ora si nasconde sul far della sera, ora ricompare di nuovo sul far del mattino. Ciò non toglie però che essa nell'infinita estensione del tempo attraversi sempre con puntuale regolarità le medesime fasi. Al di sotto di essa e più vicino alla terra si muove la stella di Giove che i Greci chiamano Faeqwn. In dodici anni essa compie l'identico percorso attraverso le dodici costellazioni e presenta le stesse fasi della stella di Saturno.
53. L'orbita immediatamente inferiore è occupata da PuroeiV che chiamano stella di Marte e che, a mio parere, compie la stessa rivoluzione delle precedenti in ventiquattro mesi meno sei giorni. Al di sotto dì questa c'è la stella di Mercurio che i Greci chiamano Stibwn, nel giro di un anno all'incirca percorre l'intero zodiaco e non dista mai dal sole (che ora precede ed ora segue) di un intervallo maggiore di quello di una costellazione. La più bassa fra tutte e la più vicina alla terra è la stella di Venere. Quando precede il sole ottiene la denominazione greca di FwsforoV e quella latina di Lucifero, quando lo segue quella di EsperoV; nel giro di un anno compie l'intero percorso sia nel senso della latitudine sia in quello della longitudine, esattamente come le stelle che si trovano al di sopra di lei, e non si allontana mai dal sole di un intervallo superiore a quello di due costellazioni pur alternando fasi in cui precede il sole con fasi in cui lo segue.
54. Questa regolarità dei moti stellari, questa così puntuale ed armonica corrispondenza delle. varie orbite percorse risultano per me incomprensibili se non si riconosce l'intervento di un'intelligenza che le predisponga secondo princìpi razionali. E poiché risulta che tale intelligenza risiede proprio nelle stelle, non possiamo fare a meno di annoverare anch'esse fra gli dèi.
All'ammissione di un identico principio intelligente e saggio ci conduce la considerazione di quelle stelle che chiamano fisse. Ogni giorno percorrono con perfetta regolarità l'identica orbita, ma i loro movimenti non sono legati a quelli dell'etere e i loro percorsi non risultano fissati alla volta del cielo, come ritiene la maggior parte degli indotti. La consistenza dell'etere non è tale da permettergli di ravvolgere e trascinare con sé le stelle: la scarsa densità, la sua trasparenza, la sua uniformità di colore lo rendono inadatto a contenere le stelle fisse.
55. Le stelle fisse hanno dunque una loro orbita distinta ed indipendente dall'unione con l'etere. I loro movimenti perennemente e perfettamente ispirati ad una mirabile ed eccezionale regolarità provano la presenza in esse di un potere divino ed intelligente e chi non è disposto a riconoscere la divinità di questi corpi celesti dimostra di non essere in grado di comprendere alcunché.
56. Nel cielo non v'è posto per il caso, per l'imprevisto, per l'eccezione, per l'incertezza, ma tutto è ordine, precisione, calcolo e regolarità. E tutto ciò che manca di tali requisiti, in quanto falso e permeato di disordine, lo si ritrova nello spazio che circonda la terra al di sotto dell'orbita della luna, il più basso dei corpi celesti, e sulla nostra terra. Chi ritenesse che l'ordine mirabile e l'eccezionale regolarità dei fenomeni celesti, da cui dipende totalmente il sostentamento e la sopravvivenza delle creature tutte, non sia soggetto ad un principio intelligente dovrebbe ritenersi egli stesso privo d'intelligenza.
57. Penso dunque di non sbagliare traendo spunto per la mia trattazione da colui che per primo si dedicò alla ricerca della verità.
Zenone definisce la natura come fuoco artificiere che procede alla generazione degli esseri secondo un metodo preciso. Compito proprio e peculiare dell'attività artistica è infatti, secondo il nostro filosofo, quello dì provvedere alla generazione e creazione delle cose e ciò che nelle nostre creazioni artistiche è opera della mano dell'uomo, con arte assai più raffinata lo compie la natura, cioè, come s'è detto, quel fuoco artificiere, maestro di tutte le altre arti. E la ragione per la quale la natura tutta è dotata di facoltà artistiche è che segue le direttive metodiche di una ben definita scuola.
58. In realtà la natura del mondo che avvolge e stringe nel suo abbraccio gli esseri tutti non solo procede con arte ma è essa stessa, come dice Zenone, un vero artista: suo compito è quello di provvedere e predisporre tutto ciò che può essere di utilità e di vantaggio, E come le altre creature naturali sono procreate ciascuna dal proprio seme e si sviluppano contenendosi entro i limiti della propria specie, così quell'entità che costituisce il mondo compie tutti i suoi movimenti in seguito ad un atto di volontà ed è soggetta a tendenze ed a istinti (le ormaV dei Greci) ai quali ispira le proprie azioni così come facciamo noi che ci lasciamo guidare dalla sensibilità e dall'intelletto.
Poiché tale è la natura del mondo, e in conseguenza di ciò, le competono a buon diritto gli appellativi di "saggezza" e "provvidenza (i Greci dicono pronoia)", ciò cui essa soprattutto tende e per cui si impegna a fondo è che nel mondo vi siano i migliori presupposti per la sua conservazione, che nulla gli venga a mancare e che, soprattutto, in esso risplenda una suprema bellezza e siano presenti tutti gli elementi atti ad aumentarne il fascino.
59. Si è parlato del mondo nel suo insieme e si è anche parlato degli astri, sì che dovrebbe ormai risultare oltremodo chiaro che esiste un numero considerevole di dèi che, se non se ne stanno del tutto inattivi, neppure, però, svolgono la loro attività gravati da un lavoro debilitante e penoso. Gli è che non sono composti di vene, di muscoli e di ossa e non si nutrono dei nostri cibi e delle nostre bevande che rendono troppo agri o troppo densi gli umori. Per effetto della loro consistenza corporea non hanno ragione di temere cadute, colpi o malattie dovute ad affaticamento fisico, sono esenti cioè proprio da quei timori per ovviare ai quali Epicuro immaginò degli dèi offrenti solo una parvenza di figura e del tutto inattivi.
Il loro aspetto risplende di una suprema bellezza e la loro dimora è collocata nella zona più pura del cielo: dal modo in cui compiono i loro movimenti e percorrono le loro orbite risulta evidente che tutto concorre in essi alla conservazione ed alla tutela dell'universo.
60. Molte altre categorie di divinità in grazia delle loro benemerenze furono riconosciute ed espressamente menzionate dagli uomini più sapienti di Grecia e dai nostri antenati. Essi partivano dalla considerazione che tutto quanto risulta di grande utilità per il genere umano sia senz'altro dovuto alla bontà divina. Di qui l'uso di denominare le opere compiute dagli dèi coi loro stesso nome, così come oggi noi chiamiamo Cerere le messi e Libero il vino. A tale consuetudine si ispira anche il noto verso di Terenzio: "Venere ha freddo senza Cerere e Libero".
61. Analogamente attribuiamo titoli divini a particolari facoltà dotate di poteri superiori come la Fede e la Mente che di recente abbiamo visto elevate a dignità divina sul Campidoglio ad opera di Marco Emilìo Scauro, benché alla Fede tale dignità fosse già stato conferita molti anni prima da Appio Atilio Calatino. Esiste, e puoi vederlo, un tempio dedicato alla Virtú ed uno all'Onore; quest'ultimo restaurato di recente da Marco Marcello, ma già consacrato, non molti anni prima, da Quinto Massimo, al tempo della guerra Ligustica. E che dire dei templi della Prosperità, della Salute, della Concordia, della Libertà, della Vittoria? E' evidente che, trattandosi di situazioni e di modi di essere assumenti una tale portata da non potersi immaginare se non regolati da una potestà divina, finirono con l'essere identificati essi stessi con altrettante divinità. Si giunge così al punto di divinizzare i nomi del Desiderio, del Piacere e di Venere Lubentina, di entità, cioè, legate al vizio e non naturali, benché (con buona pace dì Velleio che sostiene il contrario) siano proprio questi viziosi istinti a forzare con maggiore energia la natura.
62. In conclusione furono riconosciuti, in considerazione delle loro benemerenze, tutti gli dèi che si erano resi autori di particolari benefici e i nomi di cui si è appena detto stanno appunto ad indicare il potere da ciascuno di essi esercitato.
Inoltre la comunità umana adottò l'uso di elevare al cielo tutti coloro che si fossero distinti nel beneficare i loro simili, sia a ciò indotti dalla fama da quelli raggiunta sia di propria spontanea iniziativa. Di qui l'introduzione di divinità quali Ercole, Castore, Polluce, Esculapio e lo stesso Libero (mi riferisco qui al dio omonimo figlio di Semele, non a quel " Libero " che i nostri antenati venerarono con solennità e devozione accanto a Cetere e a Libera) la cui importanza cultuale è ravvisabile nelle pratiche misteriche. In base alla considerazione che è nostra consuetudine chiamare " liberi " i figli nati da noi, Libero e Libera furono considerati figli di Cerere; il che vale per Líbera ma non certo per Libero! Identica è l'origine del dio Romolo, che alcuni ritengono sia da identificarsi con Quirino. In ogni caso fu la sopravvivenza degli spiriti di codesti uomini ed il loro destino immortale che ne fece, nella comune opinione, altrettante divinità assommando essi in sé le prerogative dell'eternità e della perfezione.
63. Un'altro processo razionale, poggiato per giunta su di un substrato fisico, fece sorgere tutta una serie di dèì che, rivestiti di sembianze umane, fornirono ai poeti spunto per i loro racconti fantastici e riempirono la vita umana di ogni sorta di superstizioni. E' questo un argomento già trattato da Zenong e più ampiamente sviluppato da Cleante e Crisippo. Per giustificare l'antica tradizione, nota a tutta la Grecia, secondo la quale Cielo sarebbe stato evirato dal figlio Saturno e Saturno, a sua volta, messo in ceppi dal figlio Giove, 64. si applicò a questi irrispettosi racconti un'interpretazione di tipo naturalistico non priva di acutezza: si ritenne cioè che quel mito stesse a significare che la sublime ed eterea sostanza, cioè il fuoco, di cui risultano costituiti gli dèi dei cielo e che tutto genera dal suo seno, manchi di quegli organi che, per procreare, abbisognano dell'unione con un altro essere.
Saturno fu identificato col dio che regola i movimenti nello spazio e lo scorrere del tempo; il suo nome greco sta ad indicare proprio questo: Crono altro non è se non una leggera variante di cronoV, il tempo. Quanto poi al nome Saturno deriva dal fatto che questo dio è saturo di anni. La finzione che egli divorasse i propri figli sta a simboleggiare
che il tempo distrugge i giorni che passano e fa degli anni trascorsi il suo nutrimento senza riuscire mai a saziarsi.
Analogamente si immaginò che il figlio Giove lo mettesse in ceppi per evitare che si abbandonasse a movimenti disordinati e per conservarlo avvinto al moto degli astri. Il nostro Iuppiter al contrario, cioè il pater iuvans (che nei casi obliqui denominiamo semplicemente Iovem dal verbo iuvare) è celebrato dai poeti come "padre degli dèi e degli uomini "e fu denominato dai nostri antenati" ottimo massimo ", anzi "ottimo" (cioè sommamente benevolo) prima ancora che "massimo", essendo cosa assai più meritoria e gradita fare del bene a tutti che possedere molta potenza.
65. Ennio, come abbiamo avuto già occasione di ricordare, lo apostrofa con queste parole: "contempla quest'astro che in alto rifulge e che tutti chiamano Giove", e in un altro passo, benché meno espressamente, scrive: "per quanto mi concerne maledirò quest'astro splendente, quale esso sia". A lui è pure rivolta la formula sacrale dei nostri auguri: "fulgendo e tonando Giove"; con essa vogliono intendere: "fulgendo e tonando il cielo". Euripide, infine, a parte gli altri numerosi squarci di altissima poesia, dedica a Giove anche questo breve passo: "tu vedi l'etere che si estende su in alto per uno spazio incommensurabile / e che cinge del suo tenero abbraccio la terra: / lui devi considerare come dio supremo, lui invocare col nome di Giove".
66. Il fluido che, secondo le elucubrazioni degli stoici, occupa una posizione intermedia fra il mare ed il cielo, ottiene anch'esso dignità divina sotto il nome di Giunone, e poiché l'etere e questo fluido sono due elementi molto simili e strettamente collegati l'uno all'altro, Giunone è detta sorella e sposa di Giove. E' stata l'estrema cedevolezza del nuovo elemento quella che ha fatto si che gli sia stato attribuito un nome femminile e lo si sia identificato con Giunone (ma, a mio parere, Iuno deriva dal verbo iuvare). A questo punto restavano da divinizzare soltanto l'acqua e la terra per realizzare la divisione in tre regni voluta dai racconti mitici.
Il primo regno, cioè il dominio su tutto il mare, fu affidato a Nettuno che la tradizione vuole fratello di Giove ed il cui nome e un ampliamento dei verbo nare, cosi come Portuno è un ampliamento di porta, con la sola differenza che a nare sono state leggermente mutate le lettere iniziali. La totalità della sostanza terrestre considerata nella pienezza delle sue funzioni fu invece affidata al padre Dite che è lo stesso che dire Dives (il ricco), il Ploutwn dei Greci; denominazione giustificata dal fatto che ogni cosa ritorna alla terra e da essa trae origine. A Dite si ricollega Proserpina (il nome è di origine greca, trattandosi di quella dea che i Greci chiamano Persefonh) che simboleggerebbe il seme del frumento e che la madre avrebbe cercata dopo la sua scomparsa.
67. Il nome della madre, Cerere, deriva da "gerere fruges" quasi che il vero nome fosse Geres e che si fosse poi casualmente trasformata la lettera iniziale: lo stesso, d'altronde, accadde per il corrispondente nome greco che è Dhmhthr in luogo di gh mhthr. Si dette infine il nome di Mavors ad un dio che magna verteret (provocasse grandi sconvolgimenti) e quello di Minerva alla dea che minueret (riducesse) e minaretur (minaccíasse) Poiché in ogni circostanza ciò che più conta è Fìnizio e la fine, si stabili che nei sacrifici si invocasse per primo Giano. ll nome di questo dio deriva dal verbo ire al quale si ricollegano pure i termini iani, designanti le vie di passaggio e ianuae designanti le porte sulle soglie degli edifici profani. Quanto a Vesta, è un nome di derivazione greca
(trattasi della stessa dea che i Greci chiamano Estia ). La sua influenza è rivolta alle are ed ai focolari e poiché a lei spetta la tutela dell'intimità è sempre l'ultima ad essere invocata ed a ricevere sacrifici.
68. Non molto diversa è la funzione degli dèi Penati il cui nome deriva da penus (penus è tutto ciò di cui gli uomini si nutrono) o dal fatto che essi risiedono penitus (nella parte piú interna della casa), donde anche la denominazione poetica di penetrales. Quanto ad Apollo è un nome greco ed è sinonimo di sole, cosí come Diana viene identificata con la luna. Si dice "sole" vuoi perché "Solo" fra tutti gli astri raggiunge una considerevole grandezza, vuoi perché, una volta spuritato, oscura tutti gli altri corpi celesti e si scorge esso "solo". Luna deriva dal verbo lucere, come dimostra anche l'attributo Lucina; e come presso i Greci durante i parti si invoca Diana aggiungendo l'epiteto di "portatrice di luce", così fra noi si invoca Giunone Lucina. Diana è detta anche Omnivaga non per la sua attività "venatoria", ma perché la si annovera fra le sette stelle cosiddette "vaganti";
69. è chiamata Diana perché durante la notte sembra riportare la luce "diurna". Inoltre si ricorre a lei nei parti in quanto essi giungono a maturazione nel giro talora di sette o, per lo più, di nove cicli lunari che si chiamano "mesi" appunto perché percorsi "misurati". Lo storico Timeo, venendo a parlare dell'incendio del tempio di Diana Efesia scoppiato proprio nella notte in cui vide la luce Alessandro, aggiunge, col suo consueto spirito, che la cosa non deve stupire poiché in quel momento Diana si era assentata da casa per assistere il parto di Olimpiade. Infine i nostri chiamarono Venere la dea che "viene" ad ogni essere ed è preferibile far derivare dal suo nome il termine "venustà" piuttosto che attenersi alla derivazione opposta.
70. Potete ora constatare come partendo da eccellenti ed utili scoperte relative al mondo della natura si sia giunti ad ammettere, come ovvia conclusione, dèi falsi ed immaginari: di qui false opinioni, errori conturbanti e superstizioni poco meno che senili. Abbiamo così imparato a conoscere l'aspetto degli dèi, la loro età, i loro abiti e ì loro ornamenti nonché il loro sesso, i loro matrimoni e i loro rapporti di parentela e il tutto abbassato al livello delle umane debolezze.
Basti dire che vengono rappresentati in preda alle passioni e la tradizione ci informa dei loro desideri, delle loro amarezze, dei loro sfoghi d'ira. Non furono neppure indenni da guerre e battaglie, come riferiscono le leggende, e non si limitarono, secondo quanto narra Omero, a parteggiare per l'uno o per l'altro di due eserciti in lotta, ma combatterono proprie battaglie, come quelle contro i Titani e contro i Giganti. Trattasi di credenze più che sciocche che rivelano solo un'estrema superficialità e leggerezza.
71. Ad ogni modo però, pur disprezzando e respingendo codesti racconti favolosi, potremo ugualmente riconoscere l'esistenza e la natura della divinità Presente in ciascun elemento - Cerere sulla terra, Nettuno nel mare, altri altrove - ed apprenderne il nome consacrato dall'uso: e questi dèi è nostro dovere rispettare e venerare. Non v'è nulla di
più elevato, dì più puro, di più venerando e di più sacro del culto degli dèi purché li si venerino con purezza, rettitudine ed integrità di mente e di parola. Del resto non furono solo i filosofi ma anche i nostri antenati a distinguere la superstizione dalla religione.
72. Coloro che trascorrevano le intere giornate a pregare e a far sacrifici perché i loro figli sopravvivessero, perché fossero cioè dei "superstiti", furono detti "superstiziosi", un termine che assumerà in seguito un valore più ampio. Coloro invece che riconsideravano e, per così dire, " rieleggevano " tutte le pratiche del culto furono detti religiosi dal verbo relegere così come elegantes deriva da eligere, diligentes da diligere e intellegentes da intellegere. In tutte queste parole è implicito lo stesso significato dí legere che troviamo in "religioso". Accadde così che il termine "superstizioso" esprimesse un difetto, "religioso", invece, un pregio. Con ciò mi sembra di aver esaurito quanto avevo da dire sull'esistenza e sull'essenza degli dèi.
73. Mi resta ora da dimostrare che il mondo è retto dalla provvidenza divina. Trattasi di un argomento importante e oggetto di viva discussione da parte di quelli della scuola del nostro Cotta, ed è proprio con loro che bisogna discuterne. Quanto a voi - e mi rivolgo a Velleio - siete poco informati sul modo in cui vanno dibattuti i vari problemi.
Leggete solo le opere ispirate ai vostri principi e solo quelle apprezzate: tutti gli altri li condannate senza minimamente preoccuparvi di sentire le loro ragioni. Sei stato proprio tu, ieri, ad affermare che è opera degli stoici la rappresentazione di una vecchia profetessa, della Pronoia o provvidenza che dir si voglia. Il tuo errore sta nel pensare che essi abbiano concepito la provvidenza come una dea personale cui spetti di reggere e governare il mondo. In realtà si tratta solo di un modo abbreviato di parlare.
74. Come quando si dice che lo stato ateniese è retto dal consiglio manca la determinazione "dell'Areopago", analogamente quando affermiamo che il mondo è retto dalla provvidenza devi ritenere che manchi la determinazione "degli dèi" e pensare che l'espressione piena e compiuta sia: "il mondo è amministrato dalla provvidenza degli dèi".
Non state dunque a sprecare, nello sforzo di deriderci, questo spirito che, tra l'altro, manca alla vostra scuola; se mi deste ascolto non lo tentereste nemmeno: non vi si addice, non ne avete il diritto, non lo potete fare, e nel dir questo non mi riferisco soltanto a te che le consuetudini di casa nostra ed il garbo del nostro popolo hanno ingentilito, ma a tutti i seguaci della vostra scuola e soprattutto al suo iniziatore, un uomo privo di tecnica e di cultura, in lotta con tutti e sfornito di ogni acume, di ogni autorità, di ogni garbo.
75. Affermo dunque che il mondo nel suo insieme ed in tutte le sue parti fu inizialmente organizzato e continua ad essere guidato dall'azione provvidenziale degli dèi. Nella trattazione della problematica relativa a questo argomento i seguaci della nostra scuola distinguono tre momenti : il primo consiste nella dimostrazione che gli dèi esistono, una
verità che, una volta provata, ci costringe ad ammettere che è la volontà divina a governare il mondo; nel secondo si passa a dimostrare che ogni fenomeno è sottoposto ad un essere sensibile da cui dipende ogni perfezione, donde la conseguenza che esso sia determinato da principi viventi; il terzo momento è fondato sul senso di stupore con cui contempliamo i fenomeni celesti e terrestri.
76. Circa il primo punto gli atteggiamenti possibili sono due: o si nega l'esistenza degli dèi come, sotto un certo aspetto, fa Democrito parlandoci di simulacri ed Epicuro di immagini, oppure si riconosce, con coloro che ne ammettono l'esistenza, che gli dèi esercitano una loro azione e lo fanno nel modo migliore; e poiché non è possibile
un'attività più elevata del governo del mondo, se ne deduce che esso è guidato dalla volontà divina. Se fosse altrimenti, dovrebbe essere un'altra entità, non importa quale, superiore e dotata di una potenzialità maggiore della divinità (sia essa una creatura inanimata, o una cieca necessità spinta da una forza possente) a compiere le meravigliose opere che vediamo;
77. in tal caso la divinità, sottoposta alle inesorabili leggi naturali che dominano il cielo, le terre e i mari, non eccellerebbe né in potenza né in perfezione; ma poiché nulla è superiore alla divinità è giocoforza che sia essa a governare il mondo: non essendo sottoposta o soggetta ad alcun'altra creatura naturale, non potrà che essere la divinità
stessa a reggere la natura. Inoltre se ammettiamo che gli dei siano dotati di intelligenza, riconosciamo implicitamente che sono anche previdenti dispensatori di beni, e dei più importanti, per giunta.
E' assurdo pensare che gli dèi o non sappiano quali siano le cose veramente importanti e come vadano trattate e tutelate o non abbiano la capacità materiale di sopportare e sostenere un carico cosi gravoso: l'ignoranza è un difetto estraneo alla natura divina e la difficoltà di adempiere al proprio ufficio per congenita incapacità non si addice certo alla maestà degli dèi. Di qui la conseguenza cui noi volevamo arrivare che, cioè, il mondo è governato dalla provvidenza divina.
78. Dall'esistenza degli dèi (posto che esistano, come e certo che esistono) deriva che essi sono dotati di vita e non solo di vita ma anche di ragione e che sono uniti in una sorta di comunità sociale e che governano il mondo a guisa di uno stato unitario.
79. Ne consegue che la loro facoltà razionale è la stessa dell'uomo, identico è, per gli dèi e per l'uomo, il criterio di verità, identica la legge morale che prescrive il bene e condanna il male. Se ne deduce che la prudenza e l'intelligenza derivano all'uomo dagli dèi e che appunto per questo nelle istituzioni dei nostri maggiori, la mente, la fede, la virtù, la concordia furono divinizzate e pubblicamente consacrate come divinità.
Come negare, d'altronde, che gli dèi posseggono tali facoltà dal momento che ne veneriamo persino le maestose e sacre immagini? E se è vero che l'intelligenza, la fede, la virtù e la concordia albergano fra gli uomini, donde potranno essere discese sulla terra se non dalle divine regioni del cielo? Certo si è che la saggezza, la ragione, la prudenza che sono in noi, gli dèi la posseggono in misura maggiore, e non si limitano a possederla ma ne fanno un uso assai più esteso e proficuo;
80. ma poiché non v'è nulla di più esteso e di più prezioso del mondo, esso non potrà non essere governato dalla volontà e dalla provvidenza divina. Infine, una volta dimostrata la divinità di quegli esseri la cui straordinaria potenza e il cui luminoso aspetto noi ammiriamo - intendo qui riferirmi al sole, alla luna, alle stelle fisse ed erranti, al cielo, allo stesso mondo preso nel suo insieme nonché a tutte quelle altre entità presenti nel mondo che risultano di grande vantaggio ed utilità per l'uomo - non resta che concludere che tutti gli esseri sono governati dalla mente e dalla saggezza
divina. Ma del primo punto si è ormai detto a sufficienza.
81. Mi incombe ora il compito di dimostrare che tutte le cose sono sottoposte alla natura e sono da lei guidate nel migliore dei modi. Prima di tutto occorre però brevemente chiarire cosa propriamente si deve intendere per natura acciocché si comprenda meglio ciò che intendiamo dimostrate. Alcuni intendono per natura una forza irrazionale determinante nei corpi materiali dei movimenti dominati dalla legge della necessità, altri invece identificano la natura con una forza razionale e ordinata ispirata nella sua azione ad un metodo ben preciso e non restia a svelare ogni suo singolo fine ed intendimento, una forza così dinamicamente attiva che la mano di nessun artista riuscirebbe a raggiungere ed eguagliare.
Basterebbe a provarlo la straordinaria carica di energia contenuta in un seme. Per quanto piccolo esso sia è sufficiente che vi sia un terreno adatto ad accoglierlo e a farlo germinare e della sostanza che possa nutrirlo e farlo crescere perché esso provveda a creare ed a plasmare creature della sua stessa stirpe sia che si tratti di esseri destinati ad assorbire il nutrimento tramite le proprie radici, sia che si tratti di creature capaci di muoversi, di avere delle sensazioni, di provare dei desideri e di generare dei propri simili.
82. C'è chi applica il nome di natura all'intera realtà. Tale è, per esempio, la posizione di Epicuro che distingue nella natura i corpi materiali ed il vuoto nonché tutti i fenomeni ad essi collegati. Noi invece quando affermiamo che la natura è il fondamento ed il principio organizzatore del mondo non intendiamo riferirci solo ad una zolla di terra o ad un
frammento di pietra o a qualche altro consimile oggetto unificato dal solo principio di coesione, bensì anche alle piante e agli animali in cui nulla è casuale ma vi traspare un ordine ed una organizzazione che richiama l'idea di una creazione artistica.
83. Orbene, se è vero che le piante, che le radici tengono abbarbicate al terreno, debbono la loro vita ed il loro
vigore all'arte della natura, bisogna riconoscere che anche la terra sia in possesso della stessa energia: fecondata dai vari semi procrea e genera dal suo seno gli esseri tutti, nutre ed incrementa le radici profondate nel suo grembo e riceve a sua volta nutrimento dagli elementi esterni e posti al di sopra della sua superficie; inoltre dalle sue esalazioni traggono alimento l'aria, l'etere ed i corpi celesti.
La terra dunque riceve dalla natura vita e vigore. Ma se ciò è vero lo stesso dovrà dirsi anche del resto del mondo. Così le radici aderiscono al terreno, gli animali si sostengono in vita aspirando l'aria; e l'aria, a sua volta, ci è indispensabile per vedere, per udire, per parlate, per compiere cioè tutta una serie di funzioni impossibili senza l'ausilio dell'aria. E c'è di più: l'aria segue anche i nostri movimenti. Dovunque ci rechiamo, qualunque itinerario seguiamo essa sembra quasi farsi da parte e cederci il passo.
84. Inoltre tutti i corpi che cadono verso la parte centrale del mondo, che è anche la più bassa, quelli che da essa si sollevano verso l'alto e quelli che si muovono con moto circolare attorno ad essa costituiscono un'unica natura abbracciante l'intero universo. E poiché quattro sono gli elementi, sulle foro vicendevoli trasformazioni si fonda la
struttura unitaria dell'universo articolantesi in un tutto continuo senza la benché minima soluzione di continuità. Dalla terra infatti deriva l'acqua, dall'acqua l'aria e dall'aria l'etere; invertendo il processo dall'etere avremo l'aria, dall'aria l'acqua e dall'acqua la terra che occupa l'ultimo posto. Proprio da questo trapassare dagli elementi costitutivi
dell'universo dagli uni negli altri con fasi alterne il mondo trae l'elemento unificatore di tutte le sue parti.
85. Che tale struttura unitaria del mondo sia destinata a conservarsi in eterno nel suo attuale splendore o almeno per un tempo molto esteso e quasi immenso è un fatto indubitabile né potrebbe essere altrimenti. Ad ogni modo, qualunque delle due tesi si voglia accettare, la conseguenza resta una sola, che cioè il mondo è governato dalla natura.
Consideriamo per un momento la navigazione di una flotta o l'allestimento di un esercito o, per ritornare all'esempio di processi naturali, la nascita di una vite o di un albero o l'aspetto e la struttura fisica di un animale: in nessun caso è ravvisabile un'attività tanto intensa quanto quella che caratterizza il mondo nel suo insieme. A questo punto due sole possibilità restano aperte: o che non esista nulla su cui la natura benché dotata di sensibilità eserciti la sua azione di guida o che sia il mondo ad esserne governato.
86. Ma come potrebbe non esserlo visto che esso contiene in sé tutte le altre nature ed i loro germi? Sarebbe lo stesso che affermare che i denti e la pìliferazione sono dovuti alla natura e non riconoscere poi che l'uomo cui essi appartengono sia un prodotto naturale, mostrando con ciò di non comprendere che ogni essere procreante dal suo
Compete dunque al ,mondo il titolo di seminatore, di piantatore e, per così dire, di padre di tutte le creature sottomesse al governo della natura: a lui spetta il compito di educarle e di nutrirle e a tutte egli fornisce cibo e sostentamento come a sue parti e membra. Orbene, se le singole parti del mondo hanno come guida la natura lo stesso
dovrà dirsi della totalità del mondo in cui l'azione regolatrice della natura è tale da escludere ogni critica: lo dimostra l'effetto sortito da quelli che erano in origine dei semplici elementi, effetto che non potrebbe essere migliore di quanto effettivamente è stato.
87. Ci si sforzi pure di sostenere che sarebbe potuto essere migliore: nessuno, in realtà, riuscirà mai a dimostrarlo. E quand'anche si volesse migliorarne qualche dettaglio si finirebbe con l'ottenere un risultato peggiore e si mostrerebbe di pretendere l'impossibile.
Che le varie parti costitutive del mondo siano organizzate in modo tale che non sarebbero potute risultare né più adatte ad esplicare le loro funzioni né più belle a contemplarsi è una evidente realtà. Resta ora da chiarire se si tratti di
un caso fortuito o se l'armoniosa connessione delle varie parti del mondo non presupponga piuttosto, quale necessaria, giustificazione, l'intervento di una intelligenza e di una provvidenza divina. Incominceremo coll'osservare che se i prodotti della natura sono superiori a quelli dell'arte e se è vero che l'arte è un'attività squisitamente razionale, anche la natura non potrà essere sprovvista di ragione.
Ogni qualvolta contempli un quadro riconosci in esso la mano di un artista e ogni qualvolta osservi un battello in navigazione non esiti ad ammettere che si muova in virtù dell'intelligenza e dell'arte del pilota; analogamente se ti capita di osservare un orologio a sole o una clessidra ad acqua comprendi subito che l'indicazione dell'ora è dovuta all'arte del costruttore e non al caso. Orbene, è forse coerente ammettere tutto questo per poi disconoscere senno e ragione alla natura che raccoglie in sé le arti, gli artisti e gli esseri tutti?
88. Supponiamo che qualcuno rechi in Scizia o in Britannia la sfera costruita dal nostro amico Posidonio che riproduce esattamente il moto diurno e notturno del sole, della luna e dei cinque pianeti: chi, pur in mezzo a così oscura barbarie, esiterebbe a riconoscere in quella sfera un prodotto della ragione?
Eppure costoro restano ancora perplessi di fronte a codesto mondo da cui traggono origine e sussistenza gli esseri tutti e continuano a chiedersi se esso sia il prodotto del caso e della necessità o non piuttosto della ragione e dell'intelligenza divina. Secondo loro sarebbe stato molto più abile Archimede nel riprodurre i moti celesti con la sua
sfera di quanto non lo sia stata la natura nel crearli, nonostante la maggiore perfezione di questi ultimi in più di un particolare rispetto alla loro imitazione.
89. Tale atteggiamento richiama da vicino il caso di quel pastore, introdotto da Accio in un suo dramma, che non aveva mai visto una nave. Costui non appena scorge in lontananza, dalla cima di un monte, lo strano naviglio degli Argonauti, opera degli dèi, pieno di meraviglia e di terrore subito esordisce in queste espressioni: "Quale immensa mole s'avanza fremendo dal mare aperto con immenso strepito e vigorosi sbuffi! solleva ondate innanzi a sé e coi suo impeto provoca dei vortici. Scorrendo veloce solleva spruzzi di acqua marina e procede ansimando. Ora diresti che una nube temporalesca improvvisamente squarciata stia piombando verso di noi, ora che i venti e la tempesta abbiano sbalzato in alto e stiano trascinando seco un frammento di roccia o che all'urlo delle onde in lotta si sollevino vorticosi cavalloni; a meno che ora non sia il mare a muovere masse di terra o che Trifone in mezzo all'infuriare delle onde, facendo forza col tridente sotto le fondamenta della sua cavernosa dimora, stia scaraventando verso il cielo dalla profondità degli abissi un enorme scoglio".
Di primo acchito il personaggio si chiede che sia quell'essere sconosciuto che ha innanzi agli occhi, ma non appena scorge sul naviglio degli uomini nel fiore dell'età e giunge al suo orecchio un canto marinaresco subito esclama: "sembra che innanzi di rostri si agitino agili e vivaci delfini" e continua per un pezzo su questo tono: "... e reca al mio orecchio una melodia che mi ricorda il capito di Silvano".
90. Come si vede quest'uomo di primo acchito crede di scorgere un corpo inanimato e privo di sensibilità, ma in seguito, sulla base di una chiara indicazione, incomincia a intravedere la vera natura dell'oggetto che lo aveva lasciato perplesso. Lo stesso vale anche per i filosofi. Se in un primo tempo lo spettacolo dei mondo poté lasciarli alquanto
turbati ed incerti, in seguito, constatata la uniforme regolarità dei suoi movimenti. e l'ordine costante ed immutabile cui obbedisce ogni fenomeno avrebbero dovuto convincersi che in codesta celestiale e divina dimora è presente qualcuno che non si limita ad abitarla ma è anche l'organizzatore, il regolatore e, per così dire, l'architetto di tanta impresa.
In realtà essi non sembrano neppure lontanamente immaginare quali meraviglie offra la considerazione dei fenomeni celesti e terrestri.
91. Innanzitutto la terra, collocata nella parte centrale dell'universo, è circondata da ogni parte da quell'elemento vivente e respirabile che chiamano aer: il vocabolo è greco ma è stato accolto nell'uso della nostra lingua e passa ormai per latino. Questo è a sua volta circondato dallo sconfinato etere che deve la sua composizione a quella sostanza ignea che occupa le regioni più alte dei mondo.
(Anche in questo caso possiamo ricorrere ad un termine mutuato dal greco ed usare in latino il vocabolo aether allo stesso modo con cui comunemente diciamo aer; e ciò con buona pace di Pacuvio che si preoccupa di fornirci la traduzione dei vocabolo facendo dire ad un suo personaggio: "ciò di cui parlo noi lo chiamiamo cielo, i Greci etere" quasi non fosse proprio un Greco ad esprimersi così! Si obietterà che il Personaggio parla in latino; e l'obiezione potrebbe anche essere valida, ma solo a patto che noi, nell'ascoltarlo, non fossimo indotti ad immaginare che parli in greco. Del resto lo stesso Pacuvio in un altro passo fa dire ad un personaggio: "è di stirpe greca: lo rivela il suo stesso modo di parlare".)
92. Ma torniamo al sodo. Dall'etere derivano dunque le innumeri fiammelle che alimentano gli astri. Fra essi il primo posto è occupato dal sole che illumina ogni cosa con la sua fulgidissima luce e che è di gran lunga più grande ed esteso della terra; seguono i rimanenti astri con le loro immense moli. E tutte queste masse infuocate, pur tanto grandi e numerose, non solo non arrecano nessun danno alla terra ed alle creature che la abitano ma tale è la loro benefica azione che, se fossero rimosse dalla loro attuale posizione, le terre brucerebbero consunte da quel fuoco, una volta tolto di mezzo ogni controllo ed ogni freno.
93. Come non provare meraviglia, a questo punto, se qualcuno ritiene che corpi solidi ed indivisibili siano trascinati dalla forza del loro peso e che dalla loro fortuita unione sia derivato il mondo con tutti i suoi splendori e le sue bellezze? Chi fosse disposto ad ammettere una cosa del genere non vedo perché non dovrebbe anche ritenere che, se si raccogliessero da qualche parte in un numero molto elevato di esemplari le ventuno lettere dell'alfabeto foggiate in oro od in altro materiale e le si gettassero a tetra dovrebbero ricostituirsi tutti gli Annali di Ennio ormai pronti per la lettura: un risultato che il caso non riuscirebbe forse a realizzare neppure limitatamente ad un solo verso!
94. Costoro invece continuano a sostenere che in seguito alla fortuita e casuale collisione di corpuscoli sprovvisti di colore, di ogni qualità (la poioteta dei Greci) e di ogni sensibilità si costituirebbe il mondo, o, meglio, nascerebbe e perirebbe ad ogni istante un numero illimitato di mondi; né si vede perché, se è vero che codesto fortuito incontro di
atomi è in grado di costruire il mondo, non dovrebbe anche riuscire ad edificare un porticato, un tempio, una casa od una città: tutte opere, queste, che richiedono certo minore fatica e sono in molti casi di più agevole realizzazione. A giudicare dal loro inconcludente vaniloquio si direbbe che non abbiano mai neppure rivolto gli occhi (e di qui partirà la mia prossima argomentazione) al mirabile spettacolo del la volta celeste.
95. Molto a proposito scrive Aristotele: "Immaginiamo che degli esseri siano sempre vissuti sotto la superficie terrestre in accoglienti e lussuose dimore ornate di statue e di dipinti e fornite di tutti quegli agi che si, pensa rendano l'uomo felice e supponiamo che pur non essendo mai saliti alla superficie abbiano appreso, per sentito dire, che
esisterebbe una volontà e una potenza divina, se ad un certo momento, spalancatesi le fauci della terra, fosse loro concesso di abbandonare la loro recondita dimora e di risalire verso le regioni che noi abitiamo uscendo alla luce, certamente essi, all'improvvisa vista della terra, dei mari e del cielo, all'improvvisa rivelazione dell'estensione delle nubi e della potenza dei venti, di fronte allo spettacolo del sole, della sua grandezza e della sua bellezza non disgiunte da una fattiva potenza in forza della quale esso produce il giorno inondando il cielo con la sua luce; di fronte alla visione del cielo che, al cadere delle tenebre sulla nostra terra, si cosparge ed adorna di stelle, della luna e delle sue varie fasi ora crescenti ed ora decrescenti, del sorgere e del tramontare degli astri nonché delle loro orbite immutabili e fisse per sempre, certamente essi, dicevamo, concluderebbero che gli dèi esistono realmente e che ad essi è dovuta la realizzazione di opere si grandi".
96. Queste le parole di Aristotele. Ma noi possiamo anche ricordare le profonde tenebre che avvolsero un tempo le regioni limitrofe durante una violenta eruzione dell'Etna, tenebre tanto fitte che per due giorni nessuno fu in grado di riconoscere un suo simile. Quando però il terzo giorno tornò a risplendere il sole a tutti parve di essere di nuovo
ritornati alla vita. Dal che è agevole comprendere quale sarebbe per noi lo spettacolo della volta celeste se ci accadesse di vedere improvvisamente la luce dopo essere stati sempre immersi nelle tenebre. Sennonché il nostro spirito, in seguito all'uso costante e quotidiano della vista, finisce coll'assuefarsi a ciò che vede ogni giorno, col non provarne più alcuna meraviglia e col non sentire più il bisogno di cercarne una spiegazione quasi che a stimolare tale ricerca non dovesse essere l'importanza dei fenomeni ma solo la loro novità.
97. Come non negare il nome di uomo ad un individuo che, dopo aver osservato la perfetta regolarità dei moti celesti, l'esatta determinazione delle orbite stellari e lo stretto legame di interdipendenza che unisce gli esseri tutti, non riconoscesse in tutto ciò la presenza di un principio razionale e attribuisse all'opera del caso l'esecuzione di un piano la cui ingegnosità nessun ingegno umano riuscirà mai a raggiungere?
Quando osserviamo qualcosa muoversi per opera di un meccanismo - si tratti di una sfera planetaria o di un orologio o di un altro oggetto qualsiasi - non abbiamo alcun dubbio che sia stato un essere intelligente a determinarne il movimento. Perché allora, nel contemplare il cielo che con la sua mirabile e velocissima rotazione determina con
perfetta regolarità l'alternarsi delle stagioni donando vita e prosperità a tutte le creature, dovremmo dubitare che alla base di tutto vi sia un principio non solo razionale ma anche dotato dì una divina perfezione?
98. Ma è ormai tempo di mettere in un canto tutte le sottigliezze dialettiche e di contemplare in un certo qual senso coi nostri occhi la bellezza di ciò che noi asseriamo predisposto dalla provvidenza divina.
Si consideri innanzitutto la terra nel suo complesso: collocata nel centro dell'universo essa si presenta solidamente strutturata con quella caratteristica forma sferica conferitale dal gravitare di tutte le sue parti verso il centro.
La sua superficie è interamente coperta di fiori, di erbe, di alberi e di messi la cui straordinaria fecondità si articola in un'inesauribile varietà di forme. Aggiungi la frescura delle fonti perenni, la trasparenza delle acque fluviali, il mantello di un verde intensissimo che ne ricopre le rive, le ampie cavità delle grotte, l'asprezza delle rupi, l'incombere imponente delle alte cime montane, l'immensa distesa delle pianure; aggiungi anche i nascosti filoni d'oro e d'argento e le inesauribili riserve di marmo.
99. E quanta varietà nel mondo degli animali, siano essi domestici o selvatici! Di quali voli e di quali canti sono capaci gli uccelli! quali pascoli si offrono agli armenti! quale vita si agita nelle selve! E che dire poi della stirpe degli uomini? Quasi fossero stati espressamente investiti della missione di coltivare la terra non permettono che belve feroci la inselvatichiscano o che aspri rovi la desolino. Per opera loro le campagne, le isole e le coste offrono il vario e luminoso spettacolo delle case sparse e degli agglomeramenti urbani. Se noi potessimo vedere tutto ciò coi nostri occhi cosi come possiamo rappresentarcelo con la nostra fantasia nessuno dubiterebbe della ragione divina.
100. E quanta bellezza è nel mare! quale spettacolo ci offre la sua visione d'insieme! quante e quanto varie sono le sue isole! Quale delizioso scenario offrono le sue coste e le sue spiagge! E quante e quanto disparate sono le forme viventi immerse nelle sue acque o solcanti a nuoto la sua superficie o fissate alla roccia col guscio in cui sono nate! E lo stesso mare, preso dal desiderio della terra, scherza sul lido sì che i due elementi paiono fusi in uno solo.
101. In secondo luogo l'aria, che segue nell'ordine la massa marina, è sede dell'alternanza del giorno e della notte: ora, dispersa e rarefatta, sale verso l'alto, ora si condensa a formare delle nubi e, immagazzinando acqua, alimenta e corrobora la terra con le piogge, ora, scorrendo qua e là. determina i venti. A lei si deve l'annuale alternarsi del caldo e del freddo. E' inoltre l'aria che sostiene il volo degli uccelli e, inspirata, dà vita e nutrimento agli esseri viventi.
Resta il cielo o etere che dir si voglia, il più lontano ed il più alto sopra i luoghi da noi abitati, che tutto cinge ed abbraccia nel suo amplesso, estrema piaga ed ultimo confine del mondo in cui delle masse di fuoco percorrono orbite mirabilmente regolari.
102. Fra tali masse il sole, molte volte più grande della terra, percorre attorno ad essa la sua orbita. E' il sole che sorgendo e tramontando determina l'alternarsi del giorno e della notte e che ora avvicinandosi, ora allontanandosi dalla terra compie ogni anno due opposte conversioni dai suoi limiti estremi e durante tali conversioni avvolge la terra in un alone di deprimente tristezza per poi tornare a rallegrarla sì ch'essa appaia partecipe del sorriso del cielo.
103. Quanto alla luna che, a detta degli scienziati, supera per grandezza la metà della terra, percorre le stesse vie del sole, ma ora ne accompagna il cammino, ora se ne discosta ed invia sulla terra la luce che riceve dal sole attraversando essa stessa., varie fasi nella sua opera di illuminazione. Ma non basta: collocandosi talora sotto il sole ed
opponendogli la sua propria massa ne oscura i raggi luminosi; altra volta è invece la luna ad imbattersi nell'ombra della terra quando questa è dalla parte del sole ed in tal caso, per l'interposizione della massa terrestre, improvvisamente scompare. Identiche sono le orbite delle stelle cosiddette erranti e allo stesso modo anch'esse sorgono e tramontano, ma ora accelerano il loro movimento, ora lo rallentano e non è infrequente il caso che restino immobili:
104. uno spettacolo di cui nulla vi può essere di più meraviglioso, nulla di più bello. Segue la grandissima moltitudine delle stelle fisse i cui raggruppamenti sono stati determinati in modo da essere denominati sulla base della loro somiglianza con oggetti noti.
A questo punto rivolgendosi a me: "Ricorrerò" disse "ai carmi di Arato servendomi della traduzione che tu stesso ne hai fornito quand'eri ancora ragazzo. Tanto è il piacere che quest'opera, proprio perché resa in veste latina, suole suscitare in me che ne ricordo parecchi brani a memoria. Sotto i nostri occhi senza alcun mutamento o variazione
"scorrono tutti i corpi celesti con celere moto mentre in cielo sempre s'alternano i giorni e le notti"
105. Uno spettacolo dinanzi al quale chi ami osservare l'uniformità della natura non riesce mai a saziare pienamente il suo spirito per quanto si dilunghi nella contemplazione. Ed ancora: "Il vertice sommo agli estremi dell'asse prende il nome di Polo"
Attorno ad esso si muovono le due orse che non tramontano mai: "l'una è chiamata dai Greci col nome di Cnosura, Elica l'altra" E di quest'ultima si contemplano ogni notte le fulgide stelle che "i nostri soglion chiamare Sette Trioni"
106. con ugual numero di stelle raggruppate nello stesso modo la piccola Cinosura occupa nel cielo l'identica posizione terminale.
"A questa si volgon fidenti i Fenici la notte fra i flutti perché li diriga e se le stelle dell'altra diffondono luce più intensa e si distinguono tosto da lungi dal primo calar della sera, questa, benché piccolissimo, è utile ai Marinai che più inferno e più breve è il suo corso"
Ma un altro elemento contribuisce a rendere ancor più fascinosa la visione di quelle stelle: "Fra loro si snoda a guisa di un fiume dal rapido gorgo il Serpente dagli occhi grifagni che in alto ed in basso si torce svolgendo le spire sinuose"
107. Rimarchevole è la sua visione d'insieme, ma ciò su cui occorre soprattutto concentrate lo sguardo è la configurazione dei capo e gli occhi di fiamma :
"Non una sola stella ne adorna il capo con vivo splendore, ma due fulgidi lumi ne segnai; le tempie e dagli occhi crudeli sfavillano ardenti due faci e sul mento gli irraggia una stella: ma piegando il collo fornito rivolge in basso la testa e sembra diriger lo sguardo alla coda dell'Orsa Maggiore"
108. Ogni notte è Sotto ai nostri occhi anche la parte restante del corpo dei serpente:
"d'un tratto il suo capo scompare alla vista là dove oriente ed occidente insieme si fondono" E su questo capo "stanca si muove, par, nell'aspetto, ad un uomo dolente"
quella che i Greci "chiamano Engonasi poiché si trascina poggiando sui ginocchi; qui la Corona rifulge di tutto splendore" Questa trovasi alle spalle del Serpente, mentre presso il suo capo giace il Serpentario,
109. "che i Greci con nome già illustre chiamano Ofiunco; questi tiene stretto il serpente con ambe le mani ed avvinto è a sua volta dalle ampie sue spire. ché il serpente gli avvolge la cintola al di sotto del petto. Pure resiste e s'avanza con passo deciso e calpesta gli occhi ed il petto di Nepao"
Ai Sette Trioni tien dietro "il custode dell'Orsa detto comunemente Boole perché la pungola e scuote quasi l'avesse legata al timone"
110. Seguono altre stelle: "sotto il petto di Boote spicca immobile un astro lucente, Arturo dal nome famoso e sotto i piedi di questo "la Vergine dal corpo fulgente reca una spiga di luce"
Inoltre le costellazioni sono distribuite con tale sapienza che dai loro ordinati schieramenti emerge inequivocabilmente l'intervento di una azione divina:
"E i due Ge melli scoprire potrai sotto il capo dell'Orsa, ma sotto sta lo Scorpione nella parte mediana e calpesta coi piedi il grande Leone da cui si diparte una tremula fiamma".
L'Auriga.
"Si muoverà nascosto dal fianco sinistro dei Gemini: A lui, con sguardo feroce, l'Elica volge il suo capo mentre sul fatico sinistro si muove la Capra fulgente".
E ancora: "Questa per lungo spazio riluce nel cielo, tenue è invece il bagliore che i Capretti inviano ai mortali".
Sotto i suoi piedi "Squadra le corna il Toro dal corpo massiccio".
111. Il suo corpo è cosparso di numerose stelle: "quelle che i Greci ladi soglíon chiamare,
dal verbo hyein, cioè "piovere"; i nostri invece, senza capire, le chiamano "Sucule" come se il loro nome traesse origine dalla razza "suina" e non dalla pioggia. Alle spalle dell'Orsa Minore sta Cefeo con le mani aperte: "chè proprio alle spalle di Cinosura muove il suo corso". Prima di lui "sta Cassiopea, ma tenue e la luce che inviano le sue stelle; lì presso si muove Andromeda dal chiaro fulgore che, mesta, cerca sottrarsi alla vista materna e a lei l'illustre destriero dall'ondeggiante fulgida chioma, sfiora col ventre la punta dei capo. Così un'unica stella bramando intrecciare fra gli astri un sempiterno nodo, traccia con luce splendente due diverse figure. Lì presso sta fisso l'Ariete dalle attorte corna";
e accanto a lui " stanno i Pesci, uno dei quali sopravanza il gruppo di un breve tratto, ed è maggiormente esposto ai soffi dell'Aquilone che fa rabbrividire".
112. Ai piedi di Andromeda è raffigurato Perseo "che le raffiche d'Aquilone respingon dalla zona più alta".
E, "... vicina al suo ginocchio sinistro puoi scorgere le Virgilie con la loro tenue luce. Segue la lira dall'aspetto leggermente ricurvo" quindi "sotto la vasta volta del cielo l'alato Cigno libra".
In prossimità della testa del Cavallo si estende il fianco destro dell'Aquario e quindi l'Aquario stesso in tutta la sua estensione. Subito dopo: "Segue in un'ampia orbita il Capricorno dal corpo semiferino spirante dal petto possente una gelida raffica: e
quando il Titano lo investe con raggi immortali volge indietro il suo carro durante i freddi invernali".
113. Quivi ci è dato scorgere "come in alto fa mostra di sé lo Scorpione che l'Arco ricurvo seco trascina col forte vigor della coda possente. Lì presso sull'ali librandosi il Cigno volteggia e non lontana l'Aquila avanza dal corpo fulgente".
Segue il Delfino: "quindi Orione obliquo spande i suoi raggi".
114. Subito dopo "sfavilla fra gli astri l'ardente Canicola" e quindi la Lepre
"si slancia instancabile in rapida corsa. Presso la coda del cane si snoda Argo strisciando all'ombra d'Ariete e dei Pesci dal corpo squamoso e sfiora col corpo fulgente le rive del Fiume" di cui puoi scorgere in Iontananza il corso sinuoso. E ancora: "E alle nel cielo scorger potrai le Catene che avvincono i Pescí e ne serran la coda" "e sotto l'aculeo di Nepa fulgente risplende la luce dell'Ara che i miti soffi dell'Austro accarezzano".
Nelle immediate vicinanze il Centauro "muove i suoi passi: sovrastan le Chele la parte ferina. Tende la destra e raggiunge un grosso quadrupede e lo spinge all'Altare chiaro di luci e lo immola qual vittima e il sangue ne versa. Quivi l'Idra dai baratri emersa d'Averno si slancia" e ricopre il Cielo col vasto corpo.
"Brilla nel mezzo del cerchio Cratera fulgente, il becco dei Corvo la sfiora librato sull'ali veloci; e innanzi al Cane e sotto i Gemelli si muove famoso l'astro che i Greci chiaman Procione e ne citano il nome".
115. C'è davvero da chiedersi se una persona assennata possa seriamente attribuire ad uno scontro fortuito di particelle l'ordinata e fascinosa distribuzione degli astri nel cielo. D'altronde una forza priva. di intelligenza e di ragione non avrebbe potuto creare esseri siffatti: non solo per spiegare la loro esistenza è indispensabile postulare l'intervento di
un principio razionale ma la loro stessa natura è comprensibile solo a patto che la si inquadri in un supremo piano razionale.
Ma non a questo solo si riducono i motivi di meraviglia: ciò che più colpisce è la stabilità e compattezza del mondo per la cui conservazione nulla si potrebbe escogitare di più adatto. Tutte le sue parti, nel loro sforzo di raggiungere il centro, realizzano fra loro un perfetto equilibrio, ma ciò che soprattutto rende stabile la loro unione è una sorta di legame che le stringe ed avvolge tutt'intorno, legame che trova la sua ragione d'essere in quella forza diffusa nel mondo che tutto organizza secondo principi razionali e spinge e trascina verso il centro quanto si trova alla periferia.
116. Orbene, se il mondo ha forma sferica e, di conseguenza, tutte le sue parti sono in individuale e reciproco equilibrio, lo stesso fenomeno dovrà verificarsi anche Per la terra dove, per la tendenza di tutte le sue parti a raggiungere il centro (che in una sfera è il punto più basso), nulla può interromperne la continuità rompendo l'equilibrio dei pesi e delle forze. Per la stessa ragione il mare che copre la superficie terrestre, gravitando anch'esso verso il centro, assume una regolare curvatura senza straripamenti o deviazioni di sorta.
117. L'aria, che confina con questo, in virtù della sua leggerezza tende verso l'alto, ma la sua diffusione è anch'essa uniforme in tutte le direzioni. E se il mare è l'elemento col quale direttamente confina senza soluzione di continuità, la sua natura la spinge verso il cielo che le comunica parte della sua leggerezza e del suo calore mettendola in grado di dispensare ai viventi vita e salute. Quanto alla parte più alta del cielo che avvolge la sfera dell'aria e cui si dà il nome di etere, possiede un calore ed una levità proprie pure da ogni commistione estranea e confina con la parte superiore dell'aria.
120. Se poi dalle regioni del cielo ci riportiamo alle cose della nostra terra, come rintracciare una sola creatura nella quale non risplenda la razionale intelligenza della natura? Innanzitutto i fusti della vegetazione che spunta dal grembo della terra danno solidità alle parti che essi sostengono e traggono dalla terra gli alimenti con cui nutrire quanto poggia sulle radici; e per difendersi dal freddo e dal caldo i tronchi si ricoprono di corteccia. Le viti si aggrappano ai sostegni coi loro tralci simili a mani e non diversamente dagli esseri animati assumono posizione eretta. E non basta: se nelle vicinanze sono piantati dei cavoli se ne tengono lontano come da corpi funesti e pestilenziali e si guardano bene dall'entrare in contatto con essi.
121. E che dire poi della varietà degli animali e della capacità che ciascuno possiede di conservarsi nei limiti della propria specie? Alcuni si ricoprono di cuoio, altri si vestono di pelli villose, altri ancora di ispidi mantelli di spine.
Alcuni li vediamo ricoperti di piume, altri di squame, e se per una parte di essi le corna rappresentano un'arma, per altri le ali sono il più sicuro mezzo con cui fuggire. A tutti poi la natura fornisce con larga abbondanza il nutrimento adatto a ciascuno.
Potrei passare in rassegna il diligente ed accurato ordinamento delle varie parti in cui - in vista dell'ingestione ed assimilazione dei cibo - si articolano i corpi animati nonché la mirabile struttura delle loro membra. Ogni organo interno per caratteri e posizione è ispirato alla più assoluta funzionalità e tutto in esso concorre alla conservazione della vita.
122. E se la natura ha concesso alle fiere una sensibilità ed un istinto lo ha fatto perché esse per l'una fossero naturalmente portate a desiderare i cibi ad esse congeniali ed in grazia dei secondo fossero in grado di distinguere ciò che nuoce da ciò che giova. E non basta ancora. Ci sono animali che si accostano al cibo camminando, altri strisciando,
altri volando, altri ancora a nuoto, e mentre una parte di essi mangia il cibo spalancando la bocca e afferrandolo coi denti, altri lo strappa con la forza delle unghie o servendosi di un becco adunco. C'è chi succhia, chi bruca, chi mastica, chi divora. Ci sono animali la cui bassa statura permette loro di afferrare facilmente col muso il cibo sparso per terra.
123. Altri di maggiore statura, come le oche, i cigni, le gru ed i cammelli traggono invece giovamento proprio dalla lunghezza dei collo. All'elefante infine fu concessa persino una mano in considerazione della difficoltà, per una creatura cosi mastodontica, di accostarsi al cibo.
Quanto poi agli animali cui la natura ha destinato come cibo le carni di altri creature viventi sono dotati o di forza o di agilità nella corsa. Ad alcuni fu concessa anche una certa destrezza ed abilità particolare. Così, per esempio, vi sono dei ragni che tessono una rete che permette loro di uccidere chiunque vi incappi, altri stanno in agguato per poter afferrare alla sprovvista e distruggere qualsiasi creatura cada nella loro rete.
Una grossa conchiglia bivalva, la pinna dei Greci, ha stretto con la minuscola squilla una autentica società di mutuo aiuto per la conquista del cibo: è sufficiente che un minuscolo pesciolino capiti fra le valve aperte della prima perché questa, avvertita dalla squilla, chiuda l'incauto nella sua morsa. Così due animali diversissimi cooperano insieme
per procurarsi il nutrimento;
124. lasciandoci stupiti ed incerti se alla base di tale collaborazione ci sia stato un reciproco accordo o una diretta azione della natura esercitata fin dalle origini. Costituiscono per noi motivo di meraviglia anche quegli animali che pur vivendo nell'acqua risultano nati sulla terra ferma. Voglio qui riferirmi ai coccodrilli, alle tartarughe fluviali e a taluni serpenti nati fuor d'acqua che, non appena possono reggersi, cercano il liquido elemento.
E non basta. Spesso facciamo covare alle galline uova di anatre e non appena le uova si schiudono sono le galline, che le hanno covate e fatte maturare, a prendersi cura dell'allevamento dei piccoli; in seguito però questi le abbandonano e si sottraggono alle loro cure non appena è dato ad essi di vedere la loro naturale dimora: l'acqua. Tanta e
la forza dell'istinto di conservazione instillato negli animali dalla natura.
Ho anche letto di un uccello, detto platalea, che si procurerebbe il cibo facendo impeto contro quei volatili che sono soliti tuffarsi in mare; la sua tattica sarebbe quella di attendere che uno di questi uccelli riemerga dai flutti con un pesce nel becco per costringerlo, a furia di beccate sul capo, a lasciare a lui la preda. Del, medesimo si racconta anche che inghiottirebbe conchiglie intere e le rivomiterebbe al momento della digestione trattenendo così le parti mangiabili.
125. Delle rane marine si narra che, ricoperte di sabbia, si muovono a fior d'acqua per attirare i pesci a guis a di esca e per subito ucciderli al loro accostarsi e cibarsene. V'è una sorta di naturale ostilità fra il nibbio ed il corvo sì che, non appena l'uno trova le uova dell'altro subito le distrugge.
E come non restare strabiliati di fronte a quanto Aristotele, autore di gran parte di consimili osservazioni fa notare a proposito delle gru? Questi animali, quando attraversano ì mari alla ricerca di luoghi più caldi, si dispongono a forma di triangolo. Il vertice anteriore ha la funzione di aprire il cammino fendendo l'aria che si oppone al volo, mentre le gru disposte sui due lati, battendo le ali a guisa di remi, sollevano sempre più in alto lo stormo! La base del triangolo, infine, che le gru stesse disegnano nell'aria, riceve a sua volta una spinta dai venti spiranti, per così dire, da poppa.
Le gru di quest'ultimo gruppo appoggiano il collo ed il capo sul dorso di quelle che volano innanzi a loro, e poiché quella che guida lo stormo non può fruire di questo vantaggio in quanto non ha nulla su cui appoggiarsi, si volge verso le posizioni arretrate per riposarsi ed è subito sostituita da una delle gru che hanno già fruito del riposo; e così via per tutto il corso del viaggio.
126. Potrei addurre molti altri esempi consimili ma il concetto generale è chiaro. Ancora più note del resto sono le tecniche con cui gli animali provvedono alla propria sicurezza, la circospezione con cui si accostano al cibo e cercano di nascondersi nelle loro tane.
Altrettanto sorprendente è la constatazione che i cani si curano coi vomito e l'ibis egiziana raggiunge lo stesso scopo purgandosi il ventre secondo una tecnica cui l'inventiva dei nostri medici è giunta solo di recente, qualche generazione prima della nostra. Mi è stato raccontato che le pantere, che le genti barbariche sogliono catturare
ricorrendo a carni avvelenate, conoscerebbero un antidoto cui ricorrere per evitare la morte; si dice anche che a Creta le capre selvatiche, quando sì sentono trafitte da frecce avvelenate, vanno subito alla ricerca di un'erba detta dittamo che, una volta gustata, farebbe cadere le frecce dal corpo. 127. Le cerve, poco prima dei parto, ricorrono, per purificarsi, ad una minuscola pianticella che chiamano seseli.
Evidenti sono anche i mezzi di cui ciascun animale si serve come difesa contro il pericolo dell'altrui violenza: il toro delle corna, il cinghiale dei denti, il leone delle mascelle; altri cercano salvezza nella fuga, altri ancora nascondendosi; per respingere gli assalitori le seppie secernono un liquido nerastro, le torpedini li addormentano e non pochi animali
non sì peritano di emettere un odore sgradevole e repellente.
Per assicurare eterna stabilità al maraviglioso ordine cosmico la provvidenza divina si è attivamente preoccupata di perpetuare le varie specie di animali, delle piante e di tutte le creature di cui la terra trattiene le radici. Queste ultime posseggono tutte, racchiusa nel loro seme, la capacità di generare ciascuna una pluralità di individui della stessa specie e detto seme è a sua volta custodito nella parte più interna di quelle bacche che vengono prodotte a profusione e che servono ad un tempo a nutrire in gran copia gli uomini e a riempire la terra di consimile vegetazione.
128. E che dire poi della studiata predisposizione di ogni animale a perpetuare la propria specie? Innanzitutto c'è la differenziazione dei sessi che null'altro è se non un espediente creato dalla natura proprio per assicurare tale perpetuazione. Si aggiunga che determinate parti del corpo sono state appositamente predisposte per la generazione ed il concepimento e che sia nel maschio sia nella femmina c'è l'irresistibile tendenza al congiungimento dei corpi.
Una volta poi che il seme ha raggiunto la sua sede naturale avoca a sé quasi tutto il cibo e stipandolo tutto attorno crea il nuovo essere. E quando questo si libera ed esce dal grembo materno quasi tutto Il cibo ingerito dalla madre - intendo qui riferirmi all'ordine dei mammiferi - incomincia a trasformarsi in latte ed i piccoli neonati senza che alcuno intervenga ad istruirli, per solo istinto naturale, si attaccano alle mammelle e ne succhiano abbondante nutrimento.
A provare che in ciò non v'è nulla di fortuito, ma tutto è opera di una provvida ed industre natura basti la constatazione che animali molto prolifici, come cani e maiali, risultano dotati di un gran numero di mammelle mentre molto inferiore ne è il numero in quegli animali che generano solo qualche piccolo alla volta.
129. E non parliamo poi dell'amore con cui le bestie allevano e custodiscono le loro creature fino al momento in cui siano in grado di difendersi da sole. Soltanto dei pesci si dice che abbandonino le uova una volta deposte: ma in questo caso c'è l'acqua a sostenere le uova e a facilitare l'uscita dei piccoli.
delle testuggini e dei coccodrilli si dice che seppelliscano le uova non appena deposte sulla terra per subito allontanarsene sì che i piccoli nascono e si nutrono per proprio conto. Quanto alle galline ed agli altri uccelli cercano, per generare, un luogo tranquillo, si costruiscono un nido come dimora e si sforzano di renderlo soffice quanto più
possibile per preservare nel miglior modo le uova. Usciti che siano i piccoli dal guscio se ne prendono cura riscaldandoli con le loro ali perché non abbiano a patire il freddo e facendo scudo col loro corpo se il calore solare è eccessivo. E quando giunge il momento in cui sono in grado di fare uso delle loro alucce le madri ne accompagnano il
volo e si liberano così di ogni residua preoccupazione.
130. Alla conservazione e preservazione di taluni animali e di talune piante contribuisce anche l'attiva cura dell'uomo: vi sono infatti degli animali e delle piante che senza il nostro intervento non potrebbero sopravvivere.
Inoltre le varie regioni offrono ciascuna particolari e sostanziali vantaggi per una proficua coltivazione dei terreno da parte dell'uomo. Il Nilo allaga l'Egitto e dopo averlo tenuto sommerso per una intera estate se ne allontana e lascia il terreno, cosi ammorbidito e concimato, pronto per la semina. La Mesopotamia deve la sua fertilità all'Eufrate che si può dire introduca ogni anno in quella regione nuovi campi coltivabili. L'Indo, il più grande di tutti i fiumi, non si limita ad ammorbidire e a concimare i campi con le sue acque, ma provvede anche a seminarli, se è vero che, a quanto si dice, trascina con sé gran quantità di semi di cereali.
131. E molte altre rimarchevoli caratteristiche di determinate regioni potrei addurre e molti altri esempi di terreni fertili per questo o quel prodotto.
Quanto grande è la benevolenza della natura! Per comprenderlo basterebbe considerate quanto numerosi, quanto vari e quanto allettanti sono i prodotti destinati a nutrire le sue creature, prodotti che si e guardata bene dal concentrare in un'unica stagione dell'anno perché noi potessimo gustarne sempre il perenne rinnovamento. E quanto propizio e salutare, e non per gli uomini soltanto ma anche per gli animali e per i vegetali, è il dono dei venti etesii! sono essi che con il loro alitare attenuano gli eccessi del calore estivo e sempre da essi dipende la sicurezza e la celerità delle rotte marine. Molti sono gli argomenti che siamo costretti a tralasciare, pur esponendone molti.
132. E' impossibile enumerare le risorse fluviali, il fluire ed il rifluire delle maree, i monti ricoperti di selve, le saline poste a grande distanza dal mare, l'enorme riserva di sostanze medicamentose di cui è ricca la terra, gli innumerevoli espedienti necessari alla conservazione della vita. Basti dire che lo stesso alternarsi del giorno e della notte, separando il tempo destinato alla azione da quello destinato al riposo, provvede alla conservazione degli esseri viventi.
La conclusione cui ad ogni modo si deve comunque giungere è che tutto in questo mondo è mirabilmente governato da una niente e da una provvidenza divina in vista della salvezza e della preservazione di tutti gli esseri.
133. Se a questo punto ci si chiedesse per chi sia stata architettata una cosi grandiosa costruzione, rispondendo "per gli alberi e per le piante che, benché prive di sensibilità, sono ugualmente sostenute dalla natura" si cadrebbe in una assurdità; ma altrettanto assurdo sarebbe rispondere "per le bestie" : non è affatto più probabile che gli dèi si siano dati tanto da fare per delle creature incapaci di esprimersi e di pensare. Per chi dunque sarebbe stato creato il mondo?
Evidentemente per quegli esseri viventi che fanno uso di ragione. E questi esseri sono gli dèì e gli uomini cui nessun altro è superiore data l'assoluta superiorità della ragione. Nulla di strano dunque che il mondo e tutto quanto esso contiene sia stato creato in vista degli dèi e degli uomini.
Più facilmente si comprenderà che sono stati gli dèi immortali a provvedere all'uomo se si considererà attentamente l'intima struttura e la perfetta conformazione della creatura umana.
134. Se tre sono gli elementi che concorrono a conservare la vita degli animali, il cibo, la bevanda e il respiro, l'organo più adatto a tali funzioni è la bocca validamente coadiuvata nella respirazione dall'aggiunta delle narici. Quanto al cibo, esso viene masticato, ammorbidito e ridotto in poltiglia dai denti raccolti a stretto contatto l'uno con l'altro nell'interno della bocca. Quelli anteriori, dalla punta aguzza, servono ad addentare e a spezzare il cibo, quelli più interni, detti genuini, lo masticano coadiuvati, in questa loro opera, della lingua.
135. La lingua s'innerva nell'esofago, la prima cavità in cui confluisce tutto ciò che viene ingerito dalla bocca. A sua volta l'esofago, limitato ai due lati dalle tonsille, sfocia nella parte più arretrata e più interna del palato e grazie al vivace movimento della lingua accoglie e deglutisce il cibo che, quasi spinto a forza, in esso discende e ciò realizza
dilatando le parti che sottostanno all'alimento che viene ingerito e contraendo quelle soprastanti.
136. Ma poiché la trachea, come la chiamano i medici, sfocia proprio alle radici della lingua, poco più sopra dei punto nel quale la lingua s'innerva nell'esofago, si estende fino ai polmoni e riceve l'aria che viene aspirata per poi di nuovo espirarla dai polmoni e restituirla all'esterno, essa risulta chiusa da una sorta di coperchietto il cui scopo è quello di impedire che qualche particella di cibo penetri nella trachea ed ostacoli la respirazione. Sotto l'esofago si trova lo stomaco, predisposto ad accogliere i cibi e le bevande mentre i polmoni ed il cuore ricevono l'aria dall'esterno.
Molte e rimarchevoli sono le operazioni predisposte dallo stomaco: esso risulta in gran parte costituito di fibre nervose e si snoda lungo un percorso vario e tortuoso che gli permette di comprimere e trattenere l'alimento che riceve, sia solido che liquido, producendone la digestione e la conseguente trasformazione; inoltre i suoi continui movimenti di contrazione e di rilassamento hanno come conseguenza la raccolta e la commistione delle sostanze che esso accoglie in sé e che sotto l'azione dei molto calore insito nello stomaco ed in seguito alla sua opera di triturazione del cibo non disgiunta dall'azione dei respiro vengono completamente digeriti e distribuiti nelle rimanenti parti dei corpo.
I polmoni constano di una sostanza soffice e porosa simile alle spugne ed estremamente adatta ad assorbire l'aria e dilatandosi e contraendosi captano l'elemento vitale che è indispensabile al sostenta mento degli esseri viventi.
137. Una volta separato da ogni scoria superflua il succo di cui noi ci nutriamo filtra dagli intestini al fegato attraverso dei canali che dalla parte centrale dell'intestino conducono direttamente alle cosiddette "porte dei fegato" e che a quest'ultimo risultano strettamente congiunti : di qui si dipartono in varie direzioni altri canali lungo i quali scorre il cibo fluente dal fegato. Una volta che da questo cibo sia stata isolata la bile nonché quegli umori che i reni provvedono a scaricare, tutto il resto si dispone a passare nel sangue e a confluire in quelle "porte dei fegato" alle quali conducono tutti i suoi canali; è proprio qui che il cibo, attraverso i succitati canali, fluisce nella cosiddetta vena cava e, seguendone il corso, giunge ormai perfettamente rielaborato e digerito sino al cuore e di qui, attraverso le molte vene che da esso si diramano, a tutte le parti del corpo.
138. Non sarebbe difficile spiegare come avvenga l'evacuazione dei cibi superflui coadiuvata dall'alterna contrazione e dilatazione dell'intestino, ma sarà bene lasciare da parte questo argomento perché il nostro discorso non abbia ad assumere un colorito punto simpatico. Si analizzi piuttosto lo straordinario organismo che la natura ha saputo
creare. L'aria inspirata nei polmoni incomincia a riscaldarsi in seguito allo stesso moto dell'inspirazione e ancor più si riscalda una volta venuta a contatto coi polmoni medesimi. Quindi in parte viene espirata all'esterno, in parte viene accolta in una cavità dei cuore detta ventricolo cardiaco cui è adiacente altra consimile cavità nella quale, attraverso la vena cava di cui s'è detto più sopra, confluisce il sangue proveniente dal fegato.
Avviene così che dal primo ventricolo il sangue si diffonde per tutto il corpo attraverso le vene, dal secondo l'aria fa lo stesso attraverso le arterie, ed entrambe queste reti di canali, diffuse ed intrecciate fra loro per tutto il corpo, contribuiscono a fornire la incontestabile prova di un'ingegnosità davvero straordinaria e divina.
139. E non parliamo poi delle ossa che costituiscono l'intelaiatura dei corpo e di quelle meravigliose cartilagini che sono le più adatte a dare stabilità al tutto, a delimitare le parti terminali degli arti e a permettere che il corpo compia i suoi movimenti e le sue funzioni. Aggiungi i muscoli, elemento connettivo delle membra, e le loro mirabili
diramazioni che, al pari delle vene e delle arterie, si dipartono dal cuore per estendersi a tutto il corpo.
140. A chiarire meglio l'opera solerte della provvidenza divina molti altri fatti possono essere addotti che dimostrano quanti straordinari benefici gli dèi abbiano concesso agli uomini. In primo luogo li vollero eretti e sollevati da terra perché potessero ricavare dalla visione del cielo la nozione della divinità. Gli uomini sono sorti dal grembo della terra non per popolarla ed abitarla, bensì per contemplare i fenomeni celesti, uno spettacolo che non riguarda nessun'altra specie vivente.
Gli organi del senso, nunzi e messaggeri dei mondo esterno, sono stati mirabilmente strutturati e collocati nel capo, come in una cittadella, perché potessero esercitare nel modo migliore la loro funzione. Fra essi gli occhi, a guisa di vedette, occupano la posizione più elevata perché possano svolgere il loro compito sulla base di una amplissima prospettiva;
141. anche le orecchie sono state collocate sulla parte alta dei corpo dovendo esse percepire i suoni che tendono per natura ad innalzarsi; parimenti le narici, data la tendenza di tutti gli odori a dirigersi in su, trovano posto anch'esse nella zona superiore e poiché ad esse soprattutto spetta pronunciarsi sui cibi e sulle bevande la loro posizione e vicina a quella della bocca.
Quanto al gusto, cui spetta di distinguere i vari alimenti di cui ci nutriamo, è collocato in quella parte della bocca in cui la natura ha posto l'apertura destinata al passaggio dei cibi e delle bevande. Il tutto, infine, è uniformemente distribuito in tutte le parti del corpo e ci permette di avvertire ogni sollecitazione e tutte le benché minime variazioni di
caldo e di freddo. E come nelle loro costruzioni gli architetti mirano a tener lontano dalla vista dei padroni tutti quei rifiuti che potrebbero arrecare loro qualche disgusto, così la natura si è preoccupata di tener lontani simili effluvi dagli organi della sensazione.
142. Quale artista, al di fuori della natura, insuperabile nella sua perspicacia, avrebbe potuto porte tanta diligenza nella costruzione degli organi di senso? Innanzitutto ha rivestito e ricoperto gli occhi di membrane sottilissime, trasparenti e resistenti ad un tempo, sì da permettere alle immagini di filtrare e di fornire agli occhi un solido rivestimento.
Gli occhi poi li ha costruiti mobili e scorrevoli per far sì che essi potessero liberarsi di ogni dannosa intrusione e volgersi facilmente dove volessero. Quanto all'organo della visione vero e proprio, che chiamano pupilla, è così piccolo che riesce ad evitare ogni particella nociva; analogamente le palpebre, che fungono da copertura degli occhi e che,
grazie alla loro estrema morbidezza avvertibile al tatto, non recano alla pupilla alcun danno, sono state assai opportunamente adibite alla funzione di chiudere e di riaprire gli occhi e di impedire così che possano penetrarvi particelle estranee e si è altresì provveduto che questa operazione possa avvenire continuamente e con la massima
celerità.
143. Le palpebre sono difese da una sorta di barriera di peli che serve ad impedire che qualcosa penetri negli occhi quando sono aperti e permette loro di riposare avvolti nelle loro guaine quando, venendo a mancare la necessità di usarli, si chiudono per il sonno. Inoltre gli occhi hanno il vantaggio di essere nascosti in apposite cavità e di essere cinti
da ogni lato da considerevoli prominenze. In primo luogo le sporgenze superiori, ricoperte dalle sopracciglia, arrestano il sudore fluente dal capo e dalla fronte; dal basso la difesa è esercitata dalle gote poste al di sotto degli occhi e leggermente sporgenti. Quanto al naso costituisce una sorta di muro frapposto fra le due occhiaie.
144. Sempre aperto è l'organo dell'udito in quanto, anche quando dormiamo, ne abbiamo bisogno e subito ci svegliamo non appena giunge ad esso un suono. Segue un percorso flessuoso ed involuto perché non vi si possa introdurre alcun oggetto, come invece avverrebbe se fosse semplice e diritto. Si è anche ovviato alla eventualità che qualche bestiolina cerchi di penetrarvi coi cerume dell'orecchio in cui inesorabilmente rimane invischiata.
Quelle che chiamano orecchie sporgono al di fuori e servono a coprire e a proteggere l'organo dell'udito nonché ad impedire che i suoni scivolino via e si perdano prima di essere percepiti. Le aperture delle orecchie sono dure e rigide in quanto il suono ripercosso da corpi siffatti subisce un'amplificazione. Così negli strumenti a corda
l'amplificatore è costituito dal guscio di tartaruga o dal corno ed i suoni si fanno più intensi perché confinati in spazi chiusi e dal percorso tortuoso.
145. Allo stesso modo le narici, sempre aperte per provvedere alle varie necessità, sono strette all'apertura per evitare l'entrata di corpuscoli nocivi e sono sempre umide per difendersi dalla polvere e da molti. altri inconvenienti.
Ottimamente difeso è l'organo del gusto: chiuso nella bocca esercita convenientemente il suo ufficio e provvede a conservare la propria incolumità.
Tutti gli organi di senso dell'uomo sono insomma superiori a quelli degli altri animali. In primo luogo vanno considerati gli occhi : nelle arti affidate al loro giudizio - come la pittura, la scultura, la cesellatura nonché l'arte di muoversi e di gestire - particolarmente sottile è la loro capacità di distinguere innumerevoli particolari e di valutarne la bellezza, l'ordinata disposizione e, per così dire, la proprietà delle forme e dei colorì; per non parlare di altri elementi ancora più importanti che essi riescono a discernere come la virtù, i vizi, l'animosità e la benevolenza, la gioia ed il dolore, la fortezza e l'ignavia, l'audacia e il timore.
146. Straordinariamente perspicace è anche la capacità di giudizio dell'orecchio che riesce a distinguere nel canto degli strumenti e delle voci le differenze di tono ed i vari tipi di suono quali il chiaro ed il cupo, il leggero e l'aspro, il grave e l'acuto, il flessibile ed il duro, distinzioni queste accessibili al solo orecchio dell'uomo. Importante è pure la
capacità di giudizio dei vari organi dell'olfatto, del gusto e dei tatto. Le arti sorte per favorire e sviluppare tali sensazioni sono più numerose anche di quanto io vorrei : basti pensare allo sviluppo della profumeria, della culinaria e dei cosmetici.
147. Passando ora a considerare l'anima dell'uomo e la sua facoltà di pensare, di giudicare, di prendere decisioni e di orientare saggiamente la propria azione non ci resta che considerate che chi non scorge in tutto ciò l'azione della divinità manca proprio delle facoltà di cui s'è detto. E' un argomento nel trattare il quale desidererei tanto che tu, caro Cotta, mi prestassi la tua eloquenza! Con quale competenza tratteresti quelle questioni mettendo in evidenza quanta intelligenza sia in noi e quale capacità di dedurre da determinate premesse determinate conseguenze con un solo atto del pensiero!
Una facoltà, quest'ultima, che ci permette di giudicare quale verità logicamente discenda da ogni singola affermazione e di trarne la logica conclusione nonché di circoscrivere ogni singolo oggetto nell'ambito di una precisa definizione. E' partendo da siffatta analisi che si comprende la vera importanza e l'intera articolazione di quella scienza rispetto alla quale neppure gli dèì possono vantare un bene più prezioso. Non poche sono le affermazioni che voi Accademici invalidate e togliete di mezzo in base al principio che senso ed intelletto devono cooperare alla percezione e comprensione della realtà esterna;
148. e le arti che noi pratichiamo, in parte per le necessità della vita ed in parte per rendere più piacevole la nostra esistenza, nascono proprio dalla contrapposizione e dal confronto fra questi due elementi. Quanto a quella che voi chiamate "signora del mondo", l'eloquenza, trattasi di un'arte davvero illustre e divina. Essa ci permette di
apprendere ciò che ignoriamo e di insegnare agli altri ciò di cui siamo edotti: ad essa ricorriamo per esortare, per convincere, per consolare gli afflitti, per liberare dalla paura i timorosi, per umiliare i superbi e i facinorosi, per reprimere le passioni e i moti dell'ira; è opera sua l'averci uniti coi comune vincolo del diritto, delle leggi e della convivenza sociale e l'averci allontanati da una vita selvaggia ed animalesca.
149. Quanto impegno la natura abbia posto per dar modo all'eloquenza di esplicarsi non lo si crederebbe se la cosa non risultasse evidente ad una attenta considerazione. C'è innanzitutto la trachea che dai polmoni si spinge sino alla parte più interna della bocca e attraverso la quale la voce, che ha il suo fondamento nel pensiero, viene raccolta e
diffusa. Nella bocca ha pure sede la lingua chiusa nella chiostra dei denti : a lei spetta il compito di regolare ed organizzare il flusso dis ordinato ed inarticolato della voce nonché quello di renderci i suoni chiari e distinti facendo forza sui denti e su altre parti della bocca. Di qui l'uso da parte di quelli della nostra scuola di paragonare la lingua ad un
plettro, i denti alle corde e le narici alle casse di risonanza che, durante l'esecuzione, riecheggiano i suoni emessi dalle corde.
150. Con quanta proprietà sono in grado di adempiere le loro funzioni e di quante arti sono ministre le mani che la natura ci ha dato! La contrazione e l'estensione delle dita, resa agevole dalla morbidezza dei collegamenti e delle articolazioni si esplica, comunque si muovano, senza la minima fatica. Appunto per questo la mano è adatta a dipingere,
a modellare, a scolpire e a trar suoni dalle corde e dai flauti mediante l'applicazione delle dita.
Ma oltre a queste attività aventi per scopo il diletto dell'uomo ci sono anche quelle che provvedono alle sue necessità: intendo qui riferirmi alla coltivazione dei campi, alla costruzione delle case, alla fabbricazione dei vestiti, siano essi tessuti o cuciti e a tutta in genere la lavorazione del bronzo e del ferro. Orbene, è stato proprio applicando le
mani dei lavoratori alle scoperte del pensiero e alle osservazioni dei sensi che siamo riusciti a raggiungere tutti i risultati che ci hanno permesso di vivere al riparo, ricoperti di vesti e al sicuro da insidie, di possedere città, muri, case, templi.
151. Inoltre l'attività dell'uomo, o meglio, delle sue mani, è in grado di fornire grande varietà ed abbondanza di cibi. Molti sono i prodotti dei campi dovuti alla mano dell'uomo che o vengono subito consumati o vengono messi ad invecchiare: ad essi si devono aggiungere gli animali terrestri, acquatici e forniti di ali di cui ci nutriamo dopo averli
catturati od allevati. Sottoponendoli alla nostra volontà siamo anche riusciti ad adibire i quadrupedi al nostro trasporto e sfruttando la loro forza e velocità acquistiamo anche noi forza e velocità.
Su determinati animali carichiamo i nostri pesi ed imponiamo dei gioghi, volgiamo a nostro vantaggio gli acutissimi sensi degli elefanti e la sagacità dei cani, strappiamo alla profondità della terra il ferro, metallo indispensabile alla coltivazione dei campi, scopriamo remotissime vene di rame, d'argento e d'oro utili ad un tempo ed adatte ad
ornarci, tagliamo gli alberi crescenti allo stato selvaggio o che noi stessi abbiamo coltivati e del materiale che ne ricaviamo facciamo o legna da ardere, per cuocere i cibi e per riscaldarci, o legname da costruzione per proteggerci dalle intemperie.
152. Il legname è di grande utilità anche per la costruzione delle navi che, con le loro traversate, fanno affluire da ogni parte grande abbondanza di prodotti indispensabili per la nostra esistenza. Solo noi uomini, grazie alla scienza della navigazione, siamo in grado di dominare e regolare elementi quali i mari ed ì venti, che la natura ha dotato di
straripante potenza, e innumerevoli sono i prodotti marini che abbiamo saputo sfruttare e volgere a nostro vantaggio.
Parimenti di tutte le cose utili che vengono dalla terra l'uomo è signore incontrastato. E' opera nostra lo sfruttamento dei monti e delle pianure, i fiumi ed i laghi sono in nostro potere, siamo noi che seminiamo i cereali, che piantiamo gli alberi, che fecondiamo i terreni con opere di canalizzazione e di irrigazione, che arrestiamo, che incanaliamo, che deviamo il corso dei fiumi, che ci sforziamo, in ultima analisi, di costituire in seno alla natura una specie di seconda natura.
153. E che dire della facoltà razionale dell'uomo? Non si è forse spinta sino al cielo? Soli fra gli esseri dotati di vita siamo riusciti a conoscere il corso degli astri, il loro sorgere ed il loro tramontare. Sono stati gli uomini a definire la durata del giorno, del mese, dell'anno ed a conoscere le eclissi dei sole e della luna riuscendo a predire per tutto il tempo avvenire il loro numero e la data esatta di ciascuna.
Partendo dalla contemplazione di questi fenomeni l'animo dell'uomo finisce per accostarsi alla cognizione degli dèi fonte della pietà e, insieme, della giustizia e di tutte le altre virtù dalle quali deriva all'uomo una felicità pari e simile a quella degli dèi ed inferiore a quella per la sola mancanza del dono dell'immortalità: ma l'immortalità nulla ha a che
fare con una vita virtuosa.
Con questa mia esposizione mi sembra di aver sufficientemente chiarito la superiorità dell'umana natura rispetto agli altri animali sì che dovrebbe ormai risultare chiaro che né la struttura e la conformazione delle membra né la nativa facoltà del pensiero possono essersi costituite per puro caso.
154. Mi resta ora da dimostrare, a mo' di conclusione, che tutto ciò di cui l'uomo si serve in questo mondo è stato appositamente creato e preparato per lui.
Innanzitutto il mondo è stato di per se stesso costruito per gli uomini e per gli dèi e tutto ciò che esso contiene è stato predisposto e si è rivelato di utilità per l'uomo. Il mondo è infatti una sorta di comune dimora degli dèi e degli uomini o, se si vuole, una città destinata ad accoglierli entrambi: lo dimostra il fatto che essi soli hanno l'uso della
ragione e vivono in base al diritto ed alle leggi. Come dunque Atene e Sparta sono da ritenersi costruite in funzione degli Ateniesi e degli Spartani e a buon diritto si afferma che quanto si trova in esse appartiene a quei popoli, allo stesso modo tutto ciò che il mondo reca in sé in tutta la sua estensione deve considerarsi come appartenente agli dèi ed agli uomini.
155. Consideriamo i movimenti del sole, della luna e delle altre stelle: essi servono indubbiamente a mantenere la compagine dell'universo, ma offrono anche all'uomo uno spettacolo la cui contemplazione non stanca mai e del quale nessun'altra visione è più bella e più adatta a stimolare l'attività razionale. In base alla misurazione di quei movimenti siamo riusciti a determinare i limiti, le variazioni, ed i mutamenti delle stagioni, tutti fenomeni questi che, se sono noti solo all'uomo, non possono che essere stati predisposti appositamente per lui.
156. Quanto alla terra, gravida di messi e di ogni genere di legumi ch'essa elargisce con infinita generosità, per chi la vediamo generare i suoi prodotti, per gli uomini o per gli animali? Che dire della vite e dell'olivo i cui abbondantissimi e fecondissimi frutti nulla hanno a che fare con le bestie? Manca agli animali ogni nozione sulla semina, sulla coltivazione, sul tempo adatto per la mietitura, sulla raccolta dei prodotti e sulla loro conservazione in luoghi appositi, tutte attività che sono di esclusiva pertinenza dell'uomo.
157. Come le cetre ed i flauti debbono ritenersi costruiti per coloro che se ne servono, cosi si deve riconoscere che le cose di cui ho parlato sono state create esclusivamente per coloro che ne fanno uso, e se qualche animale ce ne strappa o ne ruba una parte, non per questo diremo che quei prodotti sono venuti alla luce per lui! Non è certo per le
formiche e per i topi che gli uomini ripongono il frumento, ma per le spose, per i figli e per la servitù. Avviene così che gli animali godano di nascosto dei beni della terra, i loro padroni liberamente ed alla luce del sole.
158. E' dunque giocoforza ammettere che proprio all'uomo è destinata tanta abbondanza di prodotti, sempre che non si ritenga eccessivo che a lui solo la natura abbia donato frutti cosi vari ed abbondanti e così deliziosi non solo a gustarsi ma anche ad annusarsi e a vedersi. Ma è tanto poco vero che beni siffatti sono destinati anche agli animali che,
a quanto ci risulta, sono invece le bestie che esistono proprio per servire alle necessita dell'uomo. Che funzione hanno le pecore se non quella di permettere agli uomini di rivestirsi dei loro velli, lavorati ed intessuti?
Basti considerare che questi animali senza una sollecita cura da parte dell'uomo non avrebbero potuto né alimentarsi, né sostenersi, né produrre alcunché di utile. E non parliamo dei cani, della loro fedeltà nel fare la guardia, del loro affetto per il padrone, della loro avversione per gli estranei, della straordinaria finezza dei loro olfatto nelle
ricerche, della loro grande alacrità nella caccia: che significa tutto ciò se non che il cane è stato creato per soddisfare le necessità dell'uomo?
159. E che dire dei buoi? La stessa conformazione del dorso risulta inadatta a sostenere dei pesi, ma il collo appare nato proprio per reggere il giogo e gli omeri ampi e vigorosi per trascinate l'aratro. Furono i buoi a domare la terra scindendone le zolle e per questo loro merito gli uomini dell'età dell'oro, a quanto ci riferiscono i poeti, non fecero mai loro alcuna violenza: "Quindi sorse d'un tratto una stirpe di ferro contesta e prima osò costruire la spada ministra di morte e dei giovenchi, domati ed avvinti, a cibarsi d'intraprese"
Il servizio prestato dai buoi era valutato a tal punto che il cibarsi delle loro carni era ritenuto un delitto.
Sarebbe troppo lungo passare in rassegna le benemerenze degli asini e dei muli certamente creati per servire all'uomo.
160. Quanto al maiale non serve ad altro che a fornir carne da mangiare, tanto che Crisippo afferma che gli fu data persino un'anima invece del sale per impedirne la putrefazione. Proprio per queste sue straordinarie doti alimentari la natura ha fatto di questo animale il più prolifico di tutti. Che dire poi dei delicato sapore di tante varietà di pesci? Che dire degli uccelli, un cibo cosi raffinato da far sospettare che la nostra Provvidenza stoica sia stata alla scuola di Epicuro? E si noti che gli uccelli si riescono a catturare solo grazie all'intelligenza e all'astuzia dell'uomo anche se alcuni di essi - quelli che i nostri aruspici chiamano alites e oscines - hanno per noi la sola funzione di predire il futuro.
161. Andiamo anche a caccia di belve feroci e selvagge sia per ricavarne cibo sia a scopo di allenamento in vista dei cimenti della guerra, sia per ricavarne un aiuto una volta che siano state sottomesse ed ammaestrate, come avviene per gli elefanti, nonché per ricevere dai loro corpi dei farmaci contro le malattie e le ferite non dissimili da quelli che estraiamo da erbe e radici la cui utilità abbiamo appreso in seguito ad una lunga esperienza. Si scorrano pure con gli occhi del pensiero tutte le terre e tutti i mari: non si scorgeranno altro che immense estensioni di campi ricchi di messi, monti ricoperti di densissime selve, pascoli per gli allevamenti, rotte marine per le navi rapidissime da percorrersi.
162. E non solo sulla superficie della terra, ma anche nelle sue profondità tenebrose vi sono innumerevoli sostanze utili all'uomo che sono state create perché egli possa farne uso e che lui solo è riuscito a scoprire.
Il prossimo argomento è presumibilmente destinato a subire gli attacchi dei miei avversari, di Cotta in quanto era consuetudine di Carneade scagliarsi contro gli stoici, di Velleio in quanto non v'era nulla su cui maggiormente si appuntasse l'ironia di Epicuro quanto la previsione degli eventi futuri: eppure per me esso conferma nel modo più
evidente che alle cose umane provvede l'oculata saggezza degli dei. E' un fatto che la divinazione esiste e si manifesta in molteplici luoghi, occasioni e circostanze sia nella vita privata sia, soprattutto, in quella pubblica.
163. Molte cose scorgono gli aruspici, molte ne prevedono gli auguri, molte sono rivelate dagli oracoli, molte dai vaticini, molte dai sogni, molte dai prodigi grazie ai quali molte vicende si sono risolte secondo i desideri degli uomini ed a tutto loro vantaggio e molti pericoli sono stati scongiurati. Questa facoltà, sia essa una capacità innata o un'arte o
un dono naturale, fu concessa dagli dei all'uomo, ed a lui solo, perché fosse in grado di conoscere gli eventi futuri.
Anche se i singoli episodi non riescono a convincervi, presi nel loro insieme e considerati nei loro complessi e vicendevoli rapporti avrebbero dovuto persuadervi.
164. Del resto non è solo sul genere umano nel suo complesso che si esercita l'azione provvidenziale degli dèi immortali, ma anche sui singoli individui: basta ridurre gradualmente l'insieme dell'umanità a gruppi sempre più ristretti fino a giungere alle persone isolate.
Se è vero che gli dèì, per le ragioni di cui s'è parlato, provvedono a tutti gli uomini dovunque si trovino e qualunque piaga o regione abitino di quelle terre che, benché distanti dalla parte che noi abitiamo, appartengono con essa ad un unico, ininterrotto continente, è evidente che essi provvedono anche a coloro che con noi abitano queste terre da oriente ad occidente.
165. D'altra parte se essi provvedono agli abitanti di questa specie di grande isola che noi chiamiamo globo terrestre, provvedono anche agli abitanti delle singole regioni di quest'isola quali l'Europa, l'Asia e l'Africa e prediligono anche quelle che di queste regioni sono alla loro volta delle parti come Roma, Atene, Sparta, Rodi nonché singoli
cittadini di queste città al di sopra di tutti gli altri come fecero per Curio, Fabrizio e Coruncanio durante la guerra contro Pirro, per Calatino, Duilio, Metello e Lutazio durante la prima guerra punica, per Massimo, Marcello e l'Africano durante la seconda e, successivamente per Paolo, Gracco e Catone, e, a memoria dei nostri padri, per Scipione e Lelio.
Inoltre Roma e la Grecia dettero i natali a tante personalità di rilievo nessuna delle quali probabilmente si sarebbe affermata senza l'aiuto divino.
166. Fu questa considerazione che spinse i poeti, e soprattutto Omero, a fare di determinati dèi i compagni di pericolo e di avventure di eroi quali Ulisse, Diomede, Agamennone, Achille. E non basta: spesso gli dèi si sono presentati di persona, come nei casi sopra ricordati, mostrando chiaramente il loro particolare interesse per determinate
città e per singoli personaggi. Ciò risulta anche dalla rivelazione di eventi futuri fatta ora a uomini immersi nel sonno, ora nel pieno della veglia. Si aggiungano i numerosi avvertimenti che ci vengono dai vari segni, dall'esame delle interiora delle vittime e dagli altri fenomeni dei quali una diuturna esperienza ha fatto altrettanti strumenti dell'arte
divinatoria.
167. Gli è che nessun uomo è mai stato veramente grande senza una qualche ispirazione divina. In questo caso non avrebbe alcuna importanza obiettare che se una tempesta danneggia i campi o le vigne di qualcuno o lo priva di qualche beneficio noi siamo indotti a pensare che quell'uomo sia vittima dell'odio o della trascuratezza degli dèí. Gli dèi
si occupano delle cose importanti e trascurano le inezie. Per gli uomini veramente grandi tutto procede nel migliore dei modi se è vero che i nostri maestri e Socrate, principe della filosofia, ci hanno ormai sufficientemente illustrato gli infiniti vantaggi della virtù.
168. Questo, più o meno, è quanto mi sono ricordato ed ho creduto opportuno esporre sulla natura degli dèi.
Quanto a te, Cotta, se volessi darmi ascolto, dovresti trattare lo stesso tema memore della tua dignità di primo cittadino e di pontefice e avvalendoti della facoltà che la vostra scuola vi concede di considerare il pro ed il contro delle questioni dovresti senz'altro assumere la mia stessa posizione e mettere a frutto in questa discussione quell'abilità dialettica che hai acquistato nelle scuole di retorica e che la pratica dell'Accademia ha vieppiù rafforzato. E' cattiva consuetudine parlare contro gli dèi, che lo si faccia sia per convinzione, sia per un semplice pretesto.


Storiografia
Primo Lib.
Terzo Lib.